Il testamento nuncupativo un istituto tanto affascinante quanto problematico

Redazione 17/10/02
inserito in Diritto&Diritti nel ottobre 2002
di Dott.ssa Natalia Rossi
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[1] Il formalismo testamentario

Il formalismo ha sempre rivestito un ruolo importante nella fenomenologia dei negozi giuridici sia inter vivos che mortis causa ed ha rappresentato un elemento di netta differenziazione tra sistemi di common law e sistemi di civil law. In questi ultimi si è passati da un intransigente formalismo, tipico del diritto romano, ad una concezione di libertà di forma, più vicina ai sistemi di common law, per poi. ultimamente, approdare ad un nuovo tipo di formalismo: quello informatico della firma digitale[1].

Nel focalizzare l’indagine sulle direttive del nostro ordinamento, si percepisce istantaneamente che il legislatore lascia, di regola, libertà di scelta sul tipo di forma da utilizzare, al fine di ottenere un miglior adattamento alla situazione concreta e un più mirato conseguimento dello scopo; su questa impostazione di base, si fonda il “principio di libertà di forma dell’ordinamento”. Non è, tuttavia, consentita una valutazione unitaria, in quanto esistono negozi la cui ratio risiede proprio nella loro forma. Si tratta della forma richiesta ad substantiam, prevista per negozi regolati da norme inderogabili ed eccezionali rispetto alla libertà formale appena richiamata[2]. Tale categoria viene rappresentata, nel modo migliore, dalla figura del testamento, consistente nella manifestazione dell’autonomia negoziale mortis causa; ogni norma prevista dagli artt. 601-623 c.c., nonché dalla L. 387/1990, il cui scopo è garantire serietà e ponderatezza nella volontà testamentaria, sembra finalizzata a guidare l’interprete nella ricerca delle intenzioni del testatore. Il legislatore ha, infatti, ritenuto che, attraverso una rigida forma esterna e il compimento obbligato di una sequenza prestabilita di atti e di menzioni, il testatore (o il donante) si renda più attento e responsabile. D’altra parte il testamento viene definito come negozio solenne, poiché per redigerlo sono necessarie forme stabilite, minuziosamente, dalla legge, nonostante sia consentita al testatore la scelta tra molteplici tipologie testamento. La ragione del formalismo risiede nell’importanza sociale dell’atto e nell’intento di salvaguardare genuinità e spontaneità nell’interesse generale; le norme in questione sono di ordine pubblico.

Se si richiamano, a tal proposito, i concetti di atto mortis causa non ripetibile, di etero-regolamento recante regole di condotta per gli eredi e/o legatari, di intima volontà del de cuius, si entra nell’ermeneutica testamentaria e si condividono necessariamente gli sforzi di individuare l’effettivo intento del testatore indipendentemente dal mezzo espressivo usato, con ricorso, nei casi limite, ad elementi estrinseci, purché riferibili all’autore della scheda.
L’ analisi di questi rilievi sul formalismo testamentario hanno consentito di ricondurre nella norma codicistica molte fattispecie incerte, quali la lettera testamentaria[3], la bozza di testamento, l’olografo scritto su materiale non cartaceo di difficile allegazione al verbale di pubblicazione…
Tra le fattispecie incerte rientra il testamento nuncupativo che, da sempre, è stato oggetto di studi dottrinali e pronunce giurisprudenziali, foriere delle teorie più disparate.

In dottrina, i termini del discorso consistono in queste due tesi principali. Da una parte autori quali Santoro-Passarelli, Scognamiglio, Cicu, Gangi, Messineo[4], Azzariti Martinez, Capozzi, considerando la non sussistenza della stesura della volontà del de cuius, la mancanza del “corpus mechanicus”, nonché la necessarietà del requisito della scrittura affinché un testamento esista, ritengono si sia innanzi ad una fattispecie di inesistenza, di mancanza di una autentica disposizione testamentaria.

