Illegittimo divieto di nuove autorizzazioni nell’attesa del registro informatico pubblico nazionale

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Con la sentenza n. 137 del 2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 41, commi 1 e 2, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 49 TFUE, dell’art. 10-bis, comma 6, del D.L. n. 135 del 2018, come convertito, nella parte in cui vieta il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale, poiché la previsione consente in concreto all’autorità amministrativa di bloccare a tempo indefinito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’esercizio del servizio di NCC, con effetti protezionistici consistenti nell’elevare un’indebita barriera alla libertà di accesso al mercato e con la causazione, in modo sproporzionato, di un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività.

Corte Costituzionale – Sent. n. 137 del 24/07/2024

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Indice

1. Una visione trasversale e generale

La sentenza del 19 luglio 2024, n. 137 incide in linea di principio su un aspetto rilevante e trasversale che è bene evidenziare.
Un esempio per tutti ha riguardato l’entrata in vigore della normativa europea sulle piattaforme di Crowdfunding, che hanno visto circa tre anni di ritardo tra l’entrata in vigore della normativa europea e la definizione della normativa nazionale con l’attribuzione dei poteri e delle funzioni di vigilanza e di autorizzazione ripartite tra banca d’Italia e Consob.
Nel caso specifico ciò ha portato a un periodo di “blocco autorizzativo” nel quale di fatto si sono concretizzati tutti i profili di incostituzionalità che ha evidenziato la Corte Costituzionale.
In particolare indebitamente tutti i soggetti autorizzati si sono ritrovati a beneficiare di circa tre anni in cui nessun nuovo soggetto poteva entrare nel mercato, consolidando posizioni rilevanti e percependo indebiti vantaggi.
Ciò non è senza ripercussioni, perché molte società si sono viste negate l’accesso a finanziamenti pubblici (ad esempio per le startup innovative) proprio a causa dell’incertezza legata a questo blocco amministrativo.
Non privo di rilievo il collegamento con la sentenza Tar Lombardia n. 2949/2023 sul ritardo sistematico dell’amministrazione nella gestione dei procedimenti.
La sentenza Tar Lombardia n. 2949/2023 pubblicata il 4 dicembre 2023 infatti affronta il tema del ritardo sistematico dell’amministrazione nella gestione dei procedimenti relativi alle domande di emersione dal lavoro irregolare (sensi dell’art. 103, D.L. n. 34/2020), esaminando un’azione collettiva.
Nel caso di specie viene analizzata l’importanza del rispetto dei tempi procedurali stabiliti e sollevate questioni relative all’efficienza amministrativa e al buon andamento della pubblica amministrazione, con particolare riferimento alla gestione delle risorse e all’organizzazione interna delle amministrazioni coinvolte.
Da una lettura trasversale appare emergere un ampio e generale principio per cui è in sé incostituzionale (alla luce della sentenza oggetto del presente commento) ogni ritardo nella definizione amministrativa che generi di fatto delle posizioni di esclusione dal mercato quanto di violazione di diritti in concreto.
Ciò può riguardare sia la gestione e l’organizzazione amministrativa (come nel caso all’attenzione del tribunale amministrativo meneghino) quanto nel caso del recepimento di una normativa europea cui dare attuazione (come nel caso del regolamento sulle piattaforme di crowdfunding) quanto sull’emanazione di un regolamento o di un decreto attuativo ministeriale (nel caso della sentenza della cote costituzionale) che di fatto, attraverso una “omissione amministrativa” procurano un indebito vantaggio o una lesione del diritto soggettivo.
Lungi dal risolvere la questione – che in Italia assume in certi casi aspetti più che patologici – la sentenza in commento, trasversalmente e ampiamente intesa – offre uno strumento chiaro e di “immediato utilizzo” in caso di ricorso ai tribunali amministrativi regionali.
Appare infatti – almeno a parere di chi scrive – che sulla base dei principi qui espressi dal massimo giudice delle leggi un giudice amministrativo possa considerare prima facie – e quindi anche in sede cautelare – legittimo un qualsiasi ritardo od omissione regolamentare come legittimo e quindi disporre immediatamente, partendo proprio dalla illegittimità costituzionale.

