Il Silenzio della P.A. in generale.
Per silenzio amministrativo si intende l’inerzia patologica della pubblica amministrazione che, nell’ambito di un procedimento amministrativo, non provveda e non proceda nel rispetto dei prescritti tempi procedimentali. Con il termine “silenzio” si fa anche riferimento a quei rimedi previsti dalla giurisprudenza atti alla rimozione degli effetti negativi della suddetta inerzia.
Si distinguono diversi tipi di silenzio amministrativo:
- Il silenzio-assenzo;
- Il silenzio-diniego;
- Il silenzio-devolutivo;
- Il silenzio-facoltativo;
- Il silenzio-inadempimento;
Tale scritto ha il fine di approfondire quest’ultima tipologia di silenzio amministrativo.
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L’evoluzione del silenzio-inadempimento
Originariamente sussisteva una diversa tipologia di silenzio, definito silenzio-rifiuto, ed è proprio l’evoluzione di tale species che ha dato vita all’attuale silezio-inadempimento.
Il silenzio-rifiuto sorgeva quando la pubblica amministrazione, a seguito di un istanza di un soggetto, rimaneva inerte, non dando alcuna risposta alla citata istanza, e la legge non ricollegava alcun valore provvedimentale tipico, considerandolo altresì un silenzio non significativo.
Ebbene, sussisteva siffatto silenzio quando l’ordinamento giuridico non attribuiva alcuna qualificazione specifica all’inerzia della P.A., conferendo a quest’ultima il significato di comportamento meramente omissivo. Si fa presente che tale istituto ha origine esclusivamente giurisprudenziale, difatti la dottrina, già dagli anni quaranta, attribuì significato diverso al dovere di provvedere, conferendo al silenzio, non più valore di rifiuto, bensì di comportamento inadempiente[1]. Codesto orientamento inizia a trovare riscontri giurisprudenziali a partire dagli anni cinquanta.
Orbene, il silenzio-inadempimento assunse valore solo dopo il superamento della visione meramente impugnatoria del processo amministrativo. Dal momento in cui vennero riconosciuti al Giudice maggiori poteri ordinatori e cognitori, per mezzo dei quali è permesso lo svolgimento del giudizio anche sul rapporto, e non esclusivamente sull’atto, è stato possibile qualificare il silenzio non significativo come inadempimento. Talché, è ammissibile un giudizio sul rapporto atto ad acclarare l’inadempimento della P.A. dell’obbligo di definire il procedimento con un esplicito provvedimento.
Obbligo di provvedere della P.A.
L’art. 2 della L. n. 241/1990[2] sancisce l’obbligo della pubblica amministrazione di concludere il provvedimento con un atto espresso. Siffatto dovere sussiste sia nei casi in cui il procedimento sorga su impulso di un privato, sia quando è ad iniziativa d’Ufficio. Tale dovere esiste anche nel caso in cui l’istanza presentata risulti manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata. Ovviamente, affinché il silenzio-inadempimento sia integrato, è necessaria la sussistenza in capo alla Pubblica Amministrazione di un obbligo giuridico di provvedere.
L’obbligo de quo, è un principio doveroso su cui si è espressa anche la Corte Costituzionale. Invero, anche i Giudici Amministrativi, in diverse occasioni, hanno sottolineato come tale principio tragga la propria ragione giuridica dai principi cardine dell’azione amministrativa[3].
Il Giurisprudenza del caso più volte ha affermato che “l’inerzia dell’Amministrazione e contraria ai principi di buon andamento della P.A. e dell’affidamento del cittadino nel corretto svolgimento dell’azione amministrativa che impongono la conclusione di ogni procedimento con un provvedimento espresso”[4].