Indubbiamente la valutazione negativa dell’ordinamento giuridico, quando l’atto di autonomia privata presenti una o più anomalie, rispetto al modello legale, deve colpire anche il testamento. La sua peculiarità di negozio ad efficacia differita alla morte del suo autore, però, importa che siano stabilite regole particolari; nonostante la presenza, anche per il negozio testamentario, delle tradizionali figure di invalidità (nullità ed annullabilità), accanto ad esse si trova, appunto, la figura dell’inesistenza.
A monte sussistono problematiche altamente dottrinal-giuridiche, cui in questa sede si accenna solamente, sulla valenza del negozio nullo, ossia se si tratti di atto irrilevante in quanto giuridicamente non qualificabile, o, al contrario, rilevante ma in senso negativo. Tale qualificazione consente di evidenziare la differenza con il negozio inesistente, ossia non qualificabile tout court. Se così si ragiona, regna sovrana la inconfermabilità per l’atto inesistente; se, invece si fa rientrare anche l’atto nullo nel concetto di inesistenza giuridica, il problema della ammissibilità della conferma si sposta sull’interpretazione della struttura del negozio confirmatorio[5]. Se si considera l’atto nullo come atto non rilevante e non qualificabile, l’art. 590 c.c. parrebbe configurare una convalida ex art.1423cc.; si preferisce, invece, la teoria della diversità del fenomeno tra conferma tendente al recupero della volontà, non dell’atto, e convalida.

Preme anticipare che se si tratta di inesistenza è impossibile applicare la normativa prevista per la nullità sulla confermabilità; altrimenti si dovrebbe ammettere la volontaria esecuzione sulla base di semplici dichiarazioni di terzi estranei all’intima essenza della volontà del de cuius.
Alcuni studiosi, quali Pasetti, Lipari, Bigliazzi-Geri, Caprioli. Mezzanotte, Scalia, Scognamiglio e la Cassazione caldeggiano, invece, la teoria della confermabilità argomentando che la volontà del testatore sussiste non sulla carta ma nella memoria dei testi e ne deriva la nullità, non l’inesistenza del testamento.
In caso di conferma è fondamentale la prova testimoniale orale; alcuni vedono tale prova assai rischiosa, altri, invece,obiettano a tal punto da asserire che, addirittura, non è da svolgersi necessariamente in sede giudiziale.

[2] La conferma

L’art. 590 c.c. riproduce, in modo sostanzialmente pedissequo, l’art. 1311 del codice abrogato[6] e si inserisce nella clausola di salvezza, prevista dall’ art.1423 cc.,consistente in eccezioni al principio generale di esclusione della convalida del negozio nullo, prevista dal corpo principale dello stesso art. 1423 c.c.[7].

A differenza della normativa contrattuale ex art. 1423 c.c.[8], in materia testamentaria è l’art. 590 c.c.[9] che tratta esplicitamente della conferma delle disposizioni nulle, mediante dichiarazione od esecuzione consapevole e volontaria da parte di eredi o legatari. Ne consegue che, pur inficiata da una causa di nullità e quindi astrattamente non meritevole della tutela di legge, la volontà testamentaria è fatta salva attraverso l’esecuzione dell’erede, che, nonostante l’anomalia, abbia eseguito la disposizione, palesando il proprio, incondizionato ossequio ad essa. D’altra parte è la norma a richiedere unicamente la conoscenza della causa di invalidità, essendo irrilevante per l’ordinamento il motivo morale o l’interesse patrimoniale che possa fondare il gesto[10].
Tuttavia è innegabile l’esistenza di una contraddizione del legislatore, già del 1865[11]; infatti, da un lato sancisce un rigido formalismo per assicurare la validità formale e sostanziale dell’atto, dall’altro disciplina espressamente un meccanismo capace di derogare (legalmente) al principio di cui supra.
La ragione ispiratrice dell’art. 590 c.c. consiste nel salvare le volontà che il de cuius non seppe o non poté esprimere in modo efficace e valido secondo l’ordinamento; di qui la possibilità di convalidare le disposizioni testamentarie nulle, da qualunque causa la nullità dipenda, cioè sia da ragioni di forma (es.: mancanza della sottoscrizione, sia pure dovuta a mera distrazione o a circostanze fortuite o a ignoranza circa la sua essenzialità), che di sostanza (es.: incapacità naturale o legale del testatore, vizi della volontà), tranne i casi in cui manchi in rerum natura una volontà dispositiva del de cuius (come avviene in caso di testamento falso) o una clausola testamentaria contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico o al buon costume.
Il testatore, peraltro, non può impedire l’impugnazione del negozio invalido inserendo, ad esempio, una condizione risolutiva del lascito: sia il divieto, sia la prevista conseguenza alla sua violazione, sono inefficaci.
Per le ragioni esaminate precedentemente, la dottrina attribuisce unanimamente la valenza di favor testamenti a tale norma, sottolineando il carattere liberale del testamento[12] e l’esigenza di conservazione dell’atto.

