Il tema della sovranità tra il XVIII ed il XIX secolo

Sgueo Gianluca 10/01/08
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1. Il tema della sovranità nell’epoca moderna, 2. La sovranità e lo Stato liberale a cavallo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento; 3.1 La crisi dello Stato liberale e la concezione della sovranità nel regime fascista; 3.2 l’organizzazione dello Stato fascista in relazione alla sovranità 4. La sovranità negli Stati federali e nelle comunità sovranazionali. 5.1 La fine dell’autoritarismo ed Il passaggio dalla sovranità dello Stato alla sovranità del popolo; 5.2 La sovranità popolare nella costituzione italiana 6. Sovranità popolare ed Ordinamento Costituzionale 7. Verso la crisi della sovranità
 
 
1. Il tema della sovranità nell’epoca moderna
Lo studio della sovranità nel medio-evo[1] ha posto in evidenza alcuni aspetti significativi. Tra questi, quello principale è senz’altro la mancanza di un concetto chiaro e definito di cosa sia la sovranità e di quali siano i suoi limiti.
S’è detto, infatti, che la sovranità medioevale costituisce un’esperienza ancora in stato embrionale, in fieri, e che solamente nelle epoche storiche successive acquisirà una dimensione più chiara e definita (seppure, è bene chiarire subito, non meno controversa, data la presenza di un ampio dibattito dottrinario in merito).
È giunto dunque il momento di analizzare nel dettaglio il tema della sovranità a cavallo tra il secolo XVIII e XIX. È opportuno anticipare, a tale riguardo, che si porranno in evidenza alcuni punti significativi. Il primo, è più importante, è la progressiva associazione tra la sovranità viene e la figura dello Stato.
Se ben si ricorda, durante il medio-evo questa associazione si era già presentata, ma era rimasta acerba, a causa, soprattutto, del fatto che non era ancora presente un concetto definito di Stato. Ora che invece questo concetto è presente e radicato, la sovranità ne diviene una peculiarità essenziale ed imprescindibile.
Questa circostanza porta ad evidenziare un secondo aspetto significativo: a seconda del tipo di Stato di cui si tratta esiste e si sviluppa un diverso concetto di sovranità.
Dunque, avremo modo di analizzare la sovranità riferita ad uno Stato di stampo liberale ed una sovranità (diversa, eppure per certi versi assimilabile alla precedente) associata ad un modello di Stato autoritario. A tale ultimo proposito si introdurrà l’esempio dello Stato fascita, nel quale tale ultima associazione si appalesa in modo inequivocabile.
Infine, con l’avvento dell’ordinamento costituzionale, la sovranità acquisirà una nuova connotazione, legandosi inscindibilmente alle prerogative proprie di uno Stato costituzionale.  
Questa circostanza costituisce, inoltre, un terzo aspetto, relativo alla crisi del concetto di sovranità, che verrà messo in evidenza in una terza, ed ultima, parte di questa ricerca.   
Il quadro intrapreso nel capitolo precedente si delinea dunque in modo più netto: come sosterrà Quaglioni, la sovranità in epoca moderna acquisisce una sembianza duplice: “as both idea and institution, lies at the earth of the modern”. Tale duplicità, tuttavia, finirà per impedire la formulazione di una risposta certa ed univoca alla questione per cui la sovranità rispecchi o meno il ruolo e la funzione del potere nel mondo contemporaneo. Condurrà, in ultima analisi, alla crisi della sovranità così come la si è intesa finora e, con essa, alla crisi del concetto di Stato moderno.
 
