Immigrazione: le novità del decreto legge 20/2023

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È stato pubblicato il 10 marzo del 2023 sulla Gazzetta ufficiale il decreto legge, 10 marzo 2023, n. 30 (d’ora in poi decreto legge n. 20/2023) con cui il governo è intervenuto in materia di immigrazione, introducendo delle disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare.
In questo atto avente forza di legge, inoltre, si è agito anche in materia penale in relazione a quanto ivi previsto dall’art. 8 che prevede per l’appunto delle disposizioni penali (da intendere latu sensu ossia non solo riferite al diritto penale sostanziale, ma anche in relazione al diritto penitenziario e alla procedura penale).
Ebbene, scopo del presente scritto è quello di compiere una prima disamina di quanto preveduto da questo articolo 8.

Indice

1. Le modifiche apportate all’art. 8 del d.lgs., 26 luglio 1998, n. 286


L’art. 8, co. 1, lett. a), decreto legge n. 20/2023 modifica l’art. 12 del d.lgs., 26 luglio 1998, n. 286 (d’ora in poi d.lgs. n. 286/1998) – che, come è noto, prevede delle norme incriminatrici in materia di immigrazione – nei seguenti termini: “a) all’articolo 12, comma 1, le parole: «da uno a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «da due a sei anni» e al comma 3 le parole: «da cinque a quindici anni» sono sostituite dalle seguenti: «da sei a sedici anni»;”.
Tal che ne consegue che adesso chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito non più con la pena da uno a cinque anni di reclusione, ma da due a sei anni.
A sua volta, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è ora sanzionato non più con la reclusione da cinque a quindici anni, ma da sei a sedici anni.
Per ambedue le fattispecie criminose, invece, rimane invariata la pena pecuniaria (multa di 15.000 euro per ogni persona).


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2. Il “nuovo” art. 12-bis del d.lgs. n. 286/1998


L’art. 8, co. 1, lett. b), decreto legge n. 20/2023, invece, introduce una nuova fattispecie di reato, essendo ivi stabilito quanto segue: “dopo l’articolo 12, è inserito il seguente: «Art. 12-bis (Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina). – 1. Chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, quando il trasporto o l’ingresso sono attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante, è punito con la reclusione da venti a trenta anni se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone. La stessa pena si applica se dal fatto derivano la morte di una o più persone e lesioni gravi o gravissime a una o più persone. 2. Se dal fatto deriva la morte di una sola persona, si applica la pena della reclusione da quindici a ventiquattro anni. Se derivano lesioni gravi o gravissime a una o più persone, si applica la pena della reclusione da dieci a venti anni.  3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, la pena è aumentata quando ricorre taluna delle ipotesi di cui all’articolo 12, comma 3, lettere a), d) ed e). La pena è aumentata da un terzo alla metà quando concorrono almeno due delle ipotesi di cui al primo periodo, nonché’ nei casi previsti dall’articolo 12, comma 3-ter.  4. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui al comma 3, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.  5. Si applicano le disposizioni previste dai commi 3-quinquies,4, 4-bis e 4-ter dell’articolo 12.  6. Fermo quanto disposto dall’articolo 6 del codice penale, se la condotta è diretta a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato, il reato è punito secondo la legge italiana anche quando la morte o le lesioni si verificano al di fuori di tale territorio.»”.
Si tratta quindi per l’appunto di un nuovo reato, e segnatamente di un delitto.
In particolare, questo illecito penale è un reato comune, in quanto può essere commesso da chiunque che, a sua volta, deve porre in essere una delle condotte prevedute dal primo comma ossia: promuovere, dirigere, organizzare, finanziare o effettuare il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compiere altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente.
L’uso delle congiunzioni avversative “o” e “ovvero” lascia chiaramente intendere, ad avviso dello scrivente, come si tratti di condotte alternative, nel senso che è sufficiente che sia posta in essere una di tali azioni criminose (il reato de quo, quindi, è un reato commissivo) ma ciò, tuttavia, non è sufficiente perché possa ritenersi integrato codesto illecito penale.
Difatti, occorre che una di tali condotte sia stata compiuta in violazione delle disposizioni prevedute dal d.lgs. n. 286/1998, essendo altresì richiesto che il trasporto o l’ingresso siano attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante.
Solo quindi si verifichino anche tale condizioni (secondo lo scrivente, infatti, si tratta di anch’essi di elementi costitutivi del reato che, in quanto tali, devono essere investiti dal dolo, ossia l’autore del reato deve avere agito, nella consapevolezza di tali violazioni, attuando la condotta criminosa con le modalità summenzionate), dunque, il reato in questione può ritenersi perfezionato.
Ciò posto, sempre al primo comma è prevista la reclusione da venti a trenta anni se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone fermo restando che la stessa pena si applica se dal fatto derivano la morte di una o più persone e lesioni gravi o gravissime a una o più persone.
Orbene, questa previsione di legge, che riecheggia quella preveduta dall’art. 586 cod. pen. per il delitto di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, rende evidente, per chi scrive, come tale fatto integri una condizione di punibilità atteso che solo ove si verifichi la morte di più persona o lesione gravi o gravissime, l’autore del reato in oggetto può essere soggetto a questa sanzione detentiva.
Chiarito ciò, per quanto riguarda cosa debba intendersi per “conseguenza non voluta”, si può fare riferimento a quanto postulato dalle Sezioni unite penali nella sentenza n. 22676 del 22/01/2009.
In quell’occasione, infatti, gli Ermellini, in relazione al reato preveduto dall’art. 586 cod. pen. che, come appena visto, prevede anch’esso il riferimento alla “conseguenza non voluta”, ha affermato che, perché si possa rispondere per l’appunto di questa conseguenza non voluta, occorre “una responsabilità per colpa in concreto, ossia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità, in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell’incolumità personale” (Cass. pen., Sez. un., n. 22676/2009) fermo restando che, ai “fini della imputazione della conseguenza ulteriore non voluta di un reato-base doloso, la colpa non può essere presunta in forza della sola violazione della legge incriminatrice del reato doloso” (Cass. pen., Sez. un., n. 22676/2009) essendo quindi necessario “che l’agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma (della legge sugli stupefacenti) che incrimina il delitto base e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali” (Cass. pen., Sez. un., n. 22676/2009) (il che sembra perfettamente ricorre nel caso qui in commento atteso che, come visto prima, il legislatore ha fatto riferimento, non alle violazioni previste dalla norma incriminatrice in sé e per sé considerata, ma dal d.lgs. n. 286/1998).
Occorre pertanto che sia accertata la sussistenza, da un lato, di un nesso di causalità fra il fatto-reato summenzionato “e l’evento morte o lesioni, non interrotto da fattori eccezionali sopravvenuti, e, da un altro lato, che l’evento non voluto sia comunque soggettivamente collegabile all’agente, ovvero sia a lui rimproverabile a titolo di colpa in concreto, valutata secondo i normali criteri di valutazione della colpa nei reati colposi” (Cass. pen., Sez. un., n. 22676/2009).
Precisato ciò, al comma secondo viene invece meno il riferimento alla conseguenza non voluta, essendo unicamente disposto che, se “dal fatto deriva la morte di una sola persona, si applica la pena della reclusione da quindici a ventiquattro anni” (primo periodo) mentre, se “derivano lesioni gravi o gravissime a una o più persone, si applica la pena della reclusione da dieci a venti anni”.
Si tratta, anche in questo caso, ad avviso di chi scrive, di condizioni di punibilità che, in quanto tali, non devono essere necessariamente voluti e rappresentati dall’autore di questo reato.
Per quanto invece riguarda il comma terzo, sono previste delle circostanze aggravanti.
La prima, contemplata nel primo periodo, è un’aggravante speciale ad effetto comune, essendo ivi disposto che nei “casi di cui ai commi 1 e 2, la pena è aumentata quando ricorre taluna delle ipotesi di cui all’articolo 12, comma 3, lettere a), d) ed e)”, vale a dire quando: 1) il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; 2) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; 3) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
La secondo, inserita nel secondo periodo, è invece un’aggravante speciale ad effetto speciale, essendo ivi preveduto che la “pena è aumentata da un terzo alla metà quando concorrono almeno due delle ipotesi di cui al primo periodo (già esaminato in precedenza ndr.), nonché’ nei casi previsti dall’articolo 12, comma 3-ter”, d.lgs. n. 286/1998, vale a dire allorché i fatti de quibus sono commessi: I) al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; II) al fine di trarne profitto, anche indiretto.
Ciò posto, a loro volta le “circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98[1] e 114[2] del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui al comma 3, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti” (così recita il comma quarto).
L’art. 12-bis, co. 5, d.lgs. n. 286/1998, dal canto suo, dispone che si “applicano le disposizioni previste dai commi 3-quinquies, 4, 4-bis e 4-ter dell’articolo 12” del d.lgs. n. 286/1998 le quali prevedono rispettivamente quanto segue: a) “Per i delitti previsti dai commi precedenti le pene sono diminuite fino alla metà nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l’individuazione o la cattura di uno o più autori di reati e per la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti”; b) “Nei casi previsti dai commi 1 e 3 è obbligatorio l’arresto in flagranza”; c) “Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati previsti dal comma 3, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”; d) “Nei casi previsti dai commi 1 e 3 è sempre disposta la confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato, anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti”.
Infine, al comma sesto è stabilito che, fermo “quanto disposto dall’articolo 6 del codice penale[3], se la condotta è diretta a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato, il reato è punito secondo la legge italiana anche quando la morte o le lesioni si verificano al di fuori di tale territorio”.

3. Le modifiche apportate in materia di ordinamento penitenziario


L’art. 8, co. 2, decreto legge n. 20/2023 dispone che all’“articolo 4-bis, commi 1 e 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354, le parole: «all’articolo 12, commi 1 e 3,» sono sostituite dalle seguenti: «agli articoli 12, commi 1 e 3, e 12-bis,»”.
Di conseguenza, per effetto di questo innesto legislativo, anche per il reato preveduto dall’art. 12-bis del d.lgs. n. 286/1998, vigono i divieti di benefici penitenziari previsti dal comma 1 dell’art. 4-bis della legge n. 354/1975 e le condizioni attraverso i quali invece poterli conseguire secondo quanto richiesto dal successivo comma 1-bis.

4. Le modifiche apportate in materia di procedura penale


Se l’art. 8, co. 3, decreto legge n. 20/2023 statuisce che all’“articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, le parole «all’articolo 12, commi 1, 3 e 3-ter,» sono sostituite dalle seguenti: «agli articoli 12, commi 1, 3 e 3-ter, e 12-bis,».”, il seguente comma quarto, invece, dispone che all’“articolo 407, comma 2, lettera a), n. 7-bis), del codice di procedura penale, le parole «dall’articolo 12, comma 3,» sono sostituite dalle seguenti: «dagli articoli 12, comma 3, e 12-bis»”.
Da ciò deriva che: I) le funzioni deputate al pubblico ministero nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado sono attribuite all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente anche ove si proceda per il delitto di cui all’art. 12-bis del d.lgs. n. 286/1998; II) la durata delle indagini preliminari è pari a due anni se tali indagini riguardino il delitto appena menzionato.

Queste sono dunque le principali novità previsto da codesto decreto legge in materia “penale”, non resta dunque che vedere se tale normativa verrà confermata, così com’è, anche in sede di conversione.

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  1. [1]

    Per cui: “E’ imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’intendere e di volere; ma la pena è diminuita. Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale”.

  2. [2]

    Alla stregua del quale: “Il giudice, qualora ritenga che l’opera prestata da talune delle persone che sono concorse nel reato a norma degli articoli 110 e 113 abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato, può diminuire la pena. Tale disposizione non si applica nei casi indicati nell’articolo 112. La pena può altresì essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato, quando concorrono, le condizioni stabilite nei numeri 3 e 4 del primo comma e nel terzo comma dell’articolo 112”.

  3. [3]

    Secondo cui: “Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana. Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione”.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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