[3] I diversi orientamenti di dottrina e giurisprudenza

L’ istituto della conferma ed il conseguente principio di conservazione della volontà del de cuius[13], ha creato discordanze in dottrina in merito alla sua natura giuridica[14]; con riferimento al codice abrogato si spiegava la fattispecie ricorrendo all’obbligazione naturale, ossia obbligo morale di adempiere la volontà, espressa non correttamente dal testatore, mediante un sollecito adempimento. La convalida, secondo tale teoria, avrebbe trasformato l’obbligazione naturale in obbligazione civile; ma la critica è duplice, si avverte l’equivalenza di funzione che l’art. 590 attribuisce a conferma ed esecuzione volontaria e, ancora, la conferma non può essere qualificata come fatto estintivo di un’obbligazione naturale, perché l’efficacia non è equiparabile all’esecuzione di una prestazione irripetibile[15].

Dottrina più recente medita sulla funzione e sul ruolo dell’ atto di conferma; essa fa operare la conferma alla stregua di una conditio juris atta a risolvere la nullità. Ne consegue la creazione di una fattispecie, da un lato, integrativa e, dall’altro, a formazione progressiva; si aggiunga che la disposizione nulla, una volta confermata, ha effetto attributivo e mantiene sempre carattere mortis causa[16].
Altra impostazione dottrinale considera l’atto nullo confermato come vera e propria fonte degli effetti che l’atto avrebbe avuto all’origine, se fosse stato valido. Tale tesi, seguita da parecchi prestigiosi autori quali Bigliazzi Geri, Lipari, Giampiccolo, G.B. Ferri, si basa su un sillogismo: l’atto nullo è inefficace perché non integra lo schema di un atto in senso stretto, se, invece, l’atto nullo è confermato, integra lo schema di un atto vero e proprio e conseguentemente è rilevante ed efficace ai fini di legge[17].Si è innanzi allo schema di una fattispecie complessa, alla quale non si riesce a dare una qualificazione univoca; infatti, l’atto è mortis causa nella prima attribuzione affetta da nullità dal testatore al successore e inter vivos nella seconda attribuzione dal soggetto confermante al terzo beneficiario.
Si aggiunga l’interessante affermazione posta da parte della dottrina[18]: gli effetti della conferma sono non già uguali, ma solo simili a quelli che sarebbero discesi dalla disposizione mortis causa, se fosse stata valida, in quanto il beneficiario acquista i beni che il confermante gli trasferisce, ma non la qualitas ereditaria; tale diritto potestativo sorge unicamente in relazione ed a seguito di un atto mortis causa, non inter vivos di conferma.

Altre tesi si incentrano principalmente sul complicato concetto di assoluta negazione dell’azione di nullità per eredi e aventi causa sananti[19],altre ancora ripropongono il doppio negozio, uno mortis causa e l’altro inter vivos consistente nell’adempimento del dovere morale del beneficiato come se si trattasse di un’obbligazione naturale; tali teorie si ispirano a quelle nate sotto l’egida del codice abrogato[20].
La teoria sulla negazione della nullità[21] sottolinea che la volontaria esecuzione della disposizione mortis causa nulla non sana il testamento rendendolo valido, ma preclude soltanto l’azione a chi abbia confermato o eseguito la disposizione invalida, in osservanza del divieto di venire contra factum proprium, con la conseguenza, che il testamento rimane impugnabile da parte degli altri, eventuali interessati a far valere la nullità. Anche la Suprema Corte[22] ha fondato una sua pronuncia su tale concetto; il fatto che i soggetti confermanti non possano più far valere, successivamente, la nullità dell’atto, non toglie che possano procedere in tal senso altri soggetti che, pur legittimati a confermare il testamento nullo, siano rimasti estranei alla sanatoria. Nel caso in cui da costoro venga impugnato l’atto, la declaratoria di nullità travolgerà, con effetto retroattivo, ogni disposizione di ultima volontà.