2. La sovranità e lo stato liberale a cavallo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento
Come anticipato in premessa, il dato da cui prendere le mosse è il seguente: tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento si sviluppa in maniera solida la teoria dello Stato-sovrano. Si tratta di una tesi che incontrò un’ampia diffusione tra gli studiosi del diritto e della politica e che venne formulata per la prima volta dalla dottrina giuspubblicistica.
La peculiarità che venne attribuita alla sovranità fu quella di essere una “terza via” tra la sovranità del monarca (di stampo tradizionale) e la sovranità del popolo[2] (che andava allora sviluppandosi e prendendo piede nella comunità scientifica).
È bene dunque, per avere piena comprensione del problema, operare una breve e sintetica ricognizione tanto della teoria di Vittorio Emanuele Orlando, il vero e proprio ideatore del modello giuspolitico stato-centrico di cui s’è detto, elaborato con rigore formalistico da Vittorio Emanuele Orlando, quanto – ed anzi, in via preliminare – degli autori minori che contribuirono con il loro pensiero ad arricchire la teoria di cui si tratta.
In particolare, tra gli autori minori, è opportuno analizzare la teoria del Miceli, autore del Saggio di una teoria della sovranità[3] . La ragione è semplice: questa opera a differenza di altri scritti apparsi in Italia nello stesso periodo, ha il merito di presentare ed argomentare una nuova teoria della sovranità, intrisa in una concezione filosofica positivista, ma che proprio in quanto formulazione di una teoria, prescinde dalla mera ricostruzione basata sulla storia del pensiero politico: così come, invece, finivano per contraddistinguersi,  altri studi allora dedicati alla sovranità[4].
Per Miceli, dunque, la sovranità: “non è altra cosa che la tendenza alla disposizione gerarchica estrinsecatasi o in via di estrinsecazione della convivenza, od in altre parole, il bisogno di ogni società di organizzare la sua Forma in proporzione al suo principio di Autorità”[5] .
Ed il principio di autorità in una società, si esprime attraverso il complesso delle forze sociali gerarchicamente coordinate; e tale principio L’autore lo definisce Sovranità sociale o Diritto Sovrano della società, che sfocia nella sovranità politica. Egli sostiene infatti che “ Il bisogno che ad ogni convivenza di costituire una forma politica secondo il suo principio di Autorità, genera la Sovranità politica, parte della sovranità sociale, e l’organismo politico, per tal modo prodotto, prende la generica denominazione di Stato. Questo bisogno che ogni convivenza dimostra di organizzarsi a Stato conformemente al suo principio di Autorità politica, dà luogo ad un diritto, poiché genera il bisogno di procedere a questa organizzazione e di procedervi indipendentemente da ogni pressione e da ogni estraneo intervento. Essendo la sovranità politica una parte della Sovranità sociale, non vi è dubbio che i medesimi principi svolti a proposito di quest’ultima, trovano anche qui la loro applicazione. Ad ogni società compete organizzare la sua forma politica, siccome le compete in genere di organizzare la sua forma sociale”[6].
A ben vedere, nella teoria di Miceli, il rapporto Stato-società si appiattisce e la sfera statale finisce con l’occupare una posizione subordinata rispetto alla sfera sociale. La sovranità, in questa teoria, occupa solamente il versante giuridico-formale. Essa, più che un diritto, è un diritto-dovere, una funzione della società stessa. Quando, poi, esprime formalmente la complessiva distribuzione del potere, i portatori della sovranità saranno quei soggetti e quei gruppi capaci di occupare, una posizione dominante[7].
Il modello monistico sociocentrico di cui si fa portatore Miceli non ebbe però grande fortuna. Esso venne rapidamente sostituito dal modello giuspolitico statocentrico di cui fu portatore Vittorio Emanuele Orlando.
Questo costruisce la sua teoria su una duplice base: anzitutto, fa tesoro della lezione dei giuristi tedeschi ottocenteschi. In particolare, Orlando ha sviluppato in Italia il concetto di Stato-persona ed il metodo puro del diritto pubblico, elaborati in Germania da Carl Friedrich von Gerber e da Paul Laband nella seconda metà dell’ottocento. Non è un caso, infatti, che la elaborazione teorica di Orlando giunge ad esiti assai vicini a quelli a quelli formulati dalla dottrina tedesca dello Stato-persona.
Inoltre, vi abbina il metodo giuridico per lo studio di diritto pubblico.
L’esigenza principale dell’autore, di fronte ad un organismo politico ancora debole, di uno Stato ancora informazione, è quello di dare forza allo Stato. Significativo è quanto scrive a conclusione della sua prolusione del 1889 dedicata a I criteri tecnici per la ricostruzione giuridica del diritto pubblico:“Così il diritto pubblico è in tanto obietto di una scienza positiva in quanto concretato nelle istituzioni di un popolo determinato, in quanto è diritto pubblico positivo. Noi non dobbiamo occuparci di uno Stato ottimo, ma di uno Stato esistente, non della sovranità di una idea ma della sovranità dei poteri costituiti, non dei diritti dell’uomo ma della tutela giuridica della sfera individuale, onde la libertà non si concepisce più come mera potenzialità ma come attività effettiva[…] Questa unità di Stato, così lungamente desiderata, non basta che abbia avuto un riconoscimento politico, ma bisogna che viva della vita del diritto di un diritto nostro, di un diritto nazionale”[8].
In questa preclusione c’è un esplicito riferimento alla sovranità dello Stato (“la sovranità dei poteri costituiti”); come per altro è riscontrabile anche nei precedenti lavori di Orlando e troverà forma ancora più esplicita specialmente nel saggio che introduce il Primo trattato completo di diritto amministrativo diretto dallo stesso Orlando. Qui l’autore scrive sullo Stato ed in particolare sulla personalità dello Stato e la nozione di sovranità, afferma: “ l’essenza giuridica della sovranità non può comprendersi se non in stretta connessione con il concetto di personalità dello Stato, i due concetti si completano e si rafforzano a vicenda”[9].
La portata del principio della personalità dello Stato consiste nella capacità di volere e di tradurre in atto la propria determinazione. La sovranità, in tale contesto, consiste precisamente nell’affermazione di questo momento essenziale della personalità dello Stato l’autore afferma: “In altri termini la nozione di sovranità comprende la capacità giuridica dello Stato, che è il termine correlativo di qualsiasi giuridica personalità. Mediante la sovranità lo Stato esercita tutti i diritti che gli competono come subietto destinato al perseguimento del suo fine. Il dire che la sovranità comprende tutti i diritti subiettivi dello Stato equivale a dire che essa è la condizione per l’esercizio legittimo di tutti i pubblici poteri o la fonte dei poteri medesimi[….] In tal modo concepita la sovranità ci appare come un attributo inseparabile dall’idea di Stato[….] la sovranità è nello Stato e per lo Stato: discendendo negli organi che la esercitano, ma non emana da essi: un re una assemblea non è fonte della sovranità, ma il poteri di essi deriva dallo Stato, in quanto appare rivestito d’impero”[10].
Attraverso l’affermazione di una nozione organica dello stato, Orlando finisce con il rigettare la teoria della divisione dei poteri, in quanto contraddice a quel principio essenziale, che vede nello stato un organismo in cui tutte le parti sono connesse, tutte le funzioni coordinate fino a fondersi tutte in una grande unità[11].
Orlando, inoltre, rigetta l’idea della sovranità popolare: perché considera lo Stato il solo sovrano e quindi non ammette forme ulteriori di frammentazione della sovranità, sia perché considera l’espressione popolo come equivalente della parola Stato, ed è nello Stato che il popolo trova la sua vera espressione come unità giuridica: pertanto popolo e stato sono le due facce, sinteticamente distinte, di un’idea essenzialmente unica[12].
La dottrina della sovranità popolare, aggiunge Orlando, non può spiegare giuridicamente, lo stato moderno rappresentativo. Il processo di formazione dello Stato moderno era avvenuto dall’alto in basso, anziché dal basso in alto; era avvenuto cioè attraverso una intera evoluzione e trasformazione dell’organizzazione statale, piuttosto che per conquista popolare. In questo scenario si impone il dogma della sovranità dello Stato, che l’ordinamento qualifica come persona e pertanto come il soggetto titolare della potestà di governo.   
 
