Fino a qualche tempo fa, la problematica inerente gli svincoli, ovvero la possibilità di liberarsi dalla società di appartenenza al termine della stagione sportiva, riguardava tutti i calciatori dilettanti: si parlava infatti di vincolo a vita. In seguito alle importanti novità legate alla sentenza Bosman, è stato invece introdotto un limite: quello dei 25 anni, età oltre la quale un calciatore dilettante può liberarsi con atto unilaterale dalla società di appartenenza e firmare un nuovo tesseramento con altra società; a dir la verità nel corso degli anni sono stati sottoscritti documenti e protocolli d’intesa (puntualmente disattesi) nei quali si ipotizzava la progressiva eliminazione assoluta di tale vincolo nel settore dilettantistico. E’ quantomeno strano che l’Italia sia l’unico Paese Europeo, insieme alla Grecia, dove sussista ancora tale vincolo.
Ma per quale motivo le società devono avere in pugno le sorti di un calciatore under 25 se nella maggior parte dei casi a loro non viene corrisposto alcunché per la prestazione sportiva fornita? Lo sbilanciamento in favore delle società è evidente. L’ipocrisia la fa da padrone: si fa finta di non sapere che, seppur ormai minimi a causa della crisi economica che ha colpito anche il mondo del calcio, esistono i cd. “rimborsi spese” che a fine mese un calciatore, se pattuiti preventivamente, ha il diritto di percepire dalla società. E ritengo ragionevole la pretesa di un calciatore under 25 di cambiare squadra nel caso in cui poco o nulla gli sia stato corrisposto nell’arco dell’intero anno calcistico.
Si potrebbe obiettare che l’introduzione nell’ordinamento sportivo dello svincolo per accordo (art.108 N.O.I.F., Norme Organizzative Interne Federali,) permette al calciatore di potersi svincolare al termine dell’anno calcistico. E’ vero. Ma in realtà capita che il calciatore ignori l’istituto o che la società stessa non abbia voluto controfirmarlo (trattasi di accordo bilaterale) in nome di chissà quale interesse economico; così accade purtroppo che l’art.108 non sia sempre utilizzato.
Iniziano quindi le eterne lotte tra calciatori e società: i ripetuti pellegrinaggi di calciatori verso le sedi, le telefonate senza risposta, i lunghi rinvii, le discussioni ed in alcuni casi le richieste economiche in cambio dell’agognata firma sulla lista di trasferimento: ”o ci dai tot o hai finito di giocare a calcio!”: questa è la risposta che i calciatori ricevono in alcuni casi da dirigenti e pseudo-tali.
Ma tutto ciò è ammissibile? Analizziamo alcuni recenti accadimenti: in Campania, un’atleta aveva registrato su nastro la richiesta di denaro in cambio dello svincolo del proprio presidente e lo ha denunciato alla procura federale; tale pretesa è palesemente contraria sia all’art.1 c.1 del codice di giustizia sportiva che all’art.39 c.2 del regolamento LND, che recita “sono vietati e nulli ad ogni effetto e comportano la segnalazione delle parti contraenti alla procura federale per i provvedimenti di competenza, gli accordi e le convenzioni scritte e verbali di carattere economico fra società e calciatori non professionisti e giovani dilettanti, nonché quelli che siano comunque in contrasto con le disposizioni federali e quelle delle presenti norme”. Per tale motivo, la Procura Federale ha richiesto una sanzione a carico del presidente della società di 4 mesi di squalifica e 700 euro di multa, ridotti poi a 2 mesi e 500 euro dalla Commissione Disciplinare.
Altro caso giurisprudenziale è quello di un tesserato Figc che dopo una lunga battaglia ha ottenuto lo svincolo, pagando invero un prezzo abbastanza alto. Il giovane risultava vincolato alla società, in virtù di tesseramento sottoscritto dai suoi genitori quando lui aveva solo 15 anni. La società gli ha sempre negato la possibilità di sciogliere tale vincolo. Si è quindi rivolto al Tribunale civile per chiedere la risoluzione del vincolo sportivo. Con ampie e argomentate motivazioni, il Tribunale gli ha dato ragione e dopo svariate diffide alla società, il calciatore è stato svincolato; ma a questo punto cosa è accaduto? Poiché rivolgendosi al Tribunale civile, il calciatore ha violato la clausola compromissoria (art. 30 Statuto Federale Figc), ovvero il divieto di rivolgersi ad organi di giustizia estranei a quelli sportivi, è stato deferito dalla Procura Federale, messa al corrente della situazione dalla società soccombente in sede civile. Così, la Commissione Disciplinare Territoriale ha condannato il calciatore a 6 mesi e 500 euro di multa, sentenza confermata in appello dalla Commissione Disciplinare Nazionale.
La questione risulta dunque complessa e tuttora rimane aperta: da una parte ci sono pronunce che sembrano, soprattutto dal punto di vista civilistico, dare sostegno alla posizione dei calciatori dilettanti; dall’altra, quelle emanate da organi di giustizia sportiva che infliggono sanzioni di lieve entità e prive di forza deterrente a carico di dirigenti protagonisti di pratiche scorrette; infine altre, le più bizzarre, che puniscono oltre misura un calciatore che dopo aver visto riconosciuti i suoi diritti da un giudice civile è dovuto star fermo ulteriori 6 mesi a causa della sanzione sportiva: un assurdo calvario calcistico.
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