Si segnala la tesi diretta ad una ricostruzione unitaria dei fenomeni cd. convalidanti (conferma, convalida, esecuzione volontaria), il cui comune scopo è inserire nella realtà giuridica un atto, nonostante sia il vizio di nullità. Di qui deriva la considerazione della conferma come species del genus convalida e, ancora, la legittima estensione dell’art. 1444 c.c. alla prima figura.
In realtà, l’applicazione della normativa contrattuale al testamento risulta improponibile se si pensa alla diversa terminologia utilizzata dal legislatore e ai diversi fenomeni invalidanti; la convalida presuppone un negozio invalido ma efficace, la conferma, invece, un atto irrilevante e quindi inefficace. Nel primo caso la convalida tende a consolidare gli effetti prodotti da un atto invalido, nel secondo caso la conferma tende a produrre effetti che non potrebbero altrimenti prodursi.

Affermata dottrina[23] segue preferibilmente la teoria del negozio autonomo avente come causa l’eliminazione dei vizi; tale teoria sottende necessariamente ad un negozio che abbia un quid di esistenza, ossia che sia nullo e non inesistente, in modo da consentire alla conferma di integrare la disposizione invalida.
L’ Autorità Giudiziaria, sull’argomento, non prende posizione chiara e motivata. Essa prende sostanzialmente atto del fatto che gli artt. 590 e 799 c.c. derogano al principio generale della non convalidabilità del negozio nullo ex art. 1423 c.c. e in ultima istanza sembra accettare la possibilità di procedere alla conferma.
Il carattere lapidario delle pronunce consente ai giudici di non differenziare la conferma dalla convalida, in quanto possiedono entrambe carattere sanante, e consente, altresì, di evitare la delicata questione della natura e della causa di tali fenomeni[24].
Invero, si pronuncia più attentamente in merito all’attività del notaio rogante l’atto stesso e ne condanna l’intromissione nella funzione giudiziale, rilevando la violazione dell’ art. 28 n.1 L.N.[25]. In sostanza si contesta al notaio la violazione del divieto di ricevere atti manifestamente contrari all’ ordine pubblico e nulli, quale il testamento orale (secondo l’interpretazione dei giudici) e si condanna il notaio che abbia ricevuto dai coeredi un atto di conferma di testamento nuncupativo, poiché tale ricezione implica una previa attività costitutiva di cognizione in capo al notaio volta ad accertare la veridicità intrinseca delle affermazioni, circa l’inesistenza del testamento confermato, con conseguente esorbitanza dalle funzioni notarili ed invasione della sfera riservata alla competenza giudiziaria.

Alcune massime, però, non ritengono che sussista l’illecito disciplinare del notaio che riceva conferma ex art. 590 c.c. dai legittimari del de cuius di un testamento verbale, dopo aver raccolto le dichiarazioni in ordine all’inesistenza di una scheda testamentaria e alla ripetuta e dettagliata volontà espressa dal defunto sulla destinazione dei propri beni. La conferma dell’atto nullo, infatti, non presuppone necessariamente un’attività di accertamento giudiziale circa la nullità delle disposizioni.
Si ribadisce che non può ritenersi invasiva della sfera di attribuzioni dell’autorità giudiziaria, l’attività del notaio, che esegue una mera raccolta delle dichiarazioni dei legittimari, tenuto altresì conto che la fede privilegiata propria dell’atto notarile non si estende al contenuto della dichiarazione di convalida.
Si parla di attività di accertamento, nel senso di ricostruire a posteriori la volontà testamentaria; le parti valutano la situazione giuridica tra loro esistente e si accordano per definirla in modo conforme alla volontà originaria. Il dualismo tra soggetto confermante e beneficiario costituisce un’esigenza imprescindibile per conferire serietà all’acquisto. Si sottolinea che la serietà della dichiarazione resa dal rinunciante-confermante rientrerebbe nel meccanismo della confessione stragiudiziale ex 2735cc.e varrebbe quale prova legale tra le parti ove insorgessero controversie.

