Fatto
Un paziente, a causa di problemi alla rotula del ginocchio destro, si era sottoposto ad infiltrazioni articolari al ginocchio nonché a terapia analgesica presso il proprio medico di base. A seguito delle suddette infiltrazioni si era verificata una artrite del ginocchio, che aveva indotto il paziente a recersi al Pronto Soccorso dell’ospedale di Imperia dove, dopo un’analisi da parte dell’ortopedico dell’ospedale, era stato dimesso e sottoposto a terapia antibiotica presso il proprio domicilio. Successivamente, poiché l’artrite al ginocchio non era stata risolta, il paziente veniva sottoposto ad interventi chirurgici per prelevare campioni di tessuti e per effettuare la pulizia delle articolazioni del ginocchio nonché per effettuare un drenaggio e conseguente esame culturale. Dagli esami emergeva la presenza di una infezione e quindi veniva accertato che il paziente era affetto da una artrite settica del ginocchio destro.
In considerazione della propria situazione clinica, il paziente si rivolgeva al tribunale di Imperia sostenendo che l’infezione al ginocchio che aveva patito era da imputare ad un comportamento imprudente, negligente ed impedito sai da parte del proprio medico di base, che della stessa struttura sanitaria cui si era rivolto.
In particolare, il paziente sosteneva che il proprio medico di medicina generale avesse tenuto un comportamento imprudente (nella misura in cui aveva effettuato delle infiltrazioni cortisoniche al ginocchio nonostante egli fosse un soggetto diabetico), negligente (in considerazione del fatto che non aveva rispettato le regole relative alla sepsi e all’asepsi del paziente) ed imperito (in considerazione del fatto che, nonostante fosse già evincibile una situazione di setticemia al ginocchio dopo qualche infiltrazione, il medico aveva comunque continuato il ciclo di infiltrazioni anziché ipotizzare la presenza di una sepsi dovuta alle infiltrazioni). Inoltre, il paziente rilevava come fosse sussistente anche un comportamento inadempiente della struttura sanitaria ascrivibile al comportamento imprudente tenuto dallo specialista ortopedico, il quale non si era reso conto della gravità della situazione settica del paziente, allorquando quest’ultimo aveva effettuato l’accesso all’ospedale, e aveva prescritto una terapia antibiotica da effettuarsi al domicilio del paziente.
In considerazione di ciò, l’attore chiedeva al tribunale di condannare sia il proprio medico di base che l’azienda ospedaliera di Imperia al risarcimento dei danni non patrimoniali e patrimoniali subiti a causa delle suddette condotte.
La decisione del Tribunale di Imperia
Il giudice di primo grado ligure ha ritenuto (parzialmente) fondata la domanda di parte attrice e l’ha accolta, condannando i convenuti a risarcire i danni subiti dal paziente.
Dopo aver passato in rassegna i principi fondamentali che disciplinano la materia della responsabilità medica, il tribunale di Imperia ha analizzato nel merito la vicenda, ritenendo che parte attrice avesse adempiuto all’onere probatorio gravante sulla medesima, mentre i convenuti non erano riusciti a dimostrare che l’evento dannoso fosse dipeso da fatto agli stessi non imputabile.
In primo luogo, il giudice ha ritenuto che il paziente avesse fornito la prova dell’esistenza di un rapporto contrattuale tra lo stesso e il medico di base nonché tra lo stesso e l’ospedale di Imperia: in virtù dei quali rapporti contrattuali il sanitario e la struttura ospedaliera avrebbero dovuto effettuare in favore del paziente una prestazione sanitaria (relativa ai problemi articolari alla rotula del ginocchio di cui soffriva il paziente, per quanto riguarda il medico di base; nonché per la sospetta artrite al ginocchio stesso, per quanto riguarda invece la prestazione dell’struttura sanitaria).
In secondo luogo, il tribunale ha ritenuto che il paziente avesse dimostrato che la propria situazione clinica (cioè la problematica articolare alla rotula del ginocchio) si era aggravata successivamente all’esecuzione delle prestazioni sanitarie eseguite dal medico e dalla struttura: in particolare, tale aggravamento era dovuto alla insorgenza dell’infezione al ginocchio (cioè una artrite settica con tumefazione dolente al ginocchio associata ad una contestuale limitazione funzionale dell’arto stesso).
