Il Tribunale ordinario di Siena ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio dibattimentale il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale che ha fissato la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso, per la prosecuzione del giudizio.
In particolare, per il giudice a quo, i referenti normativi, costituzionali e sovranazionali, dell’istituto della incompatibilità, assunti come violati, evidenziano che il diritto ad un equo processo (art. 6, paragrafo 1, CEDU) esige che una causa sia esaminata da un tribunale che, oltre ad essere indipendente, sia anche imparziale e in tal modo implica e postula il riconoscimento del diritto, fondamentale, ad un giudice che offra tale garanzia. Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri
Indice
1. Il fatto: la compatibilità del giudice
In applicazione delle disposizioni previste nella tabella di organizzazione dell’ufficio, il Tribunale di Siena, in composizione monocratica, il quale procedeva nei confronti di una persona imputata del delitto di cui all’art. 341-bis del codice penale, a seguito di decreto di citazione diretta a giudizio, con cui contestualmente il pubblico ministero aveva fissato la data dell’udienza di comparizione predibattimentale, era incaricato dello svolgimento dell’udienza di comparizione predibattimentale, a seguito della quale aveva disposto che il giudizio, in assenza di richieste di definizioni alternative, proseguisse davanti a un giudice diverso, come individuato secondo i criteri di assegnazione stabiliti nella predetta tabella, e aveva fissato la data per la celebrazione dell’udienza dibattimentale.
Orbene, che alla predetta udienza, l’autorità giudiziaria, in ragione della temporanea assenza del diverso giudice designato per il dibattimento, disponeva il rinvio del processo innanzi sé, quale giudice dibattimentale, destinato a svolgere, per un semestre, compiti di supplenza sull’intero ruolo del diverso giudice già designato quale giudice del dibattimento, in ragione della sopravvenuta applicazione dello stesso presso altro ufficio giudiziario.
Ciò evidenziato, sempre tale organo giudicante prendeva però atto che, in quanto giudice dell’udienza dibattimentale, era tenuto ad adottare una decisione di merito, nonostante avesse già valutato il contenuto dell’ipotesi accusatoria, sulla base di atti anteriormente compiuti e relativi alla medesima res iudicanda, oggetto del provvedimento pronunciato all’udienza predibattimentale, sebbene l’ordinamento non prevedesse, per il caso di specie, un’ipotesi di incompatibilità, pur essendo già stata svolta una attività atta a generare la cosiddetta “forza della prevenzione” perché di natura propriamente decisoria, non riguardante il semplice svolgimento del processo o un aspetto meramente formale del procedimento.
Oltre a ciò, il Tribunale senese, inoltre, evidenziava come l’istituto della incompatibilità attenga a situazioni di pregiudizio per l’imparzialità del giudice che si verificano all’interno del medesimo procedimento ed è espressivo di valori cardine della giurisdizione, quali la terzietà e l’imparzialità, a loro volta collegati alla garanzia del giusto processo, rilevandosi al contempo che la disciplina della incompatibilità mira a prevenire l’eccessiva soggettività del giudizio e a salvaguardare l’imparzialità del giudice. Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri
Codice penale e di procedura penale e norme complementari
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2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
Ebbene, alla luce della situazione, testé accennata, venutasi a creare, il Tribunale ordinario di Siena, in composizione monocratica, sollevava, in riferimento agli artt. 111, secondo comma, 3, 24, secondo comma, 101 e 117 della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e all’art. 14, paragrafo 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio dibattimentale il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale che ha fissato la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso, per la prosecuzione del giudizio.
In particolare, per il giudice a quo, i referenti normativi, costituzionali e sovranazionali, dell’istituto della incompatibilità, assunti come violati, evidenziano che il diritto ad un equo processo (art. 6, paragrafo 1, CEDU) esige che una causa sia esaminata da un tribunale che, oltre ad essere indipendente, sia anche imparziale e in tal modo implica e postula il riconoscimento del diritto, fondamentale, ad un giudice che offra tale garanzia.
Oltre a ciò, il rimettente evidenziava inoltre che, nel quadro convenzionale, l’imparzialità del giudice corrisponde all’assenza di pregiudizio in capo al giudice stesso, sia secondo un approccio soggettivo, che cerchi di accertare la sua convinzione o il suo interesse personale in una determinata causa, sia oggettivo, che miri ad accertare se egli offra sufficienti garanzie per escludere qualsiasi dubbio legittimo sulla sua imparzialità.