2. divieto di nuove autorizzazioni nell’attesa del registro informatico pubblico nazionale: la sentenza

La Corte Costituzionale si è espressa in questo caso […] nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 6, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12, promosso dalla Corte Costituzionale con ordinanza del 7 marzo 2024, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2024.
[…] Nel corso del giudizio, questa Corte, con ordinanza n. 35 del 2024 (iscritta al n. 49 reg. ord. 2024), ha sollevato, disponendone la trattazione innanzi a sé, questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 41, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), dell’art. 10-bis, comma 6, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12.
La suddetta disposizione prevede che: «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese di cui al comma 3, non è consentito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente con autovettura, motocarrozzetta e natante».
Questa Corte ha premesso che nel giudizio principale la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione alla materia «tutela della concorrenza», è stata prospettata dal ricorrente in quanto la disposizione regionale impugnata – prevedendo il rilascio di duecento autorizzazioni ai fini dello svolgimento del servizio di noleggio con conducente (da ora, anche: NCC) e individuando direttamente il loro destinatario – confliggerebbe, da un lato, con gli artt. 5, comma 1, e 8, comma 1, della legge 15 gennaio 1992, n. 21 (Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea).
Dall’altro, con l’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, che preclude la concessione di nuove autorizzazioni allo svolgimento dell’attività di NCC fino alla «piena operatività» del menzionato registro informatico.
Questa Corte ha quindi invertito l’ordine dei profili di censura, dal momento che i citati artt. 5, comma 1, e 8, comma 1, disciplinando le modalità di affidamento delle autorizzazioni, si pongono a valle del divieto di rilascio delle medesime posto dall’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, per cui l’esame della doglianza inerente al contrasto con quest’ultima disposizione risulta logicamente preliminare.
Di qui la rilevanza delle questioni rimesse dinanzi a sé, atteso l’«evidente rapporto di necessaria pregiudizialità […] tra la questione promossa dal ricorrente in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. e quelle derivanti dai dubbi di legittimità costituzionale che suscita la disciplina recata dall’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito».
In punto di non manifesta infondatezza, l’ordinanza di rimessione ha rilevato che il comma 3 del medesimo art. 10-bis prevede l’istituzione di «un registro informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza per il servizio taxi […] e di quelle di autorizzazione per il servizio» di NCC, demandando poi a un decreto «del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti» l’individuazione delle «specifiche tecniche di attuazione e [del]le modalità con le quali le predette imprese dovranno registrarsi».
Tuttavia, l’efficacia di tale decreto ministeriale, che è stato adottato il 19 febbraio 2020 e ha stabilito anche la piena operatività del registro informatico a decorrere dal 2 marzo 2020 (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, decreto del Capo dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale, del 19 febbraio 2020, n. 4), è stata, il giorno seguente, sospesa e differita (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, decreto del Capo dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale, del 20 febbraio 2020, n. 86) sino all’adozione dell’ulteriore decreto previsto dal comma 2 dello stesso art. 10-bis, diretto alla determinazione delle specifiche tecniche del foglio di servizio in formato elettronico, che non è stato più emanato.
L’ordinanza di rimessione ha quindi ricordato che questa Corte ha escluso, con la sentenza n. 56 del 2020, che il divieto stabilito dalla disposizione censurata comportasse «un’irragionevole restrizione della concorrenza a vantaggio dei titolari di licenze per taxi, per le quali il divieto temporaneo di rilascio non opera», ma ciò «solo nella misura in cui “il numero delle imprese operanti nel settore” veniva bloccato “per il tempo tecnico strettamente necessario ad adottare in concreto il nuovo registro”».
Questo «tempo tecnico» – ha poi precisato l’ordinanza – si sarebbe, tuttavia, potuto «protrarre in modo del tutto ingiustificato» in conseguenza «della modalità con cui il suddetto art. 10-bis, comma 6, ha stabilito il divieto di cui si discute».