3.1 La crisi dello Stato liberale e la concezione della sovranità nel regime fascista
In netta opposizione alla concezione di sovranità legata allo Stato liberale di fine ottocento si pone, quale conseguenza della crisi di quella forma di stato, una nuova concezione di sovranità. Questa si manifestò palesemente a partire dagli anni venti.
Già nel 1920 Alfredo Rocco affermava che: “Lo stato è in crisi: lo Stato va dissolvendosi, giorno per giorno, in una moltitudine di aggregati minori, partiti, associazioni, sindacati che lo vincolano lo paralizzano, lo soffocano; lo Stato perde con moto accelerato, uno per uno gli attributi della sovranità”[13].
A questa netta affermazione Rocco aggiungeva l’esame delle significative innovazioni che lo Stati fascista aveva introdotto sul piano giuridico: “giuridicamente non meno profonde sono le differenze tra Stato liberale e Stato fascista. Quest’ultimo è lo Stato veramente sovrano, quello che cioè domina tutte le forze esistenti nel paese e tutte sottopone alla sua disciplina”[14].     
È innegabile come la configurazione di un modello di Stato autoritario non poteva concepire un concetto di sovranità come quello che era stato utilizzato fino ad allora. Eppure, come si è anticipato in premessa, accanto alle divergenz tra le due concezioni vi era anche un filo di continuità con l’esperienza liberale, rintracciabile proprio nella concezione dello stato sovrano. Vediamole nel dettaglio.
Per quanto riguarda i punti di contatto, a ben vedere, è evidente che la teoria dello stato sovrano che venne in auge nel periodo fascista non è affatto nuova. Tutta la scuola giuridica di diritto pubblico la professa, insegnando tradizionalmente che la sovranità non è del popolo, ma dello Stato. Però il dire che lo Stato è sovrano significa negare il liberalismo e la democrazia, per cui una superiorità dei fini dello Stato su quelli degli individui non esiste, come non dovrebbe esistere la sovranità dello Stato.
La contraddizione tra la concezione giuridica e la concezione politica dello stato, piuttosto, è tanto più grande in quanto è chiaro che dalla teoria della sovranità dello Stato discende la teoria dello Stato fascista. Se infatti lo Stato è sovrano, ciò significa che lo stato adempie ai fini suoi propri, superiori a quelli degli individui. Trasformare lo Stato liberale nello Stato fascista significava, dunque, rendere effettiva la sua sovranità ed efficace la sua autorità[15].        
Nello stato fascista quindi la sovranità dello stato veniva ad essere resa effettiva, laddove invece nello stato liberale rimaneva una formula teorica priva di una sua concezione istituzionale.
Nel regime fascista la sovranità non è più fattore di qualificazione dello stato, ma della forma di stato e della forma di governo.
La sovranità assume un posto centrale nel sistema diventa il concetto base su cui si fonda il regime, assurge a parametro fondamentale sul quale identificare il nuovo stato fascista, ma soprattutto, si esprime attraverso un organo, che diventa superiorem non recognoscens[16]. Infatti il titolare della sovranità è lo stato ma il suo esercizio spetta al potere esecutivo, quale vero ed assoluto rappresentante dell’unità dello stato.
 
3.2 Segue. L’organizzazione dello Stato fascista in relazione alla sovranità
Il titolare della sovranità era comunque e soltanto lo Stato, il dogma della sovranità esclusiva dello stato costituisce il principio preminente del nuovo diritto pubblico italiano.
Lo stato era però guidato da un potere esecutivo forte, il cui Capo assumeva l’identità di leaderschip del Paese, il Governo diveniva perciò l’organo principale e l’esclusivo titolare della sovranità dello Stato ed il suo indirizzo politico fungeva da guida delle scelte della nazione. Quindi l’esercizio della sovranità statale spettava principalmente al governo.
Si assiste in questi anni al consolidamento di una sovranità dell’esecutivo. L’esecutivo è l’organo preminente della sovranità dello Stato, l’indirizzo politico del governo, durante il regime fascista, diventa il fenomeno costituzionale attraverso il quale si esplica e si diffonde l’azione dello Stato all’interno della società. E’ il momento di esercizio e di attuazione della sovranità statale.
L’obiettivo del legislatore fascista era quindi quello di collocare nella volontà dei governanti il potere sovrano, veniva negata la sovranità del popolo a favore della sola sovranità della Stato il cui esercizio spettava al Governo. Come affermava Rocco: “ Il regime fascista respinge il dogma della sovranità popolare, cioè il diritto delle masse”[17].
In conclusione durante il regime fascista il reale detentore della sovranità era il governo ed il suo capo. Tutto però ruotava intorno ad un unico e forte principio: quello della sovranità dello Stato, che rappresentava l’asse portante della struttura architettonica della politica costituzionale del regime fascista.    
 
