Il sistema delle fonti nel quadro dei principi costituzionali. Pandemia, autonomia, Titolo V e dintorni

 

Sommario: 1. Linee introduttive: fonti e Costituzione. – 2. Le vicende concrete della normativa-base: le leggi del ’78 e del ’88. – 3. La Repubblica << una e indivisibile>> e le autonomie locali. – 4. Conclusioni: la potestà regolamentare tra Stato e regioni.

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Lavoro e crisi d’impresa

Il lavoro quale elemento cardine dell’ordinamento italiano non trovava adeguato spazio, né tutela nel sistema complesso delle procedure concorsuali. Il d.lgs. n. 14/2019, che ha profondamente riformato la materia concorsuale e introdotto il “Nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza” prevede, per la prima volta, una disciplina ad hoc per i rapporti di lavoro dipendente. L’opera si propone di analizzare l’evoluzione della rilevanza che la tutela del lavoro dipendente, ma non solo, ha assunto nella disciplina concorsuale, fondata finora prevalentemente sulla tutela del diritto di credito. La ricerca e la rilevanza di soluzioni conservative, alternative alla liquidazione dell’impresa, l’introduzione di sistemi di allerta tali da assicurare un tempestivo e più proficuo intervento nella gestione della crisi rappresenta la chiave di volta nell’individuazione di punti di contatto tra due materie che, finora, sono state delineate quali due rette parallele dirette al perseguimento di obiettivi diametralmente opposti. Questa una delle linee fondamentali della riforma che viene compiutamente illustrata comunque nella prospettiva della sua entrata in vigore.   Mariaelena Belvisoaffronta il tema della tutela del lavoro nella crisi d’impresa con una tesi di laurea in Giurisprudenza, dal titolo “Diritto del lavoro e diritto fallimentare: prospettive di dialogo”, votata con lode, presso l’Università LUMSA di Roma. Approfondisce tale tematica anche durante il tirocinio svolto, dal 2017 al 2019, presso la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione.

Mariaelena Belviso | 2020 Maggioli Editore

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Linee introduttive: fonti e Costituzione

Il sistema delle fonti del diritto italiano aveva raggiunto un aspetto sufficientemente stabile e compiuto, nell’evoluzione normativa succedutasi dal 1942 fino al 1948, per poi approdare ad un assetto tendenzialmente definitivo nel 1992 e alla fine degli anni ‘99 in un’ottica di transnazionalità europeistica.

In buona sostanza i due poli attrattivi in materia di fonti erano rimasti stabili fin oltre la seconda metà del secolo scorso in termini di leggi, regolamenti ed usi o consuetudini, preceduti dalla legge fondamentale costituita dalla Costituzione repubblicana, approvata dall’assemblea costituente il 22 dicembre 1947([1]).

Tale combinazione concettuale e normativa – Costituzione, leggi, etc. – è rimasta pressoché immutata fino ai Trattati di Mastricht e di Lisbona che, in avvio di terzo millennio, hanno ridisciplinato la materia delle fonti andando ad incidere su entrambi i versanti della produzione e della cognizione.

Nonostante tale evoluzione normativa del sistema delle fonti del diritto, si era giunti ad un inquadramento tendenzialmente tranquillizzante e sufficientemente stabili delle stesse di modo che non vi era più ragione di dubitare circa l’aspetto gerarchico delle fonti nel nostro sistema di ordinamento giuridico.

Gli accadimenti dell’ultimo anno, la pandemia che sta sconvolgendo l’intero pianeta con le conseguenti puntate di interventi governativi per cercare di arginare il fenomeno hanno sdoganato, al grande pubblico ma non solo, taluni provvedimenti di formazione – cd. secondaria – quali i DPCM e, considerevolmente nell’ultima settimana, le ordinanze del ministero della salute.

Al proposito si sono levate voci più disparate circa la  legittimità o meno di tali provvedimenti di formazione secondaria ad incidere in materia di talune libertà ove si sarebbe ritenuto, quale proprio, un intervento parlamentare, quanto meno in sede di conversione di un decreto-legge ex art.77 Cost., onde rispettare il cd. principio di sovranità popolare. Invero la polemica, scrostata dai suoi aspetti strettamente politici, alla luce di uno studio attento e rigoroso ha scarsa ragione di essere.

La suindicata evoluzione normativa nelle tappe del 1942, del 1948, del 1992, etc., non può prescindere da un argomento tale che deve essere stato al centro dell’attenzione dell’ufficio della presidenza del Consiglio dei ministri, retto dal prof. avv. Giuseppe Conte.