[4] Il negozio di accertamento

Il negozio di accertamento è l’atto con cui le parti precisano l’esistenza e il contenuto di un fatto o di un rapporto giuridico preesistente e convengono di vincolarsi agli effetti e alle conseguenze che ne deriveranno. Si intravede in questo meccanismo l’ esplicazione del potere e dell’autonomia delle parti, teso ad attribuire ai fatti indicati efficacia vincolante al punto di escludere, ma non è un’opinione pacifica, la deducibilità in giudizio[26][.
La legge richiede la forma scritta ad substantiam e ciò contribuisce a rafforzare la convinzione in merito alla funzione del negozio di accertamento; il negozio di accertamento elimina le incertezze e conseguentemente, senza effetto traslativo, rende definitiva la situazione giuridica preesistente che ne costituisce il fondamento[27].
Nel caso in cui venga omessa la forma scritta, richiesta a pena di nullità, si ritiene che le parti possano adempiere l’obbligo a posteriori mediante un atto di natura ricognitiva[28].
Controversa è la figura del negozio di accertamento unilaterale, di quel negozio, cioè, che fissa ex uno latere una situazione giuridica preesistente.
Parte della dottrina è contraria ad ammettere negozi di accertamento che non siano contratti, muovendo dalla premessa che “una parte non può imporre all’altra unilateralmente una determinata intelligenza della situazione giuridica”; ma si può obiettare che il negozio di accertamento unilaterale, rispetto a quello bilaterale, avrebbe effetti meno intensi, che si riverberano esclusivamente nella sfera giuridica di chi accerta e solo “di riflesso” in quella dell’interessato.

[5] Ambito di applicazione dell’ art. 590 c.c.

La giurisprudenza, se da un lato non offre spiegazioni teoriche in merito all’art. 590 c.c., dall’altro affronta con attenzione la sfera di operatività della norma.
In un’analisi approfondita si rinviene che l’ambito di applicazione della conferma è, sì, molto ampio, in quanto ricomprende tutte le irregolarità formali, ma non illimitato, in ragione del fatto che la volontà testamentaria è rinnovabile solo nei casi in cui sia riconoscibile una disposizione testamentaria. Infatti la sfera operativa si ridimensiona innanzi alla traccia inesistente in rerum natura, ossia ove manchi la voluntas, in quanto tutto ciò è incompatibile con lo scopo della norma.
Nella normalità dei casi l’art. 590 c.c. si rivolge a ipotesi di nullità formali previste dall’ art. 606 c.c. e altri casi di nullità sostanziali, ma pur sempre dotati dell’ esistenza di un documento, di una disposizione testamentaria imputabile al de cuius.
Il collegamento con il nuncupativo nasce spontaneamente nell’analizzare i casi limite quali il testamento falso o revocato. In realtà le problematiche a monte sono differenti poiché nel caso del testamento falso la volontà testamentaria è stata coartata o inventata e comunque non voluta, ne consegue la assoluta non confermabilità; nel caso del revocato, invece, il testatore ha espresso in maniera inconfutabile il suo desiderio di cancellare le disposizioni precedentemente sottoscritte e si ritiene possa bastare questo breve pensiero, poco giuridico ma molto pratico, per sostenerne la non confermabilità[29]. Il testamento revocato che esiste nella sua materialità ma non rispecchia le intenzioni reali del de cuius.
Si noti che l’art. 590 c.c. non trova applicazione riguardo alle disposizioni testamentarie contrarie all’ordine pubblico o al buon costume e, ovviamente, riguardo alle disposizioni lesive di legittima, dal momento che le stesse non sono punto nulle, ma semplicemente riducibili attraverso l azione ex art. 554 c.c. e cioè suscettibili di essere dichiarate inefficaci nei limiti in cui sia necessario per integrare la quota di riserva[30]. Pertanto, l’esecuzione volontaria di per sé non preclude al legittimario l’azione di riduzione, salvo che egli abbia manifestato anche tacitamente la volontà di rinunziare all’integrazione della legittima.

