Il rito nella opposizione al decreto di liquidazione del compenso nel patrocinio a spese dello Stato

L’orientamento della giurisprudenza al momento della entrata in vigore del d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115 circa il rito da seguire nel procedimento di opposizione al decreto di liquidazione del compenso per l’attività prestata a carico dello Stato si fondava sulla natura secondaria e collaterale del procedimento di opposizione rispetto a quello principale nel quale è emesso il provvedimento di liquidazione.

Di guisa che, ove la liquidazione era effettuata dal pubblico ministero o dal giudice penale, la opposizione doveva essere trattata in sede penale ed il successivo ricorso per cassazione proposto nelle forme e secondo i termini del rito penale, mentre se la liquidazione era fatta dal giudice civile, la opposizione doveva essere trattata in sede civile e decisa con provvedimento suscettibile di ricorso per cassazione da proporre in base alla normativa propria del rito civile.

Tale orientamento sostiene numerose sentenze del giudice di legittimità (Cass. Sez Un. Pen. 26 maggio 1989-11 luglio 1989, Medea; Cass. Sez. Un. Pen. 24 novembre 19999-6 dicembre 1999, Di Dona; Cass. Sez. Un. Civ. 14 giugno 2000 n. 434; Cass sez II civ. 25 maggio 2001 n.7136; Cass. Sez. II civ. 26 nov. 2001 n. 14934; Cass. Sez. I civ. 15 nov. 2003 n. 15377; Cass. Sez. III civ. 28 febbraio 2008 n. 5301; Cass. Sez. IV pen. 17 febbraio 2009-7 aprile 2009, Caminiti).

Con sentenza n. 19161 del 3 settembre 2009 le sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione, chiamate a risolvere un contrasto di giurisprudenza in ordine alla qualificazione del vizio derivante dal mancato rispetto della sede civile della decisione della opposizione, hanno stabilito che nel caso che la ordinanza che decide la opposizione sia stata adottata da un giudice penale, si configura una violazione delle regole di composizione dei collegi e di assegnazione degli affari che non determina né una questione di competenza né una nullità ma può giustificare soltanto conseguenze di natura amministrativa o disciplinare.

Rinnovando il precedente oriuentamento, le sezioni unite civili della Corte di legittimità hanno statuito che spetta sempre al giudice civile la competenza a decidere sulle opposizioni avverse alle liquidazioni dell’onorario del difensore del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato (o di persone ammesse al programma di protezione), dei compensi degli ausiliari dei giudici e delle indennità dei custodi, anche quando sono emessi in procedimento penale e che l’eventuale ricorso per cassazione nei confronti del provvedimento che decide sulla opposizione va proposto nei termini e nelle forme del codice di rito civile e, quin di, dinanzi alle sezioni civili della Corte.

Tale arresto giurisprudenziale ha avuto l’effetto di travolgere non pochi procedimenti che erano stati radicati secondo l’orientamento precedente e cioè i ricorsi proposti secondo il codice di rito penale avverso i provvedimenti emessi in tale sede.

Per tali procedimenti, i giudici della Corte hanno fatto e fanno ricorso all’istituto della rimessione in termini previsto dall’art. 184 bis c.p.c. laddove rilevano che la parte ha comunque compiuto entro il termine di decadenza (stabilito dal codice di procedura penale) una attività processuale la quale, pur se carente rispetto allo schema legale previsto dal codice di rito civile, manifesta la non acquiescenza al provvedimento impugnato e che la causa non imputabile si riconnette, non ad uno stato di materiale impedimento rientrante nell’onere di allegazione e di dimostrazione ad opera della parte interessata, ma alla scelta difensiva dipendente da indicazioni sul rito da seguire provenienti dalla consolidata giurisprudenza del tempo del ricorso proposto e che soltanto in seguito si sono rivelati non più attendibili.

La causa non imputabile è determinata, ed allo stesso tempo conosciuta, dallo stesso arbitro così che l’art. 184 bis cod. proc. civ. viene in considerazione non già come regola di dettaglio pensata per le inattività derivanti dagli impedimenti, tipici, di natura materiale ed oggettiva, ma nella sua portata di precipitato normativo, espressione di un principio generale di superiore giustizia – coessenziale alla garanzia costituzionale dell’effettività della tutela processuale – che vede nel rimedio restitutorio il mezzo rivolto a non far sopportare alla parte, quando ad essa non possa farsi risalire alcuna colpa, le gravi conseguenze di un errore nella proposizione dell’impugnazione indotto dalla stessa giurisprudenza di cassazione.

Le sezioni della Corte interessate alla questione si sono, pertanto, indirizzate verso la unanime affermazione del principio di diritto che ricaviamo da una delle ultime ordinanze in materia (n. 19372 del 10 settembre 2010) che recita “Alla luce del principio costituzionale del giusto processo, va escluso che abbia rilevanza preclusiva l’errore della parte la quale abbia fatto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata, al tempo della proposizione della impugnazione, giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, e che la sua iniziativa possa essere dichiarata inammissibile o improcedibile in base a forme e termini il cui rispetto, non richiesto al momento del deposito dell’atto di impugnazione, discenda dal nuovo indirirzzo; il mezzo tecnico per ovviare all’errore oggettivamente scusabile è dato dal rimedio della rimessione in termini previsto dall’art. 184 bis cod. proc. civ. (ratione temporis applicabile), alla cui applicazione non osta la mancanza della istanza di parte, dato che, nella specie, la causa non imputabile è conosciuta dalla corte di cassazione, che con la sua stessa giurisprudenza ha dato indicazioni sul rito da seguire, ex post rivelatesi non più attendibili”.

 

 

Ianniello Nicola

Avv. Nicola Ianniello presidente dell’A.N.V.A.G. – Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti-11/10

Ianniello Nicola

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