Si tratta del far risaltare sul proscenio delle fonti normative due leggi fondamentali del nostro sistema giuridico. Leggi, si badi bene, in base alle quali è consentito, per espresso mandato costituzionale, di adottare taluni provvedimenti quale ad esempio quelli incidenti sulla libertà di movimento delle persone stanziali sul territorio della Repubblica.

 

 

Le vicende concrete della normativa-base: le leggi del ’78 e del ’88.

 

Il tessuto normativo al quale s’intende fare riferimento è quello varato in termini legislativi dal nostro Paese a distanza di un decennio l’uno dall’altro e, a quanto pare, ai più misconosciuto.

Ci si vuol riferire innanzitutto alla legge 833 del 1978([2]), legge che facendo propria la giurisprudenza costituzionale elaboratasi in materia di ordinanze <<contingibili e urgenti>> ha codificato le ordinanze in materia di salute, recependone la fattibilità nell’art.32([3]).

Tale disposizione normativa è alla base dei provvedimenti adottati dalle regioni nel corso dell’emergenza epidemiologica in atto e di recente dal ministro della salute Roberto Speranza, in occasione dell’ormai celeberrime individuazioni delle zone regionali nei colori rosso, arancione e giallo.

La tecnica di normazione correttamente seguita dalla compagine governativa è quella dell’emanazione prioritaria di un DPCM – sul quale si ragguaglierà subito nel testo –   ed un’integrazione concettuale e normativa ad opera di un’ordinanza ministeriale, nel caso di specie del ministero della salute.

Il secondo provvedimento normativo, di fondamentale importanza nel nostro Paese, come gli studenti universitari del primo anno di giurisprudenza ben sanno, è la legge nr.400 del 17 agosto 1988([4]). Tale legge operò un vero e proprio riordino e assetto della normazione a livello di legislazione secondaria incidendo profondamente sull’ambito concettuale del regolamento quale seconda fonte del diritto italiano ex art.1 preleggi.

In estrema sintesi può ben dirsi che il decreto del presidente del consiglio dei ministri – in acronimo DPCM – è la forma di regolamento che nell’ambito dell’indicata categoria attinge il livello più alto quale ordine gerarchico e forza normativa.

Ogni provvedimento adottato dal consiglio dei ministri, ancor più precisamente dal presidente del Consiglio dei ministri se ed in quanto non impinge in una riserva espressa di legge, ovvero di giurisdizione risulta, pertanto, adottato in base alla legge e perciò stesso legittimamente emanato.

Tale considerazione scientifica andrebbe tenuta sempre presente da chi muove censure all’operato governativo nell’azione di contrasto al fenomeno epidemiologico in corso giacché trattasi di considerazione ossequiosa del principio di legalità. Piuttosto le ragioni delle polemiche di questi giorni, vanno rinvenute in ben altri sentieri normativi; segnatamente nei sentieri costituzionali in ordine alla ripartizione dei compiti e dei poteri tra Stato e regioni disegnati dall’attuale testo costituzionale vigente.

 

 

La Repubblica << una e indivisibile>> e le autonomie locali.

 

La Repubblica italiana, che la Costituzione proclama in forme enfatiche quale una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali.

Dalla lettura immediata di tale proposizione normativa contenuta nell’incipit dell’art.5 della Costituzione della Repubblica italiana si ricava in prima battuta che vi sono autonomie locali da riconoscere e da promuovere.

Gli studiosi di diritto costituzionale, diritto amministrativo e diritto degli enti locali spiegano efficacemente che il verbo riconoscere fa riferimento agli enti comunali: i comuni, quale realtà storico territoriali risalenti all’età moderna e centenariamente antecedenti alla Costituzione. Il verbo promuovere fa riferimento alle regioni, ad esempio, enti previsti dall’impianto costituzionale ma, come noto, attuati solo nel 1970.

A parte i doveri di riconoscimento e promozione, la Repubblica ha il compito – sotto forma di imperativo categorico – di attuare nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo. Si badi il decentramento che la Repubblica ha il compito funzionale di attuare non è un decentramento legislativo bensì eminentemente amministrativo. Infatti tra gl’imperativi gravanti sulla Repubblica, ex art.5 Cost., vi è quello di adeguare i principi ed i metodi della sua legislazione all’esigenze dell’autonomia  e del decentramento.

