Illegittimità costituzionale dell’art. 628, co. 5, c.p.

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La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, co. 5, c.p.: vediamo come

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u003cstrongu003eCorte costituzionale- sent. n. 217 del 22-11-23 (Presidente Barbera, Relatore Viganòu003c/strongu003e)

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Indice

1. Il fatto


Il Tribunale ordinario di Torino, sezione prima penale, era chiamato a giudicare su una persona imputata di tentata rapina pluriaggravata.
Orbene, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, il giudice torinese riteneva come la condotta serbata dall’interessata integrasse effettivamente un tentativo di rapina, aggravata dall’uso di un’arma (art. 628, terzo comma, numero 1, cod. pen.) e della commissione del fatto in luogo di privata dimora (art. 628, terzo comma, numero 3-bis, cod. pen.), ma non avrebbe rilevato il fatto che la stessa imputata dimorasse nell’abitazione, poiché l’art. 628, terzo comma, numero 3-bis), cod. pen. «prevede l’aggravio di pena evocando il luogo ove è avvenuta la rapina (tentata o consumata) e non le modalità clandestine o le ragioni illegittime per cui il rapinatore si trovava all’interno di un luogo di privata dimora»; sicché la rapina potrebbe avvenire addirittura nella dimora del rapinatore (si richiamava all’uopo: Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 13 luglio-2 settembre 2021, n. 32781).
Dalla perizia medico-legale disposta in giudizio, inoltre, sarebbe emerso che l’accusata soffrisse di un disturbo schizoaffettivo – connesso anche all’uso di sostanze stupefacenti – con sintomi psicotici di tipo delirante e di alterazione dell’umore di tipo prevalentemente disforico; valutazione, questa, fondata tra l’altro sulla consulenza tecnica d’ufficio espletata in sede civile nel procedimento volto alla nomina di un amministratore di sostegno. 
Di conseguenza, in ragione di tale condizione patologica, la capacità di intendere e di volere dell’imputata al momento del fatto avrebbe dovuto ritenersi grandemente scemata, sì da giustificare il riconoscimento della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen.
Ciò posto, sempre ad avviso del giudice di prime cure, si sarebbero dovute altresì applicare in favore dell’imputata le circostanze attenuanti generiche, in ragione del comportamento processuale, della sua complicata situazione sociale e della «necessità di giungere ad una commisurazione della pena coerente con le esigenze di risocializzazione costituzionalmente connesse all’irrogazione della sanzione penale».
Pur tuttavia, il Tribunale osservava come l’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, numero 3-bis), cod. pen. sia sottratta all’ordinario giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, in forza dell’ultimo comma della disposizione, secondo cui «[l]e circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti».
Pertanto, le circostanze attenuanti di cui agli artt. 89 e 62-bis cod. pen. avrebbero potuto incidere sulla determinazione della sanzione da infliggere «solo dopo che la pena base è stata inasprita per effetto dell’aggravante c.d. privilegiata», né, del resto, sarebbe stata possibile una diversa interpretazione dell’art. 628, ultimo comma, cod. pen., stante il tenore letterale della disposizione.

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2. Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione: Illegittimità costituzionale dell’art. 628, co. 5, c.p.


Il Tribunale di Torino, alla luce della situazione che si era venuta a determinare nel caso di specie, sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 628, quinto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede «il divieto di equivalenza o prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 c.p. sulle circostanze aggravanti indicate dal terzo comma, numero 3 bis della medesima disposizione».
In particolare, se in punto di rilevanza si rinvia a quanto già enunciato in precedenza, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente richiamava ampi stralci della sentenza n. 73 del 2020 della Corte costituzionale, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen., rammentandosi al contempo come tale divieto sia stato ritenuto contrario sia al principio di proporzionalità della pena (artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.) – che esige che quest’ultima sia calibrata tanto all’offensività del fatto di reato, quanto al suo disvalore soggettivo – sia al principio di personalità della responsabilità penale (art. 27, primo comma, Cost.) – che impone di tenere conto, nella commisurazione della sanzione, del grado di rimproverabilità soggettiva che connota ciascun fatto di reato.
I principi espressi nella citata pronuncia, poi ripresi nella sentenza della Consulta n. 55 del 2021, per il giudice a quo, sarebbero stati applicabili anche al caso di specie, pur a fronte della diversità tra il meccanismo previsto dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. – che comportava l’impossibilità, per la circostanza attenuante del vizio parziale di mente, di esplicare effetto, se non in termini di “neutralizzazione” della recidiva reiterata – e quello contemplato dall’art. 628, ultimo comma, cod. pen., ove invece «l’attenuante di cui all’art. 89 c.p. può concretamente esplicare effetto, sebbene partendo da una dimensione sanzionatoria che è aggravata “a monte” dalla concorrenza delle circostanze privilegiate».
Ciò posto, il rimettente rammentava altresì che la Consulta, nella sentenza n. 117 del 2021, ha dichiarato non fondate alcune questioni di legittimità costituzionale che censuravano l’analogo meccanismo di privilegio dell’incidenza di determinate circostanze aggravanti, previsto dall’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen., ritenendosi tuttavia che le argomentazioni, espresse nella sentenza n. 73 del 2020, con riferimento alla diminuente del vizio parziale di mente, «conservino la loro valenza» anche nel caso oggetto del giudizio a quo, atteso che detta pronuncia avrebbe individuato la ratio dell’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. nell’esigenza di valorizzare la condizione di minor rimproverabilità del seminfermo di mente; condizione cui dovrebbe corrispondere l’irrogazione di una pena inferiore rispetto a quella che sarebbe applicabile a parità di disvalore del fatto in assenza di tale stato, in ossequio ai principi di proporzionalità e individualizzazione della pena, desumibili dagli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost..
Orbene, per il giudice rimettente, nella fattispecie in esame, tali principi sarebbero vulnerati dal meccanismo previsto dall’art. 628, ultimo comma, cod. pen., atteso che:
– «[s]i verrebbero a parificare situazioni diverse (l’autore di reato che abbia agito in condizioni di normalità psichica vs. l’autore di reato affetto da vizio parziale di mente), con potenziale contrasto con il dettato dell’art. 3 della Costituzione»;
– «[s]i verrebbe a determinare un inasprimento del regime sanzionatorio, tale da potere comportare l’applicazione di pene potenzialmente sproporzionate rispetto al grado di colpevolezza dell’imputato (con potenziale contrasto […] rispetto al principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria discendente dagli articoli 3 e 27, comma 3, della Costituzione)»;
– «[s]i verrebbe a misconoscere – o quantomeno fortemente sottovalutare – la valenza della diminuita rimproverabilità soggettiva dell’autore di reato semi-imputabile, con sacrificio del principio di personalità della responsabilità penale discendente dall’art. 27, comma 1, della Costituzione».
Precisato ciò, sempre ad avviso del giudice a quo, il censurato art. 628, ultimo comma, cod. pen. sarebbe stato infine affetto da intrinseca irragionevolezza in quanto il meccanismo ivi previsto non opererebbe – con ritorno all’ordinario giudizio di bilanciamento – nel caso in cui con le aggravanti “privilegiate” concorra la circostanza attenuante della minore età di cui all’art. 98 cod. pen.; ossia una diminuente parimenti fondata sul minor grado di rimproverabilità dell’autore di reato, di applicazione obbligatoria (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 20 ottobre 2020-16 marzo 2021, n. 10134; sezione terza penale, sentenze 7 aprile-28 luglio 2015, n. 33004 e 11 ottobre-15 novembre 2007, n. 42105), che è collocata nello stesso Capo I del Titolo IV del Libro I del codice penale ove ha sede l’art. 89 cod. pen., e che comporta una identica diminuzione di pena.
Il mantenimento della piena operatività dell’ordinario giudizio di bilanciamento in presenza dell’attenuante di cui all’art. 98 cod. pen. sarebbe stato del resto il frutto di un emendamento (16.1) proposto al disegno di legge AC 2180 – poi esitato nella legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che ha introdotto il censurato quinto comma dell’art. 628 cod. pen. –, in sede di esame in Commissione referente, nella seduta del 28 aprile 2009, le cui ragioni non sarebbero tuttavia state esplicitate né nella proposta, né nella relazione svolta in assemblea nella seduta del 30 aprile 2009.
In conseguenza di tale assetto, l’art. 628, quinto comma, cod. pen. consentirebbe quindi l’ordinario giudizio di bilanciamento delle aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), con l’attenuante di cui all’art. 98 cod. pen. – ossia una diminuente fondata sulla minor rimproverabilità soggettiva dell’autore di reato – ma non, irragionevolmente, con l’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. «per molti versi analoga», ma tale attenuante sarebbe dunque «destinata a soccombere (ed operare solo dopo l’inasprimento di pena determinato dalle aggravanti privilegiate)», «in frizione» con l’art. 3 Cost..