[6] Conclusioni

E’ indiscussa l’operatività dell’art. 590 c.c. per le ipotesi di nullità formale, ma sussiste una ultima annosa questione, oggetto della presente analisi: il testamento verbale.
La strada sarebbe meno impervia se si abbracciasse l’inconfermabilità, basandosi sull’inesistenza; ma la giurisprudenza[31], più insistentemente che la dottrina, propende per l’atto nullo confermabile e cerca di contemperare le esigenze di certezza del diritto e di prova della volontà del de cuius, ma non vi è traccia nella legge di tale prova tesa ad accertare che una disposizione testamentaria conforme sia stata dichiarata dal de cuius.
La giurisprudenza si dimostra spregiudicata già in tempi remoti[32], nelle cui decisioni si legge l’elencazione dei casi di mancanza totale di volontà e quindi inconfermabili e la conseguente apertura a tutti i casi rimasti fuori dalle griglie, come, appunto, il testamento orale.
L’atteggiamento dottrinale è, invece, estremamente oscillante; da una parte non pochi autori (quali Cicu, Scognamiglio, Galgano) propendono per la soluzione negativa adducendo a sostegno l‘inesistenza giuridica e la considerazione che l’oralità è incompatibile con l’idea stessa di testamento nel senso comune del termine.
Dall’altra parte, altri autori (Pasetti, Gabrielli, Gazzoni, Caprioli, Bigliazzi Geri) sostengono la confermabilità considerando quale vera sanzione la nullità e non l’inesistenza, poiché la volontà testamentaria sussiste.
Si ritiene che nei casi dubbi sia sempre opportuno analizzare con attenzione le fonti; nel caso di specie è particolarmente interessante la Relazione del Guardasigilli[33], ove si legge che la possibilità della sanatoria non deve ritenersi limitata ai soli casi di incapacità testamentaria, di nullità formali o di vizi di annullabilità, ma deve valere anche per i casi di vera nullità per mancanza dei requisiti richiesti ad substantiam. Secondo alcuni[34] tale estensione non può comprendere la mancanza di esistenza oggettiva della disposizione testamentaria, in quanto ciò non è autorizzato né dalla lettera né dallo spirito della norma; invece, altri autori, a nostro avviso più ragionevolmente, ritengono interessante il cambiamento di opinione maturato nelle more della stesura dell’attuale codice civile; il progetto preliminare prevedeva la forma del testamento orale, poi scalzata dall’orientamento prevalente sfavorevole all’incertezza di una dichiarazione verbale in una tema così rigoroso.
In conclusione la tesi della confermabilità del testamento nuncupativo, il cui accoglimento si intravede tra le righe del presente studio, si basa, oltre sulla esigenza pratica, di ordine etico-sociale, di rispettare la volontà liberale del de cuius, quali che siano le modalità giuridiche attraverso cui quella volontà si è manifestata, anche, come si è accennato, sulle origini apocrife delle norme del nostro codice.
Inoltre, in ottica internazionale, è opportuno ampliare la visuale ad ordinamenti vicini, sia in senso geografico che giuridico; Germania e Austria prevedono la figura del testamento nuncupativo.

