precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. II, Sentenza n. 23243
del 15/11/2016
La vicenda
Due coniugi, proprietari di un appartamento in un caseggiato, avevano ristrutturato la porzione di sottotetto sovrastante il loro appartamento e poi l’avevano occupata con propri mobili e suppellettili.
Successivamente avevano chiuso la porzione sopra detta, mediante l’edificazione di una parete divisoria e la collocazione in essa di una porta d’accesso, assicurata da una serratura, la cui chiave, oltre che in loro possesso, era stata messa a disposizione dell’amministratore condominiale. Gli altri condomini, convinti che le opere realizzate dei coniugi e l’occupazione del sottotetto fossero illegittime, si rivolgevano al Tribunale per richiedere che i convenuti fossero condannati all’abbattimento del muro eretto a divisione di una parte del sottotetto e al rilascio della porzione di quest’ultimo occupata.
La Corte d’Appello confermava l’ordine di demolizione del muro realizzato dai due coniugi, senza pronunciarsi sulla questione della legittimità o meno dell’occupazione del sottotetto con mobili e altri oggetti.
I soccombenti ricorrevano in Cassazione, sostenendo sostanzialmente che non volevano certo usurpare la porzione del sottotetto di cui non avevano mai negato la natura condominiale; inoltre osservavano che la ristrutturazione del sottotetto era stata necessaria al fine di eliminare le infiltrazioni d’umidità; inoltre notavano che la chiusura con l’eretta parete non precludeva l’uso comune, essendo stata sin dall’inizio consegnata la chiave all’amministratore condominiale, tanto che si era avuto accesso per svolgere dei lavori di natura condominiale: in altre parole sostenevano che la funzione della parte comune non era venuta meno.
Infine lamentavano che il Tribunale li aveva condannati a rimuovere i beni mobili collocati nella detta porzione di sottotetto in assenza di domanda e sulla questione il Giudice d’appello non aveva compiutamente esaminato la censura.
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La questione
Il singolo condomino può utilizzare in modo più intenso il sottotetto, arrivando a chiuderne una porzione con una parete divisoria dotata di porta d’accesso e serratura, se una copia delle chiavi viene data all’amministratore?
La soluzione
In sintonia con i giudici di merito, la Cassazione ha ricordato che, l’art. 1102 c.c. consente modifiche alla cosa comune al fine di permettere al singolo condomino un uso più intenso della stessa.
Secondo i giudici supremi, però, la chiusura di una parte del sottotetto, non risultando funzionale per il maggior legittimo godimento di una parte comune, deve reputarsi vietata; del resto i coniugi avrebbero potuto usufruire della maggiorata coibentazione e potevano, nei limiti delineati, collocare beni mobili di loro esclusiva proprietà, senza necessità di chiudere l’area.
La Cassazione non ha potuto prendere in esame la critica di merito in relazione alla condanna a rimuovere i beni mobili collocati dai ricorrenti nell’area condominiale, atteso che la sentenza d’appello, erroneamente, non ha preso in esame il profilo di critica che investiva la condanna a rimuovere i beni mobili collocati nel sottotetto condominiale.
Le riflessioni conclusive
È pacifico che l’utilizzo di parti comuni dell’edificio condominiale da parte del singolo condomino esiga il rispetto delle regole dettate dall’art. 1102 c.c. secondo cui non è possibile alterare la destinazione del bene comune, né impedire agli altri partecipanti di farne un uso paritetico secondo il loro diritto.
Il “pari uso”, però, non deve essere interpretato nel senso che vada in ogni caso garantito l’uso paritario ed uguale della cosa comune, perché si giungerebbe all’inaccettabile conclusione della immodificabilità della cosa comune da parte del singolo condomino e alla sua inutilizzabilità in modo più intenso rispetto agli altri.
La nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 c.c., quindi, non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione (Cass. civ., sez. II, 23/03/2017, n. 7544).
In particolare il più ampio uso del bene comune, da parte del singolo condomino, non configura di per sé una lesione o menomazione dei diritti degli altri partecipanti, dovendo in concreto accertarsi se tale uso abbia comportato una definitiva sottrazione della relativa porzione di bene comune ad ogni possibilità di futura utilizzazione degli altri condomini.
Così in linea generale è consentito al singolo condomino trarre un più intenso vantaggio dalla cosa comune, aumentando, con opportune opere, la capacità di coibentazione del sottotetto e, ove ne ricorrano i presupposti, utilizzando lo stesso, nei limiti sopra delineati, per riporre mobili di esclusiva proprietà.
L’uso più intenso è condotta differente da quella con cui il condomino compie atti idonei a mutare il titolo di possesso (da uso comune a uso privato).
Se si occupa un’area comune con degli scatoloni, si realizza un uso più intenso delle parti comuni; se il condomino chiude con dei divisori cementizi (o similari) un’area comune e ne consente l’accesso mediante una porta con serratura, senza consegnare le chiavi agli altri o all’amministratore, utilizza uno spazio comune come fosse privato: in tal caso quindi è mutato il titolo del possesso (da area comune ad area privata). In ogni caso – come giustamente osserva la Cassazione nella sentenza in commento – non è lecito neppure chiudere una porzione di sottotetto con muri e porta d’accesso dotata di serratura, neppure se la chiave viene consegnata all’amministratore. Si tratta infatti di una modifica inutile per il legittimo maggior godimento di un bene comune.
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