Inoltre, ad avviso della Corte di legittimità, la mancanza di imparzialità, nel quadro della CEDU, può altresì porsi da un punto di vista funzionale, se relativa ai rapporti gerarchici o di altro tipo nell’ambito del medesimo processo giudiziario, ovvero all’esercizio di varie funzioni da parte della stessa persona in tale processo (è richiamata la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, 15 dicembre 2005, Kyprianou contro Cipro, paragrafo 121), oltre al fatto che, secondo la giurisprudenza convenzionale, l’avere già adottato decisioni prima del processo non è un fatto di per sé solo idoneo a giustificare timori quanto alla sua imparzialità e che, al fine di valutare il rispetto del principio di imparzialità giudiziaria previsto dall’art. 6, paragrafo 1, CEDU, assumono rilievo dirimente la portata e natura dei provvedimenti adottati dal giudice prima del processo (sono richiamate le sentenze della Corte EDU 24 agosto 1993, Nortier contro Paesi Bassi, paragrafo 33; 24 febbraio 1993, Fey contro Austria, paragrafo 30; 16 dicembre 1992, Sainte-Marie contro Francia, paragrafo 32).
Quanto alle ipotesi di incompatibilità cosiddetta “orizzontale”, il giudice a quo evidenziava tra l’altro che alcune pronunce della Corte costituzionale (richiamandosi le sentenze n. 16 del 2022, n. 155 e n. 131 del 1996, n. 453 del 1994, n. 439 del 1993, n. 261, n. 186 e n. 124 del 1992) hanno precisato che per giudizio deve intendersi ogni processo che, in base a un esame di prove, pervenga ad una decisione di merito e che la nozione di decisione di merito comprende, di tutta evidenza, il giudizio dibattimentale dato che il compito decisorio del giudice del dibattimento consiste nel saggiare tutte le concorrenti ipotesi esplicative introdotte in un processo svoltosi nel contraddittorio tra parti poste in condizioni di parità, ai sensi dell’art. 111, primo comma, Cost., accettando come “vera” l’ipotesi accusatoria soltanto se provata «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533, comma 1, cod. proc. pen.).
Il rimettente, poi, richiamando in particolare la sentenza n. 16 del 2022, ricordava come il Giudice delle leggi avesse da tempo individuato le condizioni che rendono la previsione di un caso di incompatibilità costituzionalmente necessaria, vale a dire la preesistenza di valutazioni che cadono sulla medesima res iudicanda: l’essere stata operata, da parte del giudice, una valutazione di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione, nonché l’attenere tale decisione al merito dell’ipotesi accusatoria e non già al mero svolgimento del processo o a un aspetto formale del procedimento.
Ciò premesso in generale, il Tribunale di Siena notava che, alla luce di quanto previsto dagli artt. 553 e 554-ter cod. proc. pen., come modificati dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), il compito decisorio spettante al giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale consiste nel compiere valutazioni e assumere decisioni «sulla base degli atti» (art. 554-ter, comma 1, cod. proc. pen.) trasmessi dal pubblico ministero, costituiti dal «fascicolo per il dibattimento […] unitamente al fascicolo del pubblico ministero» (art. 553 cod. proc. pen.), operando un approfondito vaglio e controllo sul materiale probatorio raccolto dal pubblico ministero, in capo al quale soltanto si concentra la potestà investigativa, correlata al dovere, per lo stesso, di approfondire tutti i possibili aspetti e profili di una notizia di reato, nell’ottica di una completa ed esaustiva ricostruzione dei fatti e del “vero”, svolgendo «accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini» (art. 358 cod. proc. pen.).