Pacificamente, in dottrina e in giurisprudenza, si ritiene che col sintagma autonomie locali la Costituzione facesse riferimento al Titolo V, della parte seconda della medesima, – parte dedicata all’ordinamento della Repubblica – allordove si occupa delle regioni, delle province e dei comuni.

Il problema a cui si è fatto riferimento nel paragrafo precedente è dovuto alla circostanza che il tessuto costituzionale in materia non è più quello del 1948. Infatti il Titolo V della Costituzione repubblicana, attuativo delle autonomie locali di cui all’art.5 cit., è stato profondamente modificato nel 2001([5]). La Repubblica oggi è costituita dai comuni, dalle provincie, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato. Dunque, stando alla lettura dell’art.114, comma 1 Cost., lo Stato non è più sinonimo di Repubblica. Lo Stato è l’ultimo in ordine di presentazione normativa dei costituenti della Repubblica.

Tale affermazione concettuale lascia scoperto il morbo della quinta essenza della riforma costituzionale del Titolo V del 2001.

Nell’autunno di quell’anno si è stabilito che la Repubblica è composta da cinque entità, che lo Stato – in ossequio al principio di residualità – è l’ultima di tali componenti, che i comuni, le provincie, le città metropolitane, le regioni, sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione e che lo Stato disciplina, oltre che il proprio ordinamento, l’ordinamento della città di Roma, quale capitale della Repubblica.

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Ciò che rafforza quanto espresso nelle pagine precedenti circa la ricostruzione dogmatica delle fonti di produzione e di cognizione del nostro ordinamento all’attualità([6]).

Il capoverso dell’art.117 della Costituzione repubblicana, così come novellato dalla legge costituzionale nr.3 del 2001 cit., elenca le materie nelle quali lo Stato ha legislazione esclusiva. Orbene, e da qui nascono i primi problemi di confusione cui si è fatto cenno in precedenza, fra queste materie non compare la salute.

Esclusa la legislazione diretta e immediata in materia di salute bisogna verificare se la stessa, l’area sanitaria, rientri nelle materie di legislazione concorrente. In materia soccorre il 3° comma dell’art.117 Cost. che individua quale materia di legislazione concorrente quella relativa alla tutela della salute.

Il problema si pone dunque sul versante della dicotomia legislazione esclusiva/legislazione concorrente giacché nelle materie di legislazione concorrente, per espresso dettato costituzionale, la potestà legislativa spetta alle regioni. Senonchè il medesimo dettato costituzionale nel ribadire la prerogativa regionale in materia di potestà legislativa – quindi anche in tema di tutela della salute – fa salva la determinazione dei principi fondamentali riservata alla legislazione dello Stato.

Ed è proprio questo il punto che in questi giorni fa comprendere, allo studioso accorto e al cittadino consapevole e attrezzato, le ragioni della fittizia confusionarietà che si è creata in materia di normativa epidemiologica e di lockdown in atto.

La Costituzione della Repubblica italiana, così come modificata nel 2001, riserva alla legislazione regionale di emanare norme a tutela della salute ma, rammentando che si tratta di legislazione concorrente, stabilisce che tale potestà legislativa è limitata – ecco la concorrenza statuale – dalla riserva di legislazione dello Stato che si attua per il tramite della determinazione dei principi fondamentali.

L’aver stabilito che in materia di legislazione concorrente, quale quella della tutela della salute, lo Stato adotta dei principi fondamentali di cui ha espressa riserva costituzionale e che ai principi fondamentali determinati dallo Stato le regioni si devono attenere lascia agevolmente comprendere la sterilità e l’incosistenza delle polemiche di questi giorni giacchè l’ossequio ai principi costituzionali si è puntualmente attuato ad opera del governo della Repubblica.

I DPCM, le ordinanze ministeriali ed in particolare le ordinanze del ministero della salute costituiscono esattamente le determinazioni dei principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato a cui le regioni si devono attenere in sede di potestà legislativa che è per l’appunto definita potestà legislativa concorrente.

Non è operativo in materia il principio di sussidiarietà in virtù del quale spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Non è operativo l’indicato principio proprio in quanto la tutela della salute è oggetto di legislazione concorrente ex art.117, 2° cpv. Cost. e la legislazione esclusiva è per definizione statuale ex art.117, comma 2, Cost.([7]).

 

 

Conclusioni: la potestà regolamentare tra Stato e regioni.

 

La potestà regolamentare spetta, alla luce di quanto si è venuto dicendo, allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, quelle di cui al citato cpv. dell’art.117 Cost..