3 ottobre 2002, Dott.Natalia Rossi

Note:
[1] R.Clarizia “La libertà di forma in civil law ed in common law.Il contratto telematico” in Riv.Not., 1075, 6, 1998.
[2] Contra Perlingieri in Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli, 1987.L’Autore che non si tratti di norma eccezionale, in quanto tale carattere non sussiste di per sè ma per il ruolo e il fondamento che assume nell’ordinamento giuridico
[3] Sul testamento epistolare P.Rescigno in Nozioni generali, Successioni e donazioni, vol.1, Padova,1994
[4] La forma ha il carattere di onere e non di obbligo, pertanto il testamento che non vi si conformi sarà affetto da invalidità e, se non ve ne sono altri validi, si apre la successione legittima. F.Messineo in Manuale di diritto civile e commerciale, vol.sesto, 117, 1962, Milano.
[5] Bigliazzi-Geri “Validità e invalidità, efficacia ed inefficacia del testamento ” in Trattato di diritto privato, 6, 187,Torino 1997
[6] L’art.1311 cod.abr. stabiliva che la conferma, la ratifica o l’esecuzione volontaria di una donazione i di una disposizione testamentaria da parte dei beneficiari include la loro rinuncia ad opporre i vizi di forma o qualunque altra eccezione. L’attuale codice ha ripreso quasi totalmente la disposizione di cui supra, ma si è preferito sdoppiare il disposto in due parti, uno per il testamento e l’altro per la donazione.
[7] Interessante la teoria che esclude ogni tipo di interrelazione tra l’ipotesi del 1424 e del 590, in quanto un contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso ma con gli stessi requisiti di sostanza e di forma, che la parte avrebbe posto in essere se avesse conosciuto prima la causa di nullità; tale ragionamento non è applicabile al testamento, poichè non si può convertire in altro schema negoziale. Contrario Betti “Teoria generale del negozio giuridico” in Tratt. Dir,Civ,It, Vassalli, 1960 rist., 506.
[8] La mancata previsione di una norma analoga all’art.590 cc.per i contratti, dimostra e testimonia la diversità di ruolo rivestito dalla norma in campo testamentario rispetto a quello contrattuale. Liserre in Forma degli atti –Diritto Civile, Enc. Giur. Treccani, vol.dodici, Roma,1989
[9] Ai sensi dell’ art.590 cc. la nullità di una disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere da chi, conoscendo la causa della nullità, abbia, dopo la morte del testatore, confermato la disposizione, o dato ad essa volontaria esecuzione.
[10] A.Palazzo “ Trattato di Diritto civile”,I singoli contratti, Atti gratuiti e donazioni,To,2000,563
[11] L’art. 1311è un misterioso indovinello per Barassi (“A proposito dell’art.1311 cod,civ, italiano”in Foro it. 1909,I,710) e un articolo decisamente illogico secondo Enrietti (“Appunti sull’art.1311cc.” in Riv.Dir. Civ. 1939,228)
[12] Perego “Favor legis e testamento”, Milano, 1970,142.
[13] L’esigenza di salvare, quanto più è possibile, la volontà testamentaria, è stata raffigurata icasticamente con l’espressione “recupero” delle disposizioni nulle, annullabili, e di tipo fiduciario.
[14] L’art.590 cc. È uno degli argomenti più complessi ed enigmatici della materia testamentaria. G.B.Ferri in “ Convalida, conferma, sanatoria del negozio giuridico”Digesto delle discipline privatistiche, IV TO, 1989, 336.
[15] Pasetti “La sanatoria per conferma del testamento e della donazione”,Padova,1953
[16] E’ chiara in merito la teoria di Gabrielli, che parla di conferma come atto accessorio, complementare, non di primo grado. In “L’oggetto della conferma ex art. 590 cod.civ.” in Riv.Trim.Dir.Proc.Civ.,1964,1366ss.
[17] De Giovanni “La nullità nella logica del diritto, Morano ed., 1964,60 ss.
[18] Gazzoni “L’attribuzione patrimoniale mediante conferma”, 1974,141ss.
[19] Cicu “Testamento”,Milano, 1951;Gangi “La successione testamentaria”, Milano, 1952
[20] Oppo “Adempimento e liberalità”, Milano, 1947
[21] Chiara in proposito la pronuncia Cass.Civ.11/08/1980 n. 4923
[22] Cass. Civ. 11/08/1980 n. 4923
[23] Torrente”Manuale di diritto privato”Milano, 1981; Gabrielli “L’oggetto della conferma ex art.590” Riv Trim Dir Prc.Civ 1964; apozzi “Successioni e donazioni,1983
[24] Alcune pronunce Cass.Civ.15/02/1968 n.535 ; Cass.Civ.12/12/1970 n. 2648 ;Cass.Civ. 29/05/1974 n. 1545.
[25] Alcune pronunce Cass. Civ. 11/07/1996 n. 6313 ; Cass. Civ. 09/04/1972n. 2958 ; Cass. Civ. ; Trib.Napoli 29/04/1986 ;Trib.Bergamo 07/11/1994 ;Corte Appello Brescia 20/07/1995
[26] G.Manzini “Il negozio di accertamento: inquadramento sistematico e profili di rilevanza notarile”, Riv.Not.,6, 1996,1427.
[27] Cass.Civ. 16/12/1987 n.9358
[28] Cass.Civ.11/02/1980 n.949
[29] Tale conclusione è accolta pacificamente in dottrina, mentre la giurisprudenza soprattutto datata è oscillante; Cass.Civ. 08/07/1971 n.2185; Cass.Civ. 09/10/1972 n. 2958.
[30] Cass.Civ.08/10/1971 n. 2771
[31] Commento a Cass. Civ.11/0771996 n. 6313 in Riv Not, 2,166,1997.
[32] Cass.Civ. 16/05/1941 n.1476; Cass.Civ. 12/04/1943 n. 846.
[33] Relazione al Re del Libro delle successioni n. 63.
[34] Azzariti-Martinez-Azzariti “Successioni per causa di morte e donazioni” Padova, 1963, 542 ss.

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