Ad avviso del rimettente, dunque, fermo restando che il controllo demandato al giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale consiste in una valutazione non formale, ma contenutistica della consistenza dell’ipotesi accusatoria e tale valutazione involge la sussistenza delle condizioni necessarie perché il processo possa proseguire «davanti ad un giudice diverso» (art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.), innanzi al quale sono poi assunte le prove nel contraddittorio tra parti, se ne faceva conseguire da ciò che le condizioni, affinché il giudizio possa proseguire davanti ad un giudice diverso sono descritte, ad opera del d.lgs. n. 150 del 2022, in termini negativi, identificandosi tanto nell’insussistenza delle «condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere», quanto nella «assenza di definizioni alternative» del giudizio (art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.), tenuto conto altresì del fatto che le «condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere» sono state, di contro, descritte in termini positivi, identificandosi tanto nelle ipotesi in cui «sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita», ovvero in cui «risulta che il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che l’imputato non è punibile per qualsiasi causa», quanto nei casi in cui «gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna» (art. 554-ter, comma 1, cod. proc. pen.).
Pertanto, configurandosi l’udienza di comparizione predibattimentale come sede destinata alla valutazione dell’insieme dei dati probatori raccolti in sede di indagini preliminari e della loro capacità di offrire coerenti conferme all’ipotesi accusatoria descritta nell’imputazione, attraverso l’esercizio di intensi poteri di verifica sul merito stesso di quest’ultima, l’omessa previsione dell’incompatibilità del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale alla celebrazione dell’udienza dibattimentale, per la Consulta, si poneva in aperto contrasto con i parametri costituzionale sopra evocati, senza trascurare anche l’ulteriore circostanza in base alla quale, dalla omessa previsione di tale caso di incompatibilità del giudice, discenderebbe, poi, una disparità di trattamento rispetto alla fattispecie di incompatibilità a partecipare al giudizio per il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. visto che sarebbero identici i compiti decisori del giudice dell’udienza preliminare e del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale, con riguardo alla valutazione della fondatezza dell’accusa, essendo entrambi soggetti alla medesima regola di giudizio volta ad individuare i casi di «oggettiva non superfluità del processo» (richiamandosi la sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 1991), regola oggi condensata nella formula secondo cui «il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere» quando «gli elementi acquisiti non consentono» di formulare «una ragionevole previsione di condanna» (artt. 425, comma 3, e 554-ter cod. proc. pen.).
Il giudice a quo osservava infine che le singole ipotesi di astensione per la presenza di situazioni, che possano pregiudicare la terzietà e l’imparzialità del giudice, restano affidate ai soli casi tassativamente previsti dagli artt. 34 e 36 cod. proc. pen., senza che possano essere ampliate o applicate in via analogica (citandosi: Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 11 febbraio-17 marzo 2021, n. 10328), sicché, in ragione del carattere eccezionale e tassativo di tali casi, non sarebbe praticabile alcun tentativo volto a sanare la rilevata lacuna, dovendosi necessariamente invocare l’intervento additivo della Corte costituzionale.
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3. La soluzione adottata dalla Consulta
Il Giudice delle leggi reputava le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., fondate.
Nel dettaglio, i giudici di legittimità costituzionale addivenivano a siffatto esito decisorio osservando prima di tutto che, secondo il consolidato orientamento della stessa Corte costituzionale, di recente ribadito dalla sentenza n. 93 del 2024, la disciplina sull’incompatibilità del giudice trova la sua ratio nella salvaguardia dei valori della terzietà e imparzialità del giudice, presidiati dall’art. 111, secondo comma, Cost., mirando a escludere che questi possa pronunciarsi sull’accusa quando è condizionato dalla “forza della prevenzione”, cioè «dalla tendenza a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda» e ad assicurare «che le funzioni del giudicare siano assegnate a un soggetto “terzo”, scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto e anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia su cui pronunciarsi» (sentenza n. 172 del 2023; nello stesso senso, sentenze n. 64, n. 16 e n. 7 del 2022 e precedenti ivi citati).
Per di più, era altresì fatto presente che sempre la Consulta, nella pronuncia indicata, ha anche ribadito che «per ritenersi sussistente l’incompatibilità endoprocessuale del giudice, devono concorrere le seguenti condizioni: a) le preesistenti valutazioni cadano sulla medesima res iudicanda; b) il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione (e non abbia avuto semplice conoscenza) di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione; c) quest’ultima abbia natura non “formale”, ma “di contenuto”, ovvero comporti valutazioni sul merito dell’ipotesi di accusa; d) la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento (sentenze n. 172 e n. 91 del 2023 e n. 64 del 2022)», oltre ad essere evidenziato che, «[o]ve s’afferma che il giudice non possa esprimersi più volte sulla medesima res iudicanda, deve intendersi per “giudizio” ogni processo che, in base a un esame delle prove, pervenga a una decisione di merito: il giudizio dibattimentale, ma anche il giudizio abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti, l’udienza preliminare e talora l’incidente di esecuzione, nonché il decreto penale di condanna (da ultimo, sentenza n. 16 del 2022)» (ancora sentenza n. 93 del 2024).
