L’utilizzo del bene comune
Ogni condomino, in virtù dell’art. 1102 Cc, può servirsi del bene comune, quale ad esempio il tetto o il terrazzo dell’edificio condominiale, con l’obbligo, tuttavia, di non alterarne la sua naturale destinazione o impedire agli altri condòmini di farne parimenti uso.
Ciò posto, il rispetto delle anzidette condizioni consente al singolo condomino di fare anche un uso più intenso della cosa comune anche se, in questo caso, le spese necessarie per il miglior godimento della cosa rimangono a suo esclusivo carico.
Come accennato, la possibilità per il singolo condomino di servirsi della cosa comune – pur con modalità peculiari e differenti rispetto alla sua normale destinazione, ed anche utilizzando il bene in maniera più intesa – deve in ogni caso permettere il simultaneo utilizzo, quand’anche potenziale, da parte degli altri condòmini senza alterarne <<il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari>>.
A tal uopo, infatti, è stato ritenuto che <<deve qualificarsi illegittima la trasformazione — anche solo di una parte — del tetto dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, risultando in tal modo alterata la originaria destinazione della cosa comune, sottratta all’utilizzazione da parte degli altri condomini>> (Cfr.: Cass. n. 1737/2005; Cass. n. 24414/2006; Cass. n. 5753/2007; Cass. n. 23243/2016)
Tali principi di diritto sono stati sostanzialmente ribaditi dalla Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 28628, relatore dott. G. Grasso, pubblicata in data 29 Novembre 2017.
A seguito dell’impugnativa da parte di un condomino di una delibera assembleare nella parte in cui vietava la chiesta autorizzazione all’installazione di un impianto fotovoltaico ad uso personale, da collocarsi su una porzione del tetto dell’edificio, il Tribunale di Torino dichiarava l’illegittimità della predetta delibera, consentendo al ricorrente l’installazione di una pellicola fotovoltaica sul tetto dell’immobile in condominio.
Il giudizio d’appello
Proponeva gravame il condominio e la Corte d’Appello di Torino, in riforma della predetta sentenza, respingeva la domanda del condomino, ritenendo come <<a) l’assemblea non era stata posta in condizione di conoscere il progetto e, pertanto, non poteva essere in grado di valutarne la conformità all’art. 1120 o all’art. 1102, cod. civ.; b) gli aspetti tecnici, al contrario di quel che aveva ritenuto il tribunale, non attenevano alla buona esecuzione dell’opera, ma incidevano sulla configurabilità del diritto dei singoli condomini di far un uso legittimo più intenso della cosa comune e sull’assenza di fattori pregiudizievoli per l’edificio; c) la struttura messa in opera dal condomino, approfittando della sentenza favorevole di primo grado, appariva del tutto difforme da quanto dal medesimo enunciato e assai più invasiva (non un sottile foglio fotovoltaico da porre in aderenza sul tetto, ma una pluralità di pannelli impiantati sullo stesso)>>.
Il condomino soccombente ricorre alla Suprema Corte, eccependo la violazione degli artt. 1120 e 1102 Cc.
La Corte di Cassazione, nel ritenere il ricorso manifestamente infondato e, conseguentemente, inammissibile, sostiene come <<il ricorrente non attinge la ratio decidendi d’appello: il …. non aveva fornito al Condominio gli elementi di conoscenza atti a poter qualificare l’intervento e valutarne la legittimità>>.
Il ricorso principale, pertanto, è rigettato ed il ricorrente condannato a rimborsare al condominio le spese del giudizio di legittimità, oltre al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13, D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento