Immigrazione e benefici economici. Brevi riflessioni dall’America

Faedda Barbara 21/05/09
Tra le numerose strategie di propaganda e strumentalizzazione del tema dell’immigrazione, vi è quella concernente i presunti svantaggi economici. Lasciando da parte in questa breve nota i principi umanitari, i diritti civili, il dibattito sulla cittadinanza e la valorizzazione della diversità – nonostante i gravi fatti più recenti – si prenderà in esame il dibattito statunitense che intende favorire l’immigrazione alla luce delle positive ricadute sull’economia del paese.
Attualmente infatti negli USA una porzione significativa della popolazione auspica una amnistia che regolarizzi gli immigrati cosiddetti ‘illegali’ presenti attualmente nel paese, attraverso la tanto agognata riforma dell’immigrazione. Tra questi ovviamente molti abbinano l’imperativo economico a quello umano.
La teoria sottesa a tale dibattito è quella relativa al fatto che rendere ‘legali’ gli ‘illegali’ contribuirebbe positivamente sia all’innalzamento dei salari che al miglioramento delle condizioni di lavoro (per tutti, anche per i nativi). Inoltre, migliorare gli stipendi condurrebbe di per sé ad un maggior contributo in termini di gettito fiscale, e maggiori risorse finanziare per i consumi di beni e servizi, con sicuro giovamento del sistema economico nazionale nel suo complesso. Senza una riforma sostanziale dell’immigrazione, gli Stati Uniti non potranno ambire ad una rinascita economica. L’economia sommersa rappresenta, infatti, una notevole falla all’interno dei meccanismi economici e finanziari del paese, causando inoltre un decremento degli standards di sicurezza nei luoghi di lavoro e quindi del benessere stesso dei lavoratori tutti, americani e non.
La legalizzazione aumenterebbe le entrate del governo, introducendo un numero maggiore di lavoratori nel sistema contributivo; i lavoratori, liberati dalle maglie del lavoro sommerso, guadagnerebbero e, molto probabilmente, spenderebbero di più. Le moltissime risorse istituzionali, finanziarie e sociali – ora rivolte esclusivamente alla repressione, punizione, detenzione ed espulsione – verrebbero svincolate e possibilmente destinate ad altre finalità sociali.
Gli immigrati in regola attualmente negli USA contribuiscono in maniera significativa al sistema previdenziale, anche perché generalmente più giovani dei lavoratori nativi. La National Foundation for American Policy, infatti, ha calcolato che nei prossimi 50 anni i nuovi immigrati che entreranno negli USA – se ‘legalizzati’ – produrranno un beneficio netto di oltre 400miliardi di dollari alla previdenza nazionale.
Chi sostiene la necessità di una riforma del sistema immigratorio, si riferisce spesso all’Immigration Reform and Control Act (IRCA) del 1986 che ha concesso l’amnistia a circa un milione e 700mila lavoratori non autorizzati. Secondo numerose ricerche – alcune delle quali commissionate direttamente dal governo USA – nell’arco di quattro/cinque anni i lavoratori ‘legalizzati’ hanno visto un ‘naturale’ innalzamento degli stipendi di circa il 15%. Ciò li ha condotti a maggiori investimenti nei settori dell’istruzione, dell’immobiliare e della piccola imprenditoria. I benefici sono andati oltre la dimensione personale o familiare, arrivando anche a livello locale, di comunità, e conducendo alla creazione di nuovi posti di lavoro. Nel 2002, un milione e seicentomila imprese a conduzione latino-americana hanno dato lavoro ad un milione e mezzo di lavoratori. Nello stesso anno oltre un milione d’imprese a conduzione asiatica ha creato 2 milioni e duecentomila posti di lavoro. Inoltre, molti lavoratori rientrati nel suddetto IRCA hanno avuto la possibilità di cambiare (in termini di miglioramento) occupazione, percependo non solo stipendi e benefici maggiori, ma anche migliorando i propri livelli di istruzione e di conoscenza della lingua inglese.
Secondo le proiezioni, se il Congresso e il presidente Obama renderanno ‘regolari’ gli attuali dieci milioni (forse dodici secondo le stime piu’ recenti) di immigrati ‘irregolari’, vi sarà uno stimolo economico di circa 35 miliardi di dollari in redditi familiari, quasi un milione di nuovi posti di lavoro e circa cinque miliardi di dollari in  maggiore gettito fiscale. Permettere, inoltre, la partecipazione civica ai gruppi finora esclusi dalla vita pubblica intensificherà sostanzialmente le politiche pubbliche e sociali, quelle volte soprattutto ai profili socialmente ed economicamente svantaggiati.
Le politiche repressive sono assai costose e particolarmente inefficaci. Negli USA il rapporto tra investimenti in sistemi repressivi e numero di lavoratori illegali ha visto un’ironica sproporzione. Il numero d’entrate non documentate, infatti, è addirittura triplicato dal 1990 al 2008, proprio il periodo in cui il governo federale ha maggiormente investito in controllo, repressione e respingimento. Tale approccio repressivo è altamente costoso anche sotto un profilo umano, non solo economico. L’economia sommersa è composta da individui particolarmente deboli e vulnerabili; viene così continuamente alimentata la richiesta di forza lavoro illegale, mantenendo livelli salariali artificiali ed estremamente bassi. Inoltre, l’inasprimento dei controlli alle frontiere ha rappresentato un’ulteriore fonte di prosperità del mercato del contrabbando e traffico di beni e persone. Una ricerca condotta in Messico ha dimostrato che nove ‘illegali’ su dieci si servono di contrabbandieri per attraversare i confini con gli Stati Uniti.
Ironicamente, è proprio ai contribuenti nazionali che vengono richiesti maggiori sforzi economici per il controllo dei suddetti confini…
 
 
di Barbara Faedda
 
 
 
Bibliografia di riferimento
AA.VV., IRCA: lessons of the last US legalization program, Migration Information, 2004.
Hinojosa-Ojeda R., Economic stimulus through legalization, WCVI Intermestic Initiatives White Paper, 2009.
USDA Economic Research Service, Dept. of Agriculture.

Faedda Barbara

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