Sarebbero, infatti, la «”stessa struttura” (sentenza n. 132 del 2018) del “meccanismo normativo” previsto dalla disposizione in oggetto e [la] “sua combinazione” (sentenza n. 166 del 2022) con le previste modalità dirette a dare “piena operatività [a]ll’archivio informatico pubblico nazionale”» a consentire «la possibilità di bloccare per un tempo indefinito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di NCC».
Ciò che, ha rilevato questa Corte, si è difatti verificato in virtù della perdurante inoperatività, dopo più di cinque anni dall’entrata in vigore del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, del registro informatico nazionale.
Tanto chiarito, questa Corte, in primo luogo, ha dubitato della conformità dell’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, all’art. 3 Cost., in riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, sia con riguardo alla sua intrinseca razionalità, alla luce di «un “apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la ‘causa’ normativa che la deve assistere”», sia in relazione alla «esistenza di una connessione razionale tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che questi intende perseguire».
In secondo luogo, ha dubitato della sua conformità all’art. 41, primo e secondo comma, Cost.
La disposizione sospettata, infatti, «per come strutturata», potrebbe dar luogo a «blocchi o sospensioni delle autorizzazioni funzionali all’esercizio di attività economiche» suscettibili di «tradursi in “una indebita barriera all’ingresso nel mercato”, ponendosi “in contrasto, altresì, con la libertà formale di accesso al mercato garantita dal primo comma dell’art. 41 Cost.” (sentenza n. 7 del 2021)».
Inoltre, il divieto da essa recato non sarebbe nemmeno «riconducibile a un motivo di utilità sociale o a un interesse della collettività, apparendo piuttosto rispondere a un’istanza protezionistica», peraltro riferita al mercato del trasporto pubblico non di linea, già caratterizzato da una inadeguata apertura all’ingresso di nuovi soggetti.
Ha, infine, dubitato della conformità della disposizione censurata all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49 TFUE, poiché, proprio in riferimento allo specifico settore del trasporto di persone mediante il servizio di NCC, la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione prima, 8 giugno 2023, in causa C-50/21, Prestige and Limousine SL, ha precisato che restrizioni alla libertà di stabilimento possono essere ammesse solo a condizione, «in primo luogo, di essere giustificate da un motivo imperativo di interesse generale e, in secondo luogo, di rispettare il principio di proporzionalità, il che implica che esse siano idonee a garantire, in modo coerente e sistematico, la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non eccedano quanto necessario per conseguirlo».
[…]
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Nel corso del giudizio iscritto al n. 20 del reg. ric. 2023, questa Corte, con ordinanza n. 35 del 2024 (reg. ord. n. 49 del 2024), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 41, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 49 TFUE, disponendone la trattazione innanzi a sé, in forza dell’«evidente rapporto di necessaria pregiudizialità» rispetto alla decisione del ricorso sull’art. 1 della legge reg. Calabria n. 16 del 2023, impugnato dal Governo, fra l’altro, per violazione della competenza statale in materia di tutela della concorrenza.
2.- La disposizione censurata prevede che: «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese di cui al comma 3, non è consentito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente con autovettura, motocarrozzetta e natante».
Segnatamente, sarebbe la stessa struttura di tale disposizione, nella combinazione tra la durata del divieto di rilascio e le modalità dirette a dare piena operatività all’archivio informatico pubblico nazionale, a consentire «la possibilità di bloccare per un tempo indefinito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di NCC», come del resto si è verificato in virtù della perdurante inoperatività, dopo più di cinque anni dall’entrata in vigore del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, del suddetto archivio informatico.