4. La sovranità negli Stati federali e nelle comunità sovranazionali
Limitare lo studio della moderna concezione della sovranità al binomio tra concezione liberale e concezione autoritaria non sarebbe opportuno. Va infatti detto che, a partire dal 1900, si affacciano sul panorama internazionale nuove esperienze politiche in relazione alle quali il concetto di sovranità aggiunge, a quelli originari, nuovi ed importanti significati.
Tra queste esperienze ve ne sono due sulle quali è opportuno spendere qualche parola. La prima è quella relativa agli Stati federali. Attenzione: non che l’esperienza costituisca una novità del secolo XIX, anzi. La natura federale delle compagini statali è invenzione antica. Tuttavia, nel periodo moderno, la nascita di nuovi ordinamenti federali rende il problema del rapporto con la sovranità molto affascinante.
In questo contesto, dunque, i singoli ordinamenti costituzionali di ciascuno Stato confederato sono diversi ma connessi tra loro. ne deriva una distribuzione originale delle competenze statali: in parte allo Stato centrale, in parte ai singoli governi locali, in via esclusiva o privilegiata. Dunque, la sovranità nell’esperienza federale si scinde: ogni Stato membro è anche stato sovrano, al tempo stesso la sovranità appartiene anche allo Stato centrale.
In detto contesto, la sovranità di ciascuno Stato non corrisponde all’originarietà dell’ordinamento, e non risulta valida l’identificazione tra la nozione di sovranità e quella di ordinamento giuridico originario, valevole invece per gli Stati unitari. Ne deriva, in ultima analisi, una maggiore complessità che consente di evitare, in numerosi casi, la deriva autoritaria che avranno invece molti Stati unitari, Italia compresa.
La seconda esperienza di cui è interessante parlare è quella delle Comunità sovranazionali. Infatti, sarà in epoca moderna che l’ordinamento dei rapporti tra Stati raggiungerà un maggior grado di perfezionamento e porrà agli autori il problema della sovranità.
La grande novità inquesto caso consiste nel fatto che i singoli Stati limitano la loro sovranità nazionale (intesa sia come potere sovrano interno, sia come capacità di agire nell’ordinamento internazionale) per concederla alle comunità sovranazionali.
Un esempio significativo sono, in tale senso, l’esperienza della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, La Comunità Economica Europea, l’Euratom (la Comunità dell’energia atomica) e, più di recente, l’Unione europea.
Tali comunità sono basate su un accordo plurilaterale che conferisce loro il carattere di istituzioni. Al tempo stesso, esse non rappresentano solamente gli Stati, ma anche i singoli cittadini. Dunque, non ricevono solamente una sovranità derivata dagli Stati, ma godono anche di una legittimazione autonoma, che si riflette nel rapporto con i cittadini, e che configura una sovranità di tipo popolare.
 
5.1 La fine dell’autoritarismo ed il passaggio dalla sovranità dello Stato alla sovranità del popolo
Conclusa la disgressione che ci ha portato ad analizzare brevemente il concetto di sovranità nelle comunità internazionali e federali, è possibile tornare all’analisi dell’esperienza italiana. Con la fine del fascismo venne a cadere anche tutto quell’edificio costituzionale che il regime aveva costruito e che aveva fondato su di un principio ritenuto assoluto e fondamentale, cioè quello della sovranità dello Stato.
La nuova fase storica italiana, dovette in primo luogo rimettere in piedi, un nuovo Stato e successivamente, darsi una Costituzione democratica. Lo stato, in questo contesto, non poteva più essere il sovrano: questa prerogativa appariva come troppo legata, ad una concezione del potere di tipo totalitario, laddove tutto era nello Stato e tutto dipendeva dallo Stato, dove tutto ciò si risolveva nella forza decisionale del governo, il quale agiva all’interno della società come il solo organo rappresentante della volontà dello Stato.
Occorreva invece mutare le premesse di partenza: il titolare della sovranità, in uno Stato democratico, non poteva che essere il popolo.
Non si comprende, infatti, uno Stato autenticamente democratico se non si richiama alla fonte della sovranità, che risiede essenzialmente nel popolo. Infatti affermare che il popolo è il titolare della sovranità vuol dire adottare l’idea democratica. Democrazia e sovranità del popolo, sono due facce di una stessa concezione. L’assegnazione della titolarità del potere supremo al popolo, si pone come logico fondamento dell’ordine democratico.
Il primo atto normativo con il quale si attribuì al popolo l’esercizio della sovranità, fu quello concernete la scelta su quale forma di stato adottare per l’Italia post-fascista.
Infatti affidando alla scelta del popolo il futuro destino del Paese, se ne riconosceva la supremazia.
La Repubblica italiana è stata voluta con un voto espresso attraverso un istituto di democrazia diretta, il referendum istituzionale.
Si introduceva il Italia la forma di governo monista fondata esclusivamente sulla sovranità popolare, la Repubblica, al posta di quella forma di governo dualista, la Monarchia, caratterizzata dalla presenza di due centri separati: il popolo ed il sovrano.
Questo fu un importante mutamento istituzionale il cui referendum del 1946 costituisce, la conferma irrevocabile[18].
Con il decreto del 16 marzo n. 98 del 1946 si introdusse per la prima volta un principio fino ad allora sconosciuto alla Storia costituzionale italiana: cioè quello della sovranità popolare, inteso nella sua accezione più ampia di potere costituente e quale forma definitiva della legittimazione della forma stessa dello Stato post-fascista e come nuovo principio informatore del sistema[19].
Il decreto poneva la sovranità popolare come fonte della scelta istituzionale.
 