Inoltre, il paziente aveva altresì allegato un inadempimento, sia da parte del medico di base che della struttura sanitaria, rispetto alle obbligazioni contrattuali sui medesimi gravanti, idoneo a determinare, secondo la regola del più probabile che non, l’infezione insorta nel paziente stesso. All’esito della consulenza tecnica d’ufficio espletata, era emerso che il medico di base aveva effettuato le infiltrazioni senza garantire la sterilità necessaria e quindi configurando tal modo un nesso di causalità fra l’artrite settica subita dal paziente e le infiltrazioni al ginocchio: infatti, secondo il giudice, il fatto che prima delle infiltrazioni il paziente non fosse affetto da alcuna infezione sistemica, né fosse in essere alcun processo settico vicino al ginocchio interessato, esclude che vi possano essere state altre ipotetiche cause alla base dell’insorgenza dell’infezione. A ciò si deve aggiungere, secondo il giudice, che dalla documentazione sanitaria esaminata non sono emersi ulteriori procedure invasive al ginocchio alle quali potesse essere connessa l’insorgenza dell’artrite settica. Pertanto, secondo il criterio del più probabile che non, l’infezione è stata determinata da un difetto di sterilità durante l’esecuzione di una o più delle infiltrazioni eseguite dal medico.
Per quanto riguarda, invece, la responsabilità della struttura sanitaria, secondo il giudice, questa è derivata per l’inadempimento imputabile all’ortopedico dipendente della struttura sanitaria (cui il paziente si era rivolto dopo l’insorgenza dell’artrite), il quale aveva errato nella scelta di terapia terapeutica da applicare alla patologia individuata: infatti, mentre l’ortopedico aveva prescritto al paziente una cura antibiotica con dosaggio dimezzato da effettuarsi al domicilio del paziente stesso, le linee guida in caso di artrite settica imponevano all’ortopedico di valutare la possibilità che fosse in essere una patologia infettiva articolare e quindi di procedere al ricovero del paziente presso l’ospedale e di ivi effettuare una terapia antibiotica ad ampio spettro attraverso delle somministrazioni endovenose fino al miglioramento delle condizioni del paziente.
Infine il giudice ha ritenuto provato altresì il danno non patrimoniale lamentato dal paziente.
In particolare, il giudice ha riscontrato che, a causa dell’artrite settica cagionata al paziente, quest’ultimo ha dovuto subire una limitazione funzionale del ginocchio destro, che ha provocato anche problemi di deambulazione nonché impossibilità di accovacciarsi. In considerazione di ciò, il giudice ha quindi liquidato il danno biologico secondo quanto previsto dalle tabelle milanesi, tenendo in considerazione le percentuali di invalidità calcolate dal consulente tecnico d’ufficio.
In conclusione, per quanto qui di interesse, il tribunale di Imperia ha analizzato la richiesta di personalizzazione del danno non patrimoniale.
A tal proposito, il giudice ha ribadito il principio ormai consolidato in giurisprudenza, secondo cui il sistema delle tabelle milanesi calcola ed individuata il risarcimento relativamente alle conseguenze dannose ordinarie subite dal paziente, cioè quei danni che qualunque vittima subirebbe nel caso in cui fosse sottoposta a delle lesioni analoghe a quelle subite dal paziente. Invece, la personalizzazione del danno non patrimoniale deve essere applicata per risarcire quelle conseguenze dannose che sono specifiche del caso concreto, in quanto derivano da circostanze di fatto peculiari e specifiche (quindi che non si verificano normalmente per quel tipo di lesione).
Ebbene, il giudice, premesso che spetta al danneggiato l’onere di dimostrare la presenza di queste specifiche conseguenze dannose, nel caso di specie, ha ritenuto che l’attore avesse provato tale specificità nella misura in cui aveva dimostrato che dalle problematiche al ginocchio dovute all’evento di malpractice medica erano derivate al paziente difficoltà nella guida dell’autovettura, difficoltà nel sollevare pesi nonché in generale difficoltà di deambulazione.
Il tribunale ha, quindi, ritenuto che dette conseguenze fossero delle vere e proprie conseguenze dannose specifiche che imponevano l’aumento personalizzato del danno non patrimoniale, addirittura nella misura massima possibile.
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