È prevista in materia di legislazione esclusiva una potestà regolamentare delegata alle regioni. In assenza di tale delega le regioni non hanno nessun potere regolamentare in materia di legislazione esclusiva. La potestà regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia.

Dunque le regioni in materia di legislazione cd. concorrente hanno sicura potestà regolamentare, laddove i comuni, le provincie e le città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

A fronte di tale quadro costituzionale ben si comprende come nel rispetto delle determinazioni inerenti ai principi fondamentali adottati dallo Stato in tema di tutela della salute le regioni possano, nel rispetto degl’indicati principi, esercire la propria potestà regolamentare. Ciò che in termini organizzativi possono, per così dire a cascata, fare altresì le città metropolitane e gli enti comunali e provinciali. Non basta.

La legge regionale ha il dovere di ratificare le intese della regione con altre regioni per il miglior esercizio delle proprie funzioni anche per l’individuazione di organi comuni([8]).

In conclusione, tirando le fila si può ben dire con riguardo a quanto sta accadendo in questi giorni intorno alle determinazioni governative adottate con i dpcm e le ordinanze ministeriali della salute finalizzate al contrasto dell’emergenza pandemica da covid-19 in atti, citando il sommo poeta inglese <<tanto rumore per nulla>>.

L’ordito normativo che compendia il Titolo V della Costituzione repubblicana, così come novellato nel primo anno del terzo millennio con la legge costituzionale nr.3 del 2001 fin dal suo esordio (artt.114, 116 e 117), non lascia adito a dubbi di sorta. Il prosieguo normativo del testo costituzionale novellato – artt. 118/133 Cost. – confortano pienamente la ricostruzione qui operata.

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Note

([1]) Promulgata dal capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947 e pubblicata in gazzetta ufficiale nr.298 del 27 dicembre 1947 in edizione straordinaria e in vigore dal 1° gennaio del 1948.

([2]) Legge istitutiva del servizio sanitario nazionale.

([3]) Legge 23.12.1978, nr.833, art. 32. Funzioni di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria: Il Ministro della sanità può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni. La legge regionale stabilisce norme per l’esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, di vigilanza sulle farmacie e di polizia veterinaria, ivi comprese quelle già esercitate dagli uffici del medico provinciale e del veterinario provinciale e dagli ufficiali sanitari e veterinari comunali o consortili, e disciplina il trasferimento dei beni e del personale relativi. Nelle medesime materie sono emesse dal presidente della giunta regionale e dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale. Sono fatte salve in materia di ordinanze, di accertamenti preventivi, di istruttoria o di esecuzione dei relativi provvedimenti le attività di istituto delle forze armate che, nel quadro delle suddette misure sanitarie, ricadono sotto la responsabilità delle competenti autorità. Sono altresì fatti salvi i poteri degli organi dello Stato preposti in base alle leggi vigenti alla tutela dell’ordine pubblico.

([4]) È la cd. legge Spadolini, dal nome dello storico prof. Giovanni Spadolini, all’epoca presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana.

([5]) Ci si riferisce alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, nr.3; la legge costituzionale nr.3 citata ha inciso fortemente sul tessuto del testo costituzionale comportando modifiche anche alla precedente legge costituzionale nr.1 del 23 novembre 1999 e avvalendosi, in seguito, di disposizioni di attuazione di talune norme costituzionalmente novellate per il tramite della legge nr.165 del 2 luglio 2004. A ben vedere, dunque, quando si dice nel testo è il frutto dell’impalcatura costituzionale della legge nr.3/2001 ma dell’innesto della stessa sulla citata legge del 1999 e delle successive disposizioni d’integrazione attuative del 2004.

([6]) Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il trentino Alto Adige e la Valle D’Aosta, dispongono di forme e condizione particolare di autonomia secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La regione Trentino Alto Adige è costituita dalla province autonome di Trento e di Bolzano. Un ulteriore esempio del verbo riconoscere nell’ambito dell’art.5 Cost.. Ulteriore forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie cc.dd. di legislazione concorrente, in uno a talune materie di legislazione esclusiva, possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello Stato, su inziativa della regione interessata e sentiti gli enti locali. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti sulla base d’intesa tra la Stato e la regione interessata.

([7]) Le regioni e le provincie autonome di trento e di Bolzano nelle materie di loro competenza partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’unione Europea nel rispetto delle norme di procedura stabilita da legge dello Stato che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

([8]) Nelle materie di sua competenza la regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

Prof. Sergio Ricchitelli

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