5.2 La sovranità popolare nella Costituzione italiana
Fu perciò proprio l’affermazione del principio della sovranità popolare, la chiave di volta del nuovo assetto pre-costituzionale che, successivamente, condizionerà fortemente, l’impostazione teorica e normativa della nuova Costituzione.
E’ stato scritto, che: l’affermazione della sovranità popolare non sia soltanto un principio scritto sulla carta, ma comincia a divenire patrimonio comune e saldamente radicato in una società, che con quel voto del referendum istituzionale, aveva inteso affrancarsi definitivamente, da uno stato di sudditanza, per divenire diretta partecipe della vita istituzionale dello stato”[20] .
Il 2 giugno del 1946 il popolo italiani con una manifestazione di sovranità popolare, scelse la forma di Stato della Repubblica, tale scelta ha influenzato in maniera irrevocabile il successivo impianto della Costituzione italiana[21].
Nel progetto di Costituzione che la Commissione presentò alla presidenza dell’Assemblea Costituente il 31 gennaio 1947, vi erano già presenti alcuni chiari e sostanziali indirizzi costituzionali che attribuivano al popolo poteri di decisione diretta e non mediata. Questi indirizzi traevano spunto dall’art. 1 comma terzo del progetto, il quale stabiliva che: “la sovranità emana dal popolo ed è esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione e delle leggi”. Parte della dottrina afferma che: “la sovranità popolare prima ancora di essere un principio ideologico affermato nel testo costituzionale, è la fonte dello stesso testo costituzionale e dell’intero ordinamento della Repubblica”[22]
Si può quindi affermare che la caratteristica fondamentale che distingue la Repubblica dalla Monarchia, che in quest’ultima la sovranità risiede nel sovrano, nella Repubblica invece la sovranità risiede nel popolo. La Repubblica è il regime nel quale il popolo è veramente sovrano e la sua sovranità si manifesta in tutta la vita dello Stato[23]. La sovranità appartiene al popolo che diviene l’organo essenziale della nuova Costituzione.
E’ chiaro allora che se la Costituzione ha previsto una norma che ha stabilito che dal popolo viene emanata la sovranità e che allo stesso popolo ne spetta l’esercizio, ha dovuto anche prevedere istituti costituzionali in grado di regolare l’esercitabilità concreta della sovranità popolare, istaurando così un modello di democrazia a partecipazione diffusa attraverso alcuni poteri di democrazia diretta. Tra questi in particolare l’istituto del referendum, che realizza al massimo il principio della sovranità popolare[24].
La Costituzione italiana ha cercato di fare del principio della sovranità popolare il punto di partenza per una rilevante innovazione delle strutture dello Stato. Se è vero che un ordinamento è tanto più democratico quanto più il popolo è posto in condizioni di partecipare direttamente alla direzione politica dello stato, la nostra costituzione è tra quelle che meno hanno trascurato tale presupposto.
In quest’ottica anche il concetto di sovranità deve necessariamente cambiare, rispetto alla concezione tradizionale, che individuava nella sovranità il potere assoluto, superiorem non recognoscens, ed è per questo che viene attribuito al popolo come soggetto composto da una molteplicità di individui di gruppi e di collettività minori[25].
In conclusione l’affermazione della Repubblica democratico-liberale comporta, quindi, una radicale trasformazione dei concetti di sovranità e di popolo: in particolare la sovranità da potere unitario ed indivisibile si trasforma in potere diffuso nella società, ripartito tra organi e soggetti, per quanto riguarda il popolo, questo si articola nei diritti politici e nei diritti civili dell’individuo. 
 