L’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito, si porrebbe quindi in contrasto: a) con l’art. 3 Cost., in riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, potendosi dubitare sia della sua intrinseca razionalità sia dell’esistenza di una connessione razionale tra il mezzo apprestato e l’obiettivo perseguito; b) con l’art. 41, primo e secondo comma, Cost., potendo tradursi in un’istanza protezionistica che determina un’indebita barriera all’ingresso nel mercato, senza peraltro essere riconducibile a un motivo di utilità sociale o a un interesse della collettività; c) con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49 TFUE, in quanto si risolverebbe in una restrizione della libertà di stabilimento garantita da quest’ultimo, né proporzionata, né giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.
3.- Dopo l’instaurazione di questo giudizio di costituzionalità è stato adottato il decreto n. 203 del 2024 del Capo dipartimento per i trasporti e la navigazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il quale, da un lato, «definisce le modalità di attivazione» dell’anzidetto registro informatico e ne stabilisce la “piena operatività” a decorrere da centottanta giorni dalla pubblicazione del decreto medesimo; dall’altro dispone che i decreti ministeriali n. 4 del 2020, istitutivo del registro stesso, e n. 86 del 2020, che ne ha sospeso l’efficacia (quest’ultimo peraltro già annullato dalla sentenza del TAR Lazio n. 6068 del 2024), «sono abrogati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto».
4.- In via preliminare, occorre chiarire che l’adozione del suddetto decreto n. 203 del 2024 non ha alcuna incidenza sul presente giudizio, dal momento che le censure sono state prospettate sulla disposizione legislativa in ragione della sua «struttura», a prescindere dalle evenienze «di fatto» e dalle «circostanze contingenti» attinenti alla sua concreta applicazione.
E ciò in quanto è proprio la configurazione della disposizione censurata a consentire all’autorità amministrativa di alzare una barriera all’ingresso dei nuovi operatori nel mercato del NCC semplicemente bloccando, con il succedersi dei decreti (ovvero con la loro emanazione e la loro successiva sospensione), la piena operatività del registro informatico.
La vicenda storica lo ha concretamente dimostrato, perché la disposizione in esame ha consentito per oltre cinque anni dalla sua entrata in vigore (e potrebbe consentirlo in futuro) di mantenere in vita un divieto, vincolante per regioni ed enti locali, che ha gravemente compromesso la possibilità di incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici non di linea.
5.- Tale carenza, tuttavia, è stata oggetto, sin dal 1995 (Segnalazione 1° agosto 1995, n. 053), di ripetute segnalazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), in quanto «dovuta principalmente a un numero insufficiente di licenze per il servizio [di taxi] emesse dai comuni interessati». Anche quando poi alcuni comuni hanno provveduto a rilasciare nuove licenze per l’esercizio del servizio di taxi, questi interventi «sono risultati insufficienti anche a fronte di una domanda di mobilità non di linea in forte crescita» e di un’offerta «di servizi di NCC» che, parimenti, «non è stata sufficiente a soddisfare la domanda di mobilità» (Segnalazione 10 marzo 2017, n. 1354).
[…]
È quindi rimasta del tutto inascoltata da parte del legislatore la preoccupazione dell’AGCM volta a evidenziare che «l’ampliamento dell’offerta dei servizi pubblici non di linea risponde all’esigenza di far fronte ad una domanda elevata e ampiamente insoddisfatta, soprattutto nelle aree metropolitane, di regola caratterizzate da maggiore densità di traffico e dall’incapacità del trasporto pubblico di linea e del servizio taxi a coprire interamente i bisogni di mobilità della popolazione» (ancora, Segnalazione n. 1354 del 2017).
A breve distanza da tale segnalazione, infatti, è intervenuta la disposizione censurata, che, introducendo il descritto meccanismo normativo, ha consentito all’autorità amministrativa di bloccare sino ad ora la possibilità di rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento dell’attività di NCC.
6.- La questione sollevata con riguardo all’art. 3 Cost., in riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, è fondata.
6.1.- Come è stato affermato da questa Corte nella sentenza n. 56 del 2020, l’art. 10-bis, comma 6, dovrebbe avere «il fine di bloccare il numero delle imprese operanti nel settore [soltanto] per il tempo tecnico strettamente necessario ad adottare in concreto il nuovo registro».
Nella suddetta pronuncia tale previsione è stata quindi ritenuta non irragionevole in quanto valutata secondo una logica “statica”.