3. La soluzione adottata dalla Consulta


La Corte costituzionale riteneva una delle questioni prospettate dal Tribunale di Torino fondata, e segnatamente quella concernente l’irragionevole disparità, ai sensi dell’art. 3 Cost., fra il trattamento riservato dalla disposizione censurata alla circostanza attenuante della minore età di cui all’art. 98 cod. pen., rispetto a quello riservato all’attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen..
Nel dettaglio, il Giudice delle leggi rilevava a tal proposito prima di tutto che il legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità, ha previsto una specifica eccezione alla generale operatività del divieto di equivalenza o prevalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti menzionate dalla disposizione censurata, in favore soltanto della circostanza della minore età di cui all’art. 98 cod. pen..
Pertanto, a fronte di ciò, per la Consulta, occorreva stabilire se fosse sussistita una «medesima ratio derogandi» (da ultimo, sentenza n. 98 del 2023, punto 6.9. del Considerato in diritto) tale da rendere contraria al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. la mancata estensione di tale eccezione anche all’attenuante, che qui viene in considerazione, del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 cod. pen..
Ebbene, come evidenziato dal rimettente, i lavori preparatori della legge n. 94 del 2009 – il cui art. 3, comma 27, lettera b), ha introdotto il censurato quinto comma dell’art. 628 cod. pen. – non chiariscono la ragione dell’emendamento (16.1), proposto al disegno di legge AC 2180 in sede di esame delle Commissioni I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) riunite in sede referente della Camera nella seduta del 28 aprile 2009, al quale si deve l’esclusione dell’attenuante di cui all’art. 98 cod. pen. dal divieto di prevalenza o equivalenza stabilito dalla nuova disposizione.
Pur tuttavia, nel silenzio dei lavori preparatori, la sottrazione della sola attenuante della minore età a una disciplina a sua volta derogatoria rispetto alla regola generale di cui all’art. 69 cod. pen. potrebbe in ipotesi spiegarsi in ragione dei caratteri peculiari del diritto penale minorile, affidato, con «scelta […] costituzionalmente vincolata», a una «giurisdizione specializzata, i cui operatori [sono] selezionati anche sulla base della specifica competenza professionale in materia di minori, e che oper[a] secondo finalità e sulla base di regole differenti da quelle che caratterizzano la giurisdizione penale ordinaria» (sentenza n. 2 del 2022, punto 3.4. del Considerato in diritto), tenuto conto altresì del fatto che il trattamento penitenziario per i condannati minorenni al momento del fatto si svolge, inoltre, in istituzioni distinte da quelle per gli adulti, sulla base di regole speciali oggi stabilite dal decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, recante «Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’art. 1, commi 82, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103».
Ad ogni modo, per la Corte, la commisurazione della pena nei confronti dei condannati minorenni continua ad essere regolata dal codice penale, sulla base delle medesime regole generali che vigono per gli adulti, con la rilevante eccezione costituita dal divieto di applicare l’ergastolo ai minori, per effetto della sentenza n. 168 del 1994 emessa sempre dalla Consulta, facendosene conseguire da ciò che, dal momento che lo scopo sotteso al quinto comma dell’art. 628 cod. pen. è evidentemente quello di assicurare a talune ipotesi di rapina aggravata – ritenute dal legislatore produttive di particolare allarme sociale – una pena più severa di quella cui condurrebbe, nella generalità dei casi, l’applicazione dello stesso art. 69 cod. pen., la cui ratio della deroga a tale disciplina in favore dei condannati minorenni non può che sottendere la valutazione, da parte del legislatore, di una più