6. Sovranità popolare ed ordinamento costituzionale
L’art. 1 della Costituzione afferma che la sovranità appartiene al popolo che però la deve esercitare nelle forme e nei limiti della Costituzione, quindi fuori dalla Costituzione e dal diritto non vi è sovranità, ma l’arbitrio popolare, non c’è il popolo sovrano ma la massa con le sue passioni e le sue debolezze[26].
Ciò vuol dire che la sovranità popolare deve agire all’interno della Costituzione.
Sebbene l’istituto che esalta al massimo il principio della sovranità popolare sia il referendum, il concetto giuridico di sovranità popolare normativizzato in Costituzione si esplicita anche attraverso altre fattispecie costituzionali, come ad esempio l’elezione dei deputati e dei senatori, l’iniziativa popolare delle leggi etc.
Ma se il popolo è il titolare di tutta la sovranità e, quindi, non di una sovranità limitata ( dal momento che la Costituzione attribuisce soltanto al popolo la titolarità della sovranità), in che ambito si viene a porre lo Stato?
Considerando che sovranità insieme al popolo ed al territorio, rappresenta uno degli elementi costitutivi dello Stato. Quindi sovranità e popolo sono due elementi distinti che fanno parte dello Stato, cioè lo compongono, determinandone la struttura. Perciò in base a questo ragionamento si è sostenuto il “dogma” della esclusiva sovranità dello Stato, di conseguenza la sovranità deve appartenere solo allo Stato in quanto essa è uno dei tre elementi che la caratterizzano, insieme al popolo ed al territorio[27].  
Contro tale opinione si obietta che affermare che sovrano è solo lo Stato significa appoggiare il ragionamento della dottrina anteriore, andando contro il dettato costituzionale che invece sembra affermare il contrario o almeno cosa diversa, si dice: “è la Costituzione che assegna la titolarità della sovranità, prevedendo all’art. 1 che la sovranità appartiene al popolo il quale la deve esercitare secondo le regole costituzionali”[28].
Diverso è l’approccio di altra parte della dottrina la quale afferma che lo Stato si pone come soggetto di diritto, cioè come persona, quindi non si può non sostenere che lo stato persona non sia anche il soggetto della sovranità: di qui appunto il dogma della sovranità dello Stato come conseguenza della personalità giuridica del medesimo[29].
Tuttavia vi è una identificazione della personalità dello Stato con la personalità del popolo, e pertanto della sovranità del popolo con la sovranità dello stato.
Oggi i poteri di sovranità statale sono direttamente attribuiti al popolo, e cioè al complesso dei cittadini. Ma se il popolo è il destinatario delle norme che contemplano ed istituiscono i poteri di sovranità, allora esso proprio in forza dei poteri che gli sono attribuiti, si pone come soggetto di diritto, come persona. La conseguenza di questo ragionamento è secondo la dottrina che il popolo è lo Stato, quindi la personalità giuridica del popolo coincide con quella dello Stato[30].
Occorre però precisare che il popolo si immedesima con lo Stato, ma non cessa per questo di essere formato di individui che hanno una loro naturale capacità d’agire.
In conclusione nel dibattito sulla sovranità popolare può distinguersi la parte relativa al problema della titolarità, da quella relativa all’esercizio, da questa distinzione si può procedere alla sistematizzazione concettuale della forma di Stato e di governo.
Per quanto attiene all’attribuzione della titolarità della sovranità non vi sono dubbi: superato il “dogma” che assegnava allo Stato in via esclusiva la sovranità, e considerato il valore giuridico della norma costituzionale che sancisce il popolo quale titolare della sovranità, ciò significa riconoscere il carattere democratico di un ordinamento, dare forma e sostanza al modello di stato.
 
7. Verso la crisi della sovranità
Si conclude con le riflessioni sulla sovranità e la Costituzione la trattazione sulla sovranità in epoca moderna. I punti che erano stati isolati in origine sono stati tutti posti in evidenza, ed hanno dimostrato come il concetto di sovranità in epoca moderno, per quanto forte di contorni più netti rispetto a quelli che aveva nel medio-evo, non manca di presentare forti contraddizioni. Il binomio tra Stato liberale e Stato accentratore ed autoritario che si alterneranno tra il secolo XVIII e XIX ne costituiscono un esempio evidente.
C’è da dire, tuttavia, che con l’avvicinarsi della fine del XIX secolo si verrà perdendo in occidente il concetto autoritario di sovranità, ed il binomio tra popolo e sovrano acquisirà una valenza intangibile. Proprio da questo aspetto è necessario partire per raccontare, in una parte ulteriore di questa ricerca, la crisi della sovranità.
 
 
 
 