Dal punto di vista “dinamico” in cui, dopo diversi anni, la considera nuovamente l’ordinanza di questa Corte iscritta al n. 49 reg. ord. 2024, si evidenzia, invece, una netta «contraddittorietà intrinseca» tra la regola introdotta, che permette di precludere a tempo indeterminato il rilascio di nuove autorizzazioni, e «la ‘causa’ normativa che la deve assistere» (ex plurimis, sentenza n. 195 del 2022), che dovrebbe essere quella, invece, di realizzare in breve tempo una mappatura delle imprese titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi e di quelle titolari (a mercato fermo) di autorizzazione per l’esercizio del servizio di NCC.
6.2.- Altresì evidente è il difetto di proporzionalità.
Con riferimento al settore del NCC, di recente questa Corte ha affermato che «i divieti e gli obblighi posti in capo alle imprese autorizzate al servizio di NCC, per essere legittimi, devono essere […] adeguati e proporzionati rispetto allo scopo da perseguire» (sentenza n. 36 del 2024) e ha parimenti rimarcato l’esigenza di una «connessione razionale tra il mezzo predisposto dal legislatore […] e il fine che questi intende perseguire» (sentenza n. 8 del 2024).
Tale connessione manca, con chiara evidenza, nella norma censurata, che consente in concreto all’autorità amministrativa di bloccare a tempo indefinito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’esercizio del servizio di NCC, con effetti protezionistici consistenti nell’elevare un’indebita barriera alla libertà di accesso al mercato, che non solo si è tradotta un’ulteriore posizione di privilegio degli operatori in questo già presenti – che agiscono in una situazione in cui la domanda è ampiamente superiore all’offerta – ma che, soprattutto, ha causato, in modo sproporzionato, un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività.
[…] Insomma, tali esempi dimostrano che, nella pur circoscritta distorsione della concorrenza che si è verificata per effetto della normativa censurata, sono stati indebitamente compromessi, non solo il benessere del consumatore, ma qualcosa di più ampio, che attiene all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese.
7.- Parimente fondata è la questione riferita all’art. 41, primo e secondo comma, Cost.
La norma censurata, come si è detto, ha consentito e consente all’autorità amministrativa di erigere una indebita barriera all’entrata: il che preclude la concorrenza per il mercato, in contrasto con la libertà garantita dal primo comma dell’art. 41 Cost. (sentenze n. 8 del 2024, n. 171 e n. 117 del 2022 e n. 7 del 2021), in un settore già da tempo «caratterizzato, come più volte ha rimarcato l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (da ultimo, mediante segnalazione del 3 novembre 2023, rif. n. S4778), da una inadeguata apertura all’ingresso di nuovi soggetti» (sentenza n. 8 del 2024).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, inoltre, è possibile una compressione della libertà d’iniziativa economica privata solo «allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda, oltre che alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana, come sancito dall’art. 41, comma secondo, Cost., all’utilità sociale» (sentenza n. 150 del 2022; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 151 e n. 47 del 2018, n. 16 del 2017 e n. 56 del 2015).
Quanto in precedenza evidenziato (punti 6.2. e 6.2.1.) porta invece palesemente a escludere che la disposizione censurata, rinviando a una piena operatività del registro suscettibile di essere procrastinata sine die, sia riconducibile a un qualche motivo di utilità sociale o a un interesse della collettività, rispondendo, al contrario, a un’istanza protezionistica che ha, non marginalmente, inciso sul benessere sociale e sugli interessi della collettività.
8.- Fondata, infine, è anche la censura relativa all’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 49 del TFUE.
La Corte di giustizia UE, in riferimento all’applicazione del suddetto art. 49, ha chiarito che questo garantisce la libertà di stabilimento anche nei rapporti tra imprese che forniscono il servizio di taxi e imprese autorizzate per il servizio di NCC.
[…]
Alla luce di tale giurisprudenza, la disposizione censurata incide sulla libertà di stabilimento senza che sia ravvisabile, per quanto già esposto, un proporzionato motivo di interesse generale a sua giustificazione.
[…]
P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 6, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 2019, n. 12

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Michele Di Salvo

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