Con la sentenza n. 91 del 2023, si è, poi, riconosciuto l’esistenza di un sistema integrato mirato a realizzare la necessaria tutela del principio del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost., in tutti i casi in cui sussista il rischio che possa risultare compromessa l’imparzialità del giudice, affermandosi a tal riguardo che «il principio del giudice terzo e imparziale, che in passato la giurisprudenza costituzionale aveva ricavato da altri parametri (artt. 3, 25, 101 e 108 Cost.), ha assunto autonoma rilevanza con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione), sì da costituire connotato essenziale e necessario dell’esercizio di ogni giurisdizione».
Orbene, alla stregua di ciò, si è quindi precisato che «[i]l processo in tanto può dirsi “giusto” in quanto sia garantita l’imparzialità del giudice»; e si è sottolineato che l’imparzialità «non è che un aspetto di quel carattere di “terzietà” che connota nell’essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella degli altri soggetti pubblici, e condiziona l’effettività del diritto di azione e difesa in giudizio».
Terminato questa prima disamina di ordine giurisprudenziale, i giudici di legittimità costituzionale osservavano, a questo punto della disamina, che la regola dell’imparzialità del giudice è anche nelle Carte europee, in quanto l’art. 6, paragrafo 1, CEDU stabilisce che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da parte di un tribunale indipendente e imparziale; e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea garantisce il diritto all’esame della causa da parte di un giudice «indipendente e imparziale, precostituito per legge».
Si ha, pertanto, che, a presidio della garanzia di terzietà del giudice (art. 111, secondo comma, Cost.), che è presupposto dell’effettività della tutela giurisdizionale (art. 24, secondo comma, Cost.), il codice di rito prevede (negli artt. 34 e 35 cod. proc. pen.) un catalogo di situazioni pregiudicanti in astratto – tali, quindi, a prescindere dalla concreta possibile prevenzione del giudice – che comportano, in radice, la sua incompatibilità e che, prima ancora, lo obbligano ad astenersi (art. 36, comma 1, lettera g, cod. proc. pen.) con facoltà delle parti di ricusare il giudice che, avendone l’obbligo, non si astenga (art. 37, comma 1, lettera a, cod. proc. pen.).
Per di più, si evidenziava come sia stato quindi sottolineato che, in tal modo, risulta un sistema integrato mirato a realizzare la necessaria tutela del principio del giusto processo in tutti i casi in cui sussista il rischio che possa risultare compromessa l’imparzialità del giudice, nel senso che la tutela dell’imparzialità è appunto garantita «mediante una razionale ed esaustiva utilizzazione degli istituti volti ad assicurare il principio del “giusto processo”» (sentenza n. 308 del 1997).
Ma, per il Giudice delle leggi, la tutela in parola non può, d’altra parte, risultare affidata soltanto alla possibilità, per il giudice, di astenersi quando sussistano gravi ragioni di convenienza, ai sensi dell’art. 36 cod. proc. pen..
Invero, tale disposizione, che secondo la giurisprudenza costituzionale costituisce una «norma di chiusura a cui devono essere ricondotte tutte le ipotesi non ricadenti nelle precedenti lettere e nelle quali tuttavia l’imparzialità del giudice sia da ritenere compromessa» (sentenza n. 113 del 2000), si riferisce a situazioni, non tipizzate ex ante dal legislatore, in cui la terzietà e l’imparzialità del giudice risultino compromesse in concreto, mentre l’incompatibilità significa che nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 34 cod. proc. pen. l’imparzialità del giudice è compromessa ex se, in generale e in astratto.
Orbene, per la Consulta, la mancata previsione in tale disposizione di un’ulteriore fattispecie, generale e astratta, di incompatibilità – quella del giudice dell’udienza predibattimentale chiamato poi ad essere anche il giudice del dibattimento – confligge con i principi affermati dalla stessa giurisprudenza costituzionale.