[1] Si vedano, a tale proposito, le riflessioni da me compiute nello scritto titolato “Il problema della sovranità nel Medio-evo”.
[2] Silvestri G. La parabola della sovranità. Ascesa declino e trasfigurazione di un concetto in Rivista diritto costituzionale n. 1, 1996, p. 19.
[3] Miceli V. saggio di una teoria della sovranità, Torino- Firenze-Roma, vol. I, 1884, Vol. II, 1887.
[4] Ellero P., La sovranità popolare, Bologna, 1886; Majorana A., Del principio sovrano della costituzione degli Stati, Roma, 1886.
[5] Miceli V., saggio di una teoria della sovranità, Torino- Firenze-Roma, Vol. II, 1887, p.487.
[6] Miceli V., Saggio di una teoria della sovranità, Torino- Firenze-Roma, Vol. II, 1887, p. 589.
[7] Costa P., Il modelloi giuridica della sovranità, in Filosofia giuridica n.1, 1991, p. 243-244.
[8] Orlando V.E., I criteri tecnici per la ricostruzione giuridica del diritto pubblico, in Diritto pubblico generale. Scritti vari (1881-1940) coordinati in sistema, Mialno 1954, p.21
[9] Orlando V.E., Le teorie fondamentali, in Primo trattato completo di diritto amministrativo, a cura di V.E. Orlando vol. I Milano, 1900, p. 20-21.
[10] Orlando V.E., Le teorie fondamentali, in Primo trattato completo di diritto amministrativo, a cura di V.E. Orlando vol. I Milano, 1900, p. 20-21.
[11] Orlando V.E., Principi di diritto costituzionale, Firenze, 1905, p. 60-61.
[12] Orlando V.E. Del fondamento giuridico della rappresentanza, in Diritto pubblico generale. Scritti vari (1881-1940) coordinati in sistema, Mialno 1954, p. 435 ss.
[13] Rocco A., Crisi dello Stato e sindacati, !920, in Scritti e discorsi Vol. II, Milano, 1938, p. 631, Rocco discorrendo della crisi dello Stato sottolinea come questa già era risalente ai primi anni del secolo ventesimo e citava uno dei più eminenti cultori italiani del diritto pubblico, Santi Romano.
[14] Rocco A., La trasformazione dello stato. Dallo Stato liberale, allo Stato fascista, Roma, 1927, p. 14-16.
[15] Rocco A., La trasformazione dello stato. Dallo Stato liberale, allo Stato fascista, Roma, 1927, p. 19 e 20, le caratteristiche dello sovranità dello stato fascista possono riassumersi nei seguenti termini: un potere di volere, un potere di comando supremo, per cui la volontà dello Stato è per sua stessa natura superiore ad ogni altra volontà individuale o collettiva esplicatesi sul suo territorio, tale potere impone obbedienza in modo assoluto; infine tale potere di comando è indipendente ed autonomo, poiché non è influenzato da forza estranee al suo interno.
[16] Cimento P., Diritto, stato, sovranità, nella dottrina costituzionale italiana, in Archivio Giuridico, n. 1, 1927, p. 154-179.
[17] Rocco A., La trasformazione dello stato. Dallo Stato liberale, allo Stato fascista, Roma, 1927, p. 23-25.
 
[18] Volpe G., Commento all’art.139 Cost., in Garanzie costituzionali: commentario della costituzione,a cura di G. Branca, Bologna Roma, 1981, p.744 e ss.
[19] Ruffilli R., Quel primo compromesso. I contrasti e le mediazioni all’origine della repubblica, ora nel vol. Potere costituente e riforme costituzionali,  a cura di P. Pombeni, Bologna 1992, p. 305.
[20] Caretti P., Forme di governo e diritti di libertà nel periodo costituzionale provvisorio, nel vol., La fondazione della Repubblica. Dalla Costituzione provvisoria dell’Assemblea costituente, a cura di Cheli E., Bologna, 1979, p.68.
[21] Rescigno G.U., A proposito di prima e seconda Repubblica, in Studi parlamentari di politica costituzionale, n.103, 1994, p. 11.
[22] Crisafulli V., La sovranità polare nella costituzione italiana, in Stato, popolo, governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, 1985, p.98.
[23] Paladin L., Le fonti del diritto italiano, 1996, p.159.
[24] Martines T., Il referendum negli ordinamenti particolari, Milano, 1960, p. 84 ess.
[25] Pubusa A., Sovranità popolare ed autonomie locali nell’ordinamento costituzionale italiano, Mialno, 1982, p.144 e ss.
[26] Esposito C., Commento all’art. 1 della Costituzione, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, p.6.
[27] Gerber C.F., Diritto pubblico, a cura di P. Lucchini, Milano, 1971, p.65
[28] Crisafulli V., La sovranità polare nella costituzione italiana, in Stato, popolo, governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, 1985, p.94.
[29] Tosato E., Sovranità dello Stato e sovranità del popolo, in Persone società intermedie e Stato, a cura di A. e G.L. Tosato, Milano, 1989, p.31.
[30] Esposito C., Commento all’art. 1 della Costituzione, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, p.6.
 

Sgueo Gianluca

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