Illecita riproduzione delle immagini di opere d’arte

Antonio Lione 05/04/18
di Antonio Lione, presso Studio legale Lione Sarli

Postare immagini su Facebook o Instagram è, ormai, un’azione pressoché quotidiana per moltissime persone. Tuttavia, non tutte le immagini sono liberamente pubblicabili nel web.

Se sussistono delle limitazioni nell’ambito dell’uso privato e non lucrativo ne sussistono ancor di più nell’uso di una immagine con scopi commerciali.

Attraverso il canale digitale si è fortemente ampliata la quantità di opere d’arte in vendita sia tramite case d’asta e piccole galleria sia tramite siti di aste come Ebay o, soprattutto negli ultimi anni, anche tramite Facebook e altri social.

L’artista, sia esso pittore, fotografo, scultore ecc., è costretto a vedere le proprie opere in vendita in aste con modici valori di partenza e dalla lunga durata con il duplice effetto sia di schiacciare i prezzi del mercato sia di danneggiare l’immagine di artisti quotati le cui opere vengono vendute da improbabili case d’asta online o da mercanti semi amatoriali. Si pone pertanto il problema di individuare di quale tipo di tutela l’artista possa beneficiare in casi simili.

Il diritto d’autore

Com’è noto, il diritto d’autore, disciplinato dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 (  Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, in seguito anche L.d.A.) garantisce agli artisti il godimento sia dei diritti morali sia dei diritti patrimoniali connessi all’opera realizzata.

I primi consistono: nel farsi riconoscere autore dell’opera (onde evitare imitazioni o plagi), nel decidere se e quando pubblicarla (diritto di inedito), nell’apportare all’opera modificazioni, nel divulgare l’opera sotto altro nome (diritto di anonimo).

I secondi consistono nella possibilità di riprodurre l’opera e di sfruttarla economicamente.

In base alla L.d.A. l’artista, pur cedendo l’opera, continua a vantare sulla stessa dei diritti morali e, salvo patto contrario, anche i relativi diritti economici connessi all’uso commerciale dell’opera ( diritto di riproduzione, diritto di seguito ecc…)

Conseguentemente il collezionista di opere d’arte acquisterà certamente il bene – il corpus mechanicum –  tuttavia il  corpus mysticum – l’idea, bene immateriale, che si è estrinsecata nel corpus mechanicum, bene materiale –  è di appannaggio esclusivo dell’autore.

Dalla peculiare scissione sopra evidenziata discendono svariate problematiche tra cui il diritto del collezionista di esporre le opere senza il consenso dell’artista.   Sul punto vi è un orientamento minoritario, (cfr. Trib. Verona, 13 ottobre 1989) secondo cui il collezionista ha il diritto di esporre il dipinto senza il consenso.  Tuttavia  la giurisprudenza maggioritaria, con orientamento assai risalente ( cfr. Trib. Venezia, 5 luglio 1951, Corte cost., 6 aprile 1995, n. 108, in Dir. aut., 1995, 421t), tutelando il diritto di autore,  si riconosce nella tesi per cui, nel conflitto tra diritto di autore e diritto di proprietà, la scelta legislativa – alla luce degli artt. 109 e 19 L.d.A. – fa prevalere il diritto di autore.

Se in relazione all’esposizione dell’opera, anche al fine della vendita, vi sono due orientamenti contrastanti, appare assolutamente pacifico la spettanza, in via esclusiva, del diritto di riproduzione in capo all’artista.

Pertanto, per inserire l’immagine di un quadro in un catalogo di vendita sarà necessario il consenso dell’autore (Cfr. App. Roma, 23 dicembre 1992, cit., 440). Inoltre lo scopo culturale della riproduzione dell’opera in catalogo non esime dal dovere di rispettare i diritti economici di autore (cfr. App. Milano, 25 novembre 1997, in Dir. aut., 1998, 350).

Pur non essendovi dubbi sull’illegittimità della riproduzione delle opere d’arte nei cataloghi, in particolar modo in quelli finalizzati alla vendita, senza il consenso dell’artista, il web è ricco di case d’asta, intermediari e privati che nel tentativo di pubblicizzare le opere in commercio pubblicano le fotografie senza il consenso dell’autore. Tenuto conto che non vi è alcuna differenza tra un catalogo cartaceo e uno digitale questa prassi appare del tutto illecita anche in considerazione dell’art. 13 della L.d.A. (novellato dal D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 68. attuativo della Direttiva 2001/29/CE) che prevede in capo all’autore Il diritto esclusivo di riprodurre ha per oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma.

Il riferimento alle copie dirette ed indirette è un espresso riferimento del legislatore al mondo digitale.

In ogni caso è evidente il contrasto che si creerebbe laddove si vietasse l’esposizione dell’opera e la riproduzione su cataloghi cartacei senza il consenso dell’autore ma si consentisse l’esposizione/ riproduzione su cataloghi digitali.

Se il legislatore nazionale avesse voluto diversamente disciplinare la riproduzione a mezzo internet  avrebbe ampliato i casi di libera riproduzione, mentre, ad oggi, l’art. 70, comma 1bis prevede la  “libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzioni o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro”

Probabilmente la causa delle problematiche è l’errata interpretazione del concetto di riproduzione (tanto degli operatori del settore quanto dei venditori occasionali del web). Infatti nell’opinione comune si crede che riproduzione sia solo quella che moltiplica l’opera in esemplari dotati delle stesse caratteristiche dell’originale e non, quindi, la riproduzione fotografica di un’opera dell’arte figurativa (cioè il catalogo cartaceo o digitale), tuttavia la  Suprema Corte, Sez. I, con la sentenza n. 11343 del 19 dicembre 1996, ha disatteso questa tesi.

Peraltro, il legislatore comunitario tramite le Direttive 2004/48/CE e  2001/29/CE tenuto conto della dimensione transnazionale che può assumere il fenomeno della riproduzione dell’opera (la quale infatti ben può avvenire in Paesi diversi), ha previsto la possibilità per l’artista di ricorrere alla tutela cautelare d’urgenza nel proprio Stato di residenza.

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Antonio Lione

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