In effetti, l’attività decisionale, che il giudice è chiamato a svolgere nell’udienza predibattimentale, compendiata nelle valutazioni oggetto dei provvedimenti di cui agli artt. 554-bis e 554-ter cod. proc. pen., connota tale udienza quale sede pregiudicante della successiva fase decisoria, in quanto il giudice predibattimentale esercita un vaglio penetrante del merito dell’accusa, dal momento che la base conoscitiva del giudice predibattimentale è costituita dal complesso degli atti delle indagini preliminari condotte dall’organo inquirente, oltre che dagli atti che confluiscono nel fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’art. 431 cod. proc. pen..
Le sue decisioni possibili, per la Corte, vanno poi dalla verifica della corrispondenza dell’imputazione agli atti di indagine, anche in riferimento alle circostanze aggravanti, all’accertamento della sussistenza di cause di improcedibilità dell’azione penale, di non punibilità e di proscioglimento nel merito, e quindi anche delle condizioni per una pronuncia ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. per particolare tenuità del fatto, estendendosi fino all’adozione di una decisione, sulla base degli atti, in ordine alla sussistenza, o no, della ragionevole previsione di condanna.
La valutazione dell’ampio compendio accusatorio, secondo tale regola, implica dunque un giudizio prognostico di tipo negativo sulla sostenibilità dell’accusa, ovvero un giudizio sull’utilità del giudizio nella prospettiva di una sentenza di condanna al di là di ogni ragionevole dubbio; valutazione che, dunque, crea un evidente rischio di condizionamento nel successivo giudizio dibattimentale.
Tal che se ne faceva discendere che la previsione della mera diversità del giudice dibattimentale rispetto a quello predibattimentale non è sufficiente ad assicurare la garanzia del giusto processo, versandosi in una fattispecie in cui il pregiudizio all’imparzialità e terzietà del giudice del dibattimento è di gravità tale da dover essere necessariamente prevista in via generale e predeterminata, anche a prescindere dalla valutazione in concreto che il giudice è chiamato a compiere e, quindi, «indipendentemente dal contenuto che tali attività possono aver assunto» (sentenza n. 306 del 1997).
Per la Consulta, di conseguenza, la mancata previsione della incompatibilità del giudice dell’udienza predibattimentale alla trattazione del giudizio dibattimentale del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale si poneva in contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost. e, di riflesso, anche con l’art. 24, secondo comma, Cost..
D’altronde, per la Corte costituzionale, era fondata pure l’ulteriore questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. poiché, se il giudice dell’udienza preliminare e il giudice dell’udienza predibattimentale, ai sensi degli artt. 425, comma 3, e 554-ter cod. proc. pen., sono soggetti alla medesima regola di giudizio compendiata nel canone secondo cui «il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere» quando «gli elementi acquisiti non consentono» di formulare «una ragionevole previsione di condanna», a fronte di ciò, tuttavia, l’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. detta una disciplina ingiustificatamente differenziata nella misura in cui prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio soltanto per «il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare» e non anche per il giudice dell’udienza predibattimentale.
Ebbene, ad avviso della Consulta, la già evidenziata simmetria, in relazione alla penetrante attività valutativa che sono chiamati a compiere sia il giudice dell’udienza preliminare, sia il giudice dell’udienza predibattimentale, ora contemplata per i reati a citazione diretta, rende irragionevole la mancata previsione, nei casi di incompatibilità cosiddetta “orizzontale”, di cui all’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., anche della fattispecie del giudice dell’udienza predibattimentale che sia poi chiamato ad essere altresì giudice del dibattimento.