ridotta meritevolezza di pena di chi abbia commesso il fatto essendo ancora minorenne, per quanto già giudicato imputabile dal giudice, senza ignorare l’ulteriore considerazione secondo la quale tale ridotta meritevolezza di pena è, d’altronde, presunta in via generale dal legislatore nell’art. 98 cod. pen., ove si dispone la diminuzione della pena sino ad un terzo in tutti i casi in cui il reato sia compiuto da una persona pur ritenuta capace di intendere e di volere, ma di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni posto che il codice penale muove dal dato di comune esperienza secondo cui i ragazzi in quella fascia di età, anche laddove possiedano un grado di maturità intellettiva e psicologica sufficiente a consentir loro di comprendere il disvalore del reato e di orientare conformemente la propria condotta, hanno tuttavia una personalità ancora in formazione (sentenza n. 168 del 1994, punto 5.1. del Considerato in diritto), che in linea generale ne diminuisce in misura significativa la capacità di autocontrollo, quando non – ancor prima – la stessa capacità di discernere l’effettiva gravità delle proprie condotte inosservanti della legge, e ciò rende il fatto di reato dagli stessi commesso meno rimproverabile rispetto al corrispondente fatto compiuto da un adulto; minore rimproverabilità cui – nella stessa valutazione del legislatore del 1930, rimasta inalterata sino ad oggi – deve necessariamente corrispondere una riduzione della pena sino a un terzo.
Tra l’altro, una tale diminuzione della colpevolezza per il fatto di reato non può, però, non essere affermata anche con riferimento a chi abbia agito trovandosi in «tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere», come recita l’art. 89 cod. pen., visto che lo stato di mente, cui si riferisce quest’ultima disposizione, sottende un’anomalia psichica significativa, che comprende – in base alla consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità – le vere e proprie malattie mentali, nonché i disturbi della personalità «di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla capacità di intendere e di volere», e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale; con esclusione, comunque, di mere anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati (Cass., n. 9163 del 2005), oltre che dei disturbi della coscienza e della volontà provocati dall’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti, in ogni ipotesi in cui tali effetti siano comunque riconducibili a una scelta rimproverabile all’autore (artt. 92, 93 e 94 cod. pen.).
Sempre per il Giudice delle leggi, l’anomalia psichica così definita deve inoltre, per poter rilevare ai sensi dell’art. 89 cod. pen., comportare una rilevante compromissione della capacità di intendere e di volere dell’agente, che deve in conseguenza risultare “grandemente scemata”, sì da determinare un «minore grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta» e una «minore capacità di controllo dei propri impulsi» (sentenza n. 73 del 2020, punto 4.2. del Considerato in diritto) fermo restando che, a fronte di tale rilevante riduzione della capacità di intendere e di volere dell’agente – cui corrisponde, come la dottrina contemporanea ampiamente riconosce, una diminuzione della colpevolezza per il fatto – il codice penale, sin dal 1930, impone la riduzione della pena sino a un terzo.
Identica è, dunque, per la Corte, la conseguenza sulla commisurazione della sanzione che due disposizioni parallele – gli artt. 89 e 98 cod. pen. –, collocate nel medesimo capo del codice penale, ricollegano alle situazioni qui oggetto di raffronto; e identica appare la ratio delle due diminuenti.
D’altra parte, a vari altri fini la situazione della persona inferma di mente è equiparata, nell’ordinamento penale, a quella del minorenne. 
Ad esempio, l’art. 112, primo comma, numero 4), cod. pen. prevede un identico aggravamento di pena a carico di chi abbia concorso con un «minore di anni 18 o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica» nella commissione di un reato.
