Illecita interferenza nella vita privata, non per chi filma un rapporto intimo in casa propria

Redazione 19/06/18
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Non commette il reato di cui all’art. 615 c.p. (interferenze illecite nella vita privata) colui che invita la sua ex nella propria abitazione e registra un loro rapporto sessuale, avendo l’intenzione di utilizzare questo filmato per esercitare pressioni sulla stessa, al fine di farle riprendere la relazione.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, con sentenza n. 27160 del 13 giugno 2018, accogliendo le ragioni dell’imputato avverso la propria condanna per il capo di imputazione ex art. 615 c.p..

I giudici di legittimità, difatti, hanno già avuto medo di precisare che non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata, la condotta di colui che mediante strumenti di ripresa, provveda a filmare in casa propria rapporti intimi intercorsi con una donna. L’interferenza illecita prevista e sanzionata dal predetto articolo, infatti, è quella proveniente dal terzo estraneo alla vita privata, e non già quella del soggetto ammesso a farne parte. E’ invece irrilevante l’oggetto della ripresa, posto che il concetto di “vita privata” si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato.

Non commette reato, chi si trova lecitamente nell’abitazione

Ne discende che non può commettere tale delitto chi si trovi lecitamente nell’abitazione all’interno della quale effettui la registrazione (qualsivoglia azione stia compiendo), perché tale soggetto è divenuto “parte” di tale vita privata. Nel caso di specie, poi, il domicilio ove era avvenuta la registrazione era quello dell’imputato, dal quale, pertanto, la persona offesa non aveva alcun diritto di escluderlo.

Né si può affermare, poi, che quella particolare scena di vita privata fosse estranea all’imputato, facendone egli parte. Non può nemmeno ritenersi, infine, che la ripresa fosse indebita per il solo fatto che non fosse autorizzata dall’altro partecipe a quel segmento di vita privata, perché la norma ricollega il disvalore della registrazione alla violazione dell’intimità del domicilio e non alla mera assenza di consenso da parte di chi viene ripreso. Ciò posto, in accoglimento della relativa doglianza, va eliminata – conclude la Corte Suprema – la parte di risarcimento del danno conseguente alla responsabilità per la condotta sopra spiegata (mentre il reato risulta prescritto).

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