In conclusione, per i giudici di legittimità costituzionale, ancorché la testuale prescrizione della diversità del giudice dibattimentale rispetto al giudice dell’udienza predibattimentale potrebbe, in astratto, non precludere un’interpretazione costituzionalmente orientata che identifichi il «giudice diverso» in un giudice non “incompatibile”, sempre che si superasse il carattere tassativo dell’elencazione contenuta nell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., tuttavia, a fronte dei possibili impieghi che la predetta locuzione può assumere nella materia processuale, la necessità che sia assicurata la garanzia del giusto processo e la connessa tutela dei valori della terzietà e della imparzialità della giurisdizione, presidiati dagli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., postulano – anche per l’esigenza di certezza del diritto – che l’introduzione di una nuova situazione di incompatibilità avvenga con pronuncia di illegittimità costituzionale di tipo additivo, tenuto conto altresì del fatto che, in relazione alla mancata previsione di una condizione di incompatibilità del giudice civile dell’esecuzione che ha adottato il provvedimento reclamato a far parte del collegio giudicante sul reclamo, è stato evidenziato, sempre in sede di giustizia costituzionale, che se « e istanze correlate al principio di imparzialità-terzietà del giudice, nell’ambito del processo civile, possono ben transitare anche attraverso una interpretazione sistematica e adeguatrice alla Costituzione dell’art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., relativamente alla nozione di “altro grado del processo”», tuttavia, «le esigenze di certezza, particolarmente avvertite nella materia processuale, unitamente alla varietà e alla peculiarità delle ipotesi potenzialmente riconducibili alla ratio del gravame interno allo stesso ufficio giudiziario […] sono tali da rendere la pronuncia additiva, invocata dal giudice rimettente, un rimedio funzionale alle citate esigenze» (sentenza n. 45 del 2023).
Pertanto, assorbito l’esame degli ulteriori parametri evocati, era dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen..
Infine, dall’ampliamento dei casi di incompatibilità per effetto della presente pronuncia di illegittimità costituzionale, il Giudice delle leggi ne faceva discendere la necessità che il principio del giusto processo sia assicurato anche con riferimento al giudizio di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 554-quater, comma 3, cod. proc. pen. visto che tale disposizione stabilisce che, in caso di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere da parte del pubblico ministero, la Corte di Appello, che non confermi la sentenza, fissa la data per l’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso da quello che ha pronunciato la sentenza.
Pertanto, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità costituzionale veniva estesa in via consequenziale all’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale anche nel caso previsto dall’art. 554-quater, comma 3, cod. proc. pen..
4. Conclusioni
Fermo restando che l’art. 34, co. 2, cod. proc. pen., come è noto, prevede che non “può partecipare al giudizio il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna o ha deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere”, con la pronuncia qui in commento, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo siffatto precetto normativo in un duplice senso.
Difatti, come appena visto, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima codesta disposizione legislativa, da una parte, nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen., dall’altra parte, nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-quater, comma 3, cod. proc. pen..
Di conseguenza, alla luce di siffatta declaratoria di illegittimità costituzionale, il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale non può adesso partecipare al giudizio nei seguenti casi: 1) nel caso in cui, non sussistendo le condizioni per pronunciare sentenza di non luogo a procedere e in assenza di definizioni alternative di cui al comma 2 dell’art. 554-ter cod. proc. pen. (e, quindi, allorchè il processo non sia definibile con il giudizio abbreviato o con l’applicazione della pena a norma dell’articolo 444 cod. proc. pen., ossia non possa essere disposta la sospensione del processo con messa alla prova), il giudice fissa per la prosecuzione del giudizio la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso e dispone la restituzione del fascicolo del pubblico ministero (così: art. 554-ter, co. 3, cod. proc. pen.); 2) qualora, nel caso di mancata conferma della sentenza appellata (da parte del pubblico ministero), la Corte territoriale fissi la data per l’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso da quello che ha pronunciato la sentenza o pronuncia sentenza di non luogo a procedere con formula meno favorevole all’imputato atteso che quest’ultimo organo giudicante non può più “decidere”.
Ebbene, in ambedue questi casi, sia il giudice che abbia fissato per la prosecuzione del giudizio la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso (prima ipotesi), che quello il quale ha pronunciato la sentenza o pronuncia sentenza di non luogo a procedere con formula meno favorevole all’imputato (poi riformata dalla Corte di Appello purché l’appello sia stato proposto da parte della pubblica accusa) (seconda ipotesi), nessuno di questi giudici può partecipare al giudizio, venendosi adesso a configurare, per effetto di codesta pronuncia, una situazione di incompatibilità “a decidere” per ambedue codeste situazioni.
Questa decisione, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta ricorra una di siffatte ipotesi rispettivamente contemplate, come appena visto, dall’art. 554-ter, co. 3, cod. proc. pen. e dall’art. 554-quater, co. 3, cod. proc. pen. atteso che, in nessuno di siffatte occasioni, il giudice può partecipare al giudizio.
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