Ed è certamente significativo, per la Consulta, che la legislazione più recente – nel cosiddetto “Codice Rosso” (legge 19 luglio 2019, n. 69, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere») – abbia confermato questa equiparazione anche sotto lo specifico profilo, che qui direttamente rileva, della sottrazione della diminuzione di pena stabilita tanto dall’art. 89 cod. pen., quanto dall’art. 98 cod. pen. al meccanismo di “blindatura” della circostanza aggravante consistente nell’essere stato commesso l’omicidio nei confronti di un familiare o di una persona legata da un rapporto affettivo (art. 577, terzo comma, cod. pen., come introdotto dall’art. 11, comma 1, lettera c, della legge n. 69 del 2019, recentemente esaminato da questa Corte con la sentenza n. 197 del 2023).
Orbene, da quanto sin qui esposto i giudici di legittimità costituzionale pervenivano alla conclusione secondo la quale non superava lo scrutinio di legittimità costituzionale al metro dell’art. 3 Cost. la scelta del legislatore di non estendere al condannato affetto da vizio parziale di mente la stessa regola derogatoria prevista per il condannato minorenne, nel senso che, una volta, insomma, che il legislatore abbia ritenuto di prevedere una specifica deroga all’applicazione del meccanismo di computo delle circostanze previsto dall’art. 628, quinto comma, cod. pen. in favore dei minorenni, un imperativo di coerenza, per linee interne al sistema, esige che tale deroga si estenda anche alla posizione, del tutto analoga sotto il profilo che qui rileva, degli imputati affetti da vizio parziale di mente, tanto più se si considera che, rispetto a questi ultimi, anzi, le ragioni dell’attenuazione di pena valgono a fortiori, dal momento che la notevole riduzione della capacità di intendere e di volere della persona è in questa ipotesi oggetto di un accertamento caso per caso da parte del giudice, di solito in esito a una perizia psichiatrica disposta d’ufficio; mentre nel caso del minorenne è lo stesso legislatore che presume in via generale la sua minore colpevolezza, una volta che ne sia accertata una maturità sufficiente a fargli comprendere il disvalore del fatto e a dominare i propri impulsi – e ciò anche nell’ipotesi limite di un ragazzo alla soglia del diciottesimo anno, psichicamente del tutto maturo.
La Corte costituzionale, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, quinto comma, del codice penale, nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89 cod. pen., allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso art. 628.

4. Conclusioni


Fermo restando che, come è noto, l’art. 628, co. 5, cod. pen. dispone che le “circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti”, con la decisione in esame, la Consulta ha ridotto la portata applicativa di questo divieto, dichiarando costituzionalmente illegittimo tale precetto normativo nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89 cod. pen., allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso art. 628.
Di conseguenza, per effetto di questa pronuncia, è adesso riconosciuto al giudice, ove si proceda per il delitto di rapina, riconoscere l’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. (vizio parziale di mente) equivalente o prevalente rispetto all’aggravante speciale di cui all’art. 628, co. 3, n. 3-bis, cod. pen., vale a dire quando il fatto è commesso nei luoghi di cui all’articolo 624-bis cod. pen. o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa.
Per quanto riguarda infine il giudizio in ordine a quanto statuito in tale sentenza, esso, ad avviso di chi scrive, è sicuramente positivo in quanto si è addivenuti a siffatta declaratoria di illegittimità costituzionale dopo un articolato e ben ponderato ragionamento giuridico.
 

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