Premessa.
In tema di trattamento dei dati personali, il D.Lgs. n. 196 del 2003 (nella versione applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101) ha ad oggetto della tutela anche i dati già pubblici o pubblicati, poiché colui che compie operazioni di trattamento di tali informazioni, dal loro accostamento, comparazione, esame, analisi, congiunzione, rapporto od incrocio può ricavare ulteriori informazioni e, quindi, un valore aggiunto informativo, non estraibile dai dati isolatamente considerati, potenzialmente lesivo della dignità dell’interessato (ai sensi dell’art. 3 Cost., comma 1 e dell’art. 2 Cost.), valore sommo a cui è ispirata la legislazione sul trattamento dei dati personali (Cass., 25 giugno 2004, n. 11864).
La preminenza della dignità umana rispetto all’interesse economico.
Ed invero, nella gerarchia dei valori costituzionalmente tutelati la dignità dell’interessato è ritenuta preminente rispetto all’iniziativa economica privata che, secondo l’art. 41 Cost., non può svolgersi in modo da recare danno alla dignità umana (Cass., 8 agosto 2013, n. 18981). Con specifico riferimento al trattamento dei dati, del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, prescrive che i dati personali (compresi quelli di natura soggettiva, come opinioni e valutazioni che rilevano soprattutto nel settore bancario, per la valutazione dell’affidabilità di chi richiede un prestito, o assicurativo o nel mercato del lavoro) devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza, essere pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati.
Conclusioni.
In conclusione, il soggetto che effettua il trattamento di dati personali deve esaminare e comparare le informazioni in maniera lecita e corretta, dovendo utilizzare solo le informazioni pertinenti rispetto alle finalità per le quali gli stessi sono raccolti e la durata del trattamento non può essere superiore a quella predeterminata in funzione della specifica finalità.
In caso contrario, il trattamento inciderebbe sulla dignità personale dell’interessato andando a configurare un illecito da ricondurre nel paradigma dell’art. 2050 del c.c., norma che scolpisce un’ipotesi speciale di responsabilità extracontrattuale, in particolare quella che può derivare dall’esercizio di attività pericolose. L’art. 2050 c.c., prevede un’inversione dell’onere della prova a carico dell’autore del danno, tenuto a dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo per essere esente da responsabilità, di contro, residua in capo al danneggiato la prova del nesso eziologico fra fatto ed evento nonché delle conseguenze dannose che derivano dall’evento dannoso.
Ciò vale soprattutto, come sottolineato, nel settore bancario, ove in gioco vi sono l’affidabilità e la puntualità dei pagamenti.
Questo è quanto affermato nell’ordinanza della Cassazione n. 368/2021 in commento.
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