Detto ciò, è doveroso sottolineare come tale obbligo sussista esclusivamente per tre categorie di istanze. Nello specifico, fanno parte di tali tre categorie, innanzitutto quelle dirette ad ottenere un provvedimento favorevole per il richiedente. Siffatte istanze, atte ad ampliare la sfera giuridica del soggetto, generano obbligo di provvedere per la P.A., esclusivamente qualora sussista, in capo al richiedente, la titolarità di un interesse legittimo pretensivo. Si ritiene che, qualora un soggetto abbia un interesse qualificato ad un bene della vita, ed è necessario per il conseguimento che la P.A. eserciti il proprio potere per mezzo dell’emanazione di un provvedimento espresso, questi sia titolare di una situazione giuridica legittimante a presentare istanza, anche quando non sussista una norma esplicita sottesa a conferire un autonomo diritto di iniziativa.
La seconda categoria è rappresentata da quelle istanze dirette ad ottenere il riesame di atti sfavorevoli precedentemente emanati. È necessario specificare, però, che la giurisprudenza ritiene che tale tipo di istanza, che ha il fine di ottenere il riesame da parte della P.A. di un provvedimento non impugnato in maniera tempestiva dall’istante, non da vita, generalmente, ad un obbligo di riesame da parte della P.A.[5], ciò per far salva l’esigenza di certezza e stabilità dei rapporti che hanno il loro titolo in atti autoritativi.
L’ultima categoria è costituita da quelle istanze volte ad ottenere atti diretti a produrre effetti sfavorevoli avverso terzi, e dalla cui adozione il richiedente può ottenere vantaggi. In tal caso è necessario che sussista in capo al richiedente un particolare e considerevole interesse che sia idoneo a contraddistinguere la sua posizione rispetto a quella della collettività[6].
Azione esperibile avverso il silenzio inadempimento della P.A.
Con l’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo (e delle successive modifiche alla disciplina del silenzio) l’ambito processuale è disciplinato dagli artt. 31 e 117 del citato codice.
Siffatta normativa prevede una duplice azione nei confronti del silenzio. Un prima azione, disciplinata dal codice, fa sì che chi abbia interesse può agire chiedendo l’accertamento dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere, codesta, di tipo dichiarativo, può essere proposta dal privato sempre ed in ogni caso. Siffatto accertamento, per mezzo della seconda azione, può divenire sentenza di condanna all’adozione dell’atto amministrativo richiesto, pronunciata dal Giudice Amministrativo, qualora sussistano determinati presupposti.
È doveroso precisare che, è assoluta facoltà del soggetto privato proporre l’azione avverso il silenzio, meramente destinata ad ottenere una pronuncia atta a dichiarare l’obbligo di provvedere, e non anche la seconda.
Ovviamente la proposizione dell’azione avverso il silenzio, ai sensi dell’art. 31 c.p.a., è soggetta ad un limite temporale. Il comma 2 del citato articolo sancisce che “l’azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti”.
Ordunque, qualora dalla scadenza del termine fissato dall’Amministrazione per la conclusione del procedimento, sia intervenuto il termine di un anno senza che il ricorrente abbia diffidato l’Amministrazione inadempiente, l’eventuale ricorso tardivo sarà dichiarato inammissibile, in quanto carente di un presupposto imprescindibile dell’azione.
Ad ogni modo, decorso siffatto temine di un anno, il privato non viene spogliato di qualsivoglia tutela, difatti sempre il medesimo comma dell’art. 31, fa salva la possibilità del soggetto di riproporre istanza di avvio del procedimento, qualora ricorrano determinati presupposti. Sicché, la sopra citata decorrenza annuale, rileva esclusivamente dal punto di vista processuale, non estinguendo di fatto, l’interesse legittimo pretensivo legato all’iniziativa procedimentale di parte.
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Note
[1] Sandulli A. M., Questioni recenti in tema di silenzio della Pubblica Amministrazione, in Foro Italiano, 1949, 128 s.s.
[2] Legge n. 241 del 07/08/1990.
[3] Morbidelli G., Introduzione all’attività amministrativa, in Mazzarolli L. – Pericu G. – Romano A. – Roversi Monaco F. A. – Scoca F.G., Diritto Amministrativo, Monduzzi Ed., Bologna, p. 524 ss.
[4] Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5772 del 07/11/2007.
[5] Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 6234 del 16/12/2008.
[6] Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6531 del 21/10/2003.
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