A) GIURISDIZIONE
1.Cass., Sez. Un., giugno 2013
Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda di risarcimento dei danni derivanti dal ritardo nell’adozione del rinnovo del permesso di soggiorno richiesto da titolare dello status di rifugiato, proposta in epoca anteriore all’entrata in vigore della l. 69/2009, il cui art. 7 ha aggiunto l’art. 2-bis alla l. 241/1990
2.Cass., Sez. Un., giugno 2013
Le controversie relative ai respingimenti con accompagnamento alla frontiera adottati dal Questore ai sensi dell’art. 10, comma 2, del T.U. Immigrazione sono devolute al Giudice Ordinario
3.Cass., Sez. Un., giugno 2013
Spetta al giudice ordinario, in mancanza di norma derogatrice al criterio generale, la cognizione dell’impugnazione dei respingimenti, incidendo il relativo provvedimento su situazioni soggettive aventi consistenza di diritto soggettivo, in quanto rivolto, senza margini di ponderazione di interessi in gioco da parte dell’Amministrazione, all’accertamento positivo di circostanze-presupposti di fatto esaustivamente individuate dalla legge ed a quello negativo della insussistenza dei presupposti per l’applicazione delle disposizioni vigenti che disciplinano la protezione internazionale
4.Cass. settembre 2013
L’applicabilità dell’art. 18 del T.U. Immigrazione è sottoposta al sindacato del giudice amministrativo
B) RILASCIO/RINNOVO PERMESSO DI SOGGIORNO
1.Cass. maggio 2013
Il permesso di soggiorno umanitario offre una tutela residuale, non casualmente correlata ad un predeterminato arco di tempo, che spetta quando le gravi ragioni di protezione accertate, ed aventi gravità e precisione pari a quelle sottese alla tutela maggiore, costituita dalla protezione internazionale, siano sol temporalmente limitate
2.Cass. maggio 2013
Per effetto dell’art. 32, c. 3, del d. lgs. 25/2008, ai sensi del quale, “nei casi in cui non accolga la domanda di protezione e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”, al questore non spetta alcuna discrezionalità circa la verifica della sussistenza delle condizioni per accedere alla protezione umanitaria, ma soltanto la verifica dei requisiti ulteriori per il rilascio del permesso umanitario nell’ambito della previsione di cui all’ art. 28, comma 1, lett. d), del d.P.R. 394/1999
3.Cass. novembre 2013
L’eventuale richiesta di conversione del permesso di lavoro in permesso per motivi familiari soggiace al riscontro della mancanza della pericolosità sociale nel richiedente, salva la necessità di non procedere ad esclusioni fondate su automatismi normativi ma sul riscontro della situazione concreta; essendo escluse valutazioni estranee al riscontro effettivo della pericolosità, dovendo la natura dei vincoli familiari, la loro durata ed il radicamento nel paese, essere valutati esclusivamente ai fini del riconoscimento del diritto al ricongiungimento ovvero alla conservazione di tale peculiare titolo, è inapplicabile il più attenuato riscontro previsto dagli artt. 4, c. 3, ultima parte e 5, c. 5, ultima parte, trovando, invece, applicazione la prima parte di tale disposizione ed il successivo art. 5 bis
4.Cass. novembre 2013
La protezione sussidiaria e la misura residuale atipica di protezione internazionale del permesso umanitario sono fondate su requisiti che prescindono dalla vis persecutoria fondata sulle ragioni tipizzate nell’art. 7 del d. lgs. 251/2007: tale estensione è stata dettata proprio dall’esigenza d’includere nel sistema della protezione internazionale situazioni di pericolo di danno grave per l’incolumità personale o altre rilevanti violazioni dei diritti umani delle persone, non riconducibili al modello persecutorio del rifugio, perché generate da situazioni endemiche di conflitto e violenza interna, dall’inerzia o connivenza dei poteri statuali o da condizioni soggettive di vulnerabilità non emendabili nel paese di provenienza
C) INGRESSO E/O PERMANENZA IN ITALIA PER ASSISTENZA AL MINORE (art. 31, c. 3, TU Immigrazione)
1.Cass. febbraio 2013
La temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, di cui all’art. 31 del T.U. Immigrazione, a fronte di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non necessita dell’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute. Ed infatti, è possibile far riferimento a qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, data l’età o le condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente ove è cresciuto. Deve, tuttavia, trattarsi di situazioni non di lunga od indeterminabile durata né caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio od a quello di un familiare. (Nella fattispecie il ricorso avverso la mancata autorizzazione alla permanenza in Italia avanzata dal ricorrente al fine di poter vivere con i propri figli minori e con la loro madre non è stato accolto, attesa l’omessa specificazione del grave disagio psichico dei minori, non essendo sufficiente al riguardo la mera indicazione della necessità di entrambe le figure genitoriali)
2.Cass. marzo 2013
Il quadro fondante la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, di cui all’art. 31 del T.U. Immigrazione è quello della prevedibile ricaduta traumatica del distacco, e quindi di un evento ben superiore a quello del normale disagio da distacco genitoriale, correlata alla vicenda di rimpatrio del genitore con il quale sussiste un legame essenziale. (Nella fattispecie, si è evidenziato come il diniego dell’autorizzazione in parola fosse il frutto di una valutazione sommaria effettuata prescindendo dalla relativa stabilità della presenza della minore in Italia, dalla attuale regolarità della presenza del genitore in Italia, dalla dichiarata e significativa intenzione dei genitori di addivenire al coniugio; elementi che potrebbero, ove liberamente valutati dal giudice del merito nel loro insieme, far affermare il ragionevole inserimento della minore e consentire la valutazione di sua grave esposizione a traumi in caso di allontanamento della madre. Conseguentemente, il decreto impugnato è stato cassato)
3.Cass. giugno 2013
La temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 del T.U. Immigrazione, in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psicofisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto, sempre che si tratti di situazioni che si concretino in eventi traumatici che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare
4.Cass. ottobre 2013
E’ legittima l’autorizzazione ex art. 31, T.U. Immigrazione, concessa al padre, qualora il trasferimento all’estero del minore, costretto a una difficile situazione psicologica dall’allontanamento della madre, determini l’impossibilità di recuperare il rapporto con la figura materna e condizioni di evidente difficoltà per lo sradicamento dall’Italia, paese in cui è nato e dove ha iniziato il suo percorso scolastico
5.Cass. dicembre 2013
Il (solo) pericolo di danno ai minori per trasferimento o rimpatrio dell’intero nucleo familiare non è escluso dalla sfera di tutela dell’art. 31, c. 3 del T.U. Immigrazione, ma è da riguardare con particolare rigore (onde evitare i rischi di un uso strumentale dell’istituto) al fine di accordare tutela nei soli casi di grave comprovato e definitivo danno allo sviluppo psicofisico che il rimpatrio indurrebbe sul minore nonostante la presenza accanto a lui dei genitori; si tratta, in definitiva, di un danno da mutamento di ambiente per nulla diverso da quello che registrano i minori nelle ipotesi in cui il mutamento sia frutto di una libera scelta di “emigrazione” dei genitori [con riferimento al caso deciso, osserva il S.C. che “le censure che il primo motivo del ricorso svolge al decreto della Corte di Milano attengono a profili valutativi (desunti dalla prodotta relazione psicopedagogica) che evidenziano la percezione di forte estraneità dei minori nei confronti dell’Albania, paese povero e estraneo, e concludono per una prognosi di forte rischio di pregiudizio evolutivo per i minori nel caso di loro rimpatrio. Appare di totale evidenza quindi che le deduzioni di omessa valutazione poste in ricorso non centrano la realtà del problema della applicabilità alla specie dell’art. 31, comma 3 ed anzi finiscono per auspicare letteralmente … che sia nell’interesse del nucleo familiare nel suo insieme (e di riflesso dei minori) la permanenza in Italia, interesse che pare appena il caso di notare che sia diametralmente estraneo alle finalità di tutela specifica, straordinaria e mirata di cui alla norma della quale si contesta il malgoverno. Ed anche la censura alla sintetica ma chiara affermazione del decreto per la quale lo sviluppo dei minori nel paese di origine non sarebbe affatto escluso si fonda sul richiamo alla relazione psicologica che non evidenzia in alcun modo una ipotesi di trauma irreversibile e certo ma – per vero in totale assenza della valutazione della presenza genitoriale anche in … – affaccia l’ipotesi di effetti pregiudizievoli della frustrazione della attuale aspettativa dei minori, quella di crescere nel già acquisito ambiente sociale. Si tratta dunque di critiche di mera natura valutativa che non intaccano la corretta applicazione delle norme effettuata nel decreto Si rigetta dunque il ricorso senza provvedere sulle spese stante la natura dell’intimato (P.M.) neanche costituito”]
D) RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE
1.Cass. febbraio 2013
In tema di ricongiungimento familiare del cittadino straniero, il divieto stabilito dall’art. 29, comma 1 ter, del T.U. Immigrazione con riguardo alle richieste proposte a favore del coniuge di un cittadino straniero, già regolarmente soggiornante con altro coniuge in Italia, opera oggettivamente, a prescindere dalle qualità soggettive del richiedente, mirando ad evitare l’insorgenza nel nostro ordinamento di una condizione di poligamia, contraria all’ordine pubblico anche costituzionale. (Nella specie, la richiesta era stata avanzata dal figlio a favore della propria madre, il cui coniuge, già soggiornante in Italia, aveva precedentemente proposto analoga istanza a favore di un’altra moglie; in applicazione dell’anzidetto principio la S.C. ha accolto il ricorso, escludendo la necessità di provare che il figlio avesse agito per conto del padre)
2.Cass. marzo 2013
Hanno una razionalità indiscutibile tanto il requisito della ultrannualità di regolare presenza, quanto il requisito della regolare convivenza successiva per l’ottenimento del permesso di soggiorno per coesione familiare
3.Cass. maggio 2013
La richiesta di permesso di soggiorno per motivi familiari, da parte dello straniero irregolarmente presente in Italia, coniugato con cittadina italiana, non è qualificabile come ricongiungimento familiare ai sensi dell’art. 29 T.U. Immigrazione, istituto, questo, che presuppone l’assenza dal territorio nazionale (da cui, appunto, l’esigenza del ricongiungimento) del soggetto al quale, all’esito di una complessa procedura (che prevede il previo rilascio di nulla osta della prefettura e del visto d’ingresso dell’autorità consolare italiana) attivata non da lui bensì da un suo familiare straniero regolarmente soggiornante in Italia, andrebbe alla fine rilasciato il permesso di soggiorno
4.Cass. maggio 2013
In materia d’immigrazione, la verifica della pericolosità sociale costituisce una condizione ostativa del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari richiesto dal familiare straniero di cittadino italiano o dell’Unione Europea; l’assenza di tale ostacolo deve, pertanto, essere valutata dall’autorità competente per il rilascio del titolo, ovvero per il mantenimento di quello preesistente, ma non per procedere automaticamente all’allontanamento in violazione dei criteri di attribuzione di tale specifica funzione previsti dalla norma
5.Cass. maggio 2013
Tra i criteri di riconoscimento iniziale e conservazione dei titoli di soggiorno previsti dal decreto legislativo 30/2007, non rientra, , nell’ipotesi del coniuge del cittadino italiano o UE, la convivenza effettiva
6.Cass. luglio 2013
La commissione di uno dei reati (nella specie, in materia di stupefacenti) previsti dall’art. 4, c. 3, del T.U. Immigrazione, da parte del cittadino straniero presente nello Stato, che richieda il permesso di soggiorno per coesione familiare, in quanto coniuge di cittadino straniero regolarmente soggiornante, integra una delle condizioni impeditive previste dalla norma, non potendo trovare applicazione la previsione più favorevole, contenuta nell’art. 2, c. 1, n. 5, del d. lgs. 5/2007, ai sensi della quale deve essere valutato in concreto se il richiedente rappresenti una minaccia per 1’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, atteso che tale disposizione si applica nei soli casi di ricongiungimento familiare richiesto dallo straniero munito di titolo valido a beneficio del coniuge residente, però, nel paese d’origine
7.Cass., Sez. Un., settembre 2013
Non può essere rifiutato il nulla osta all’ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell’interesse di minore cittadino extracomunitario affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafalah pronunciato dal giudice straniero, nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito
8.Cass. settembre 2013
In tema di disciplina dell’immigrazione, il procedimento di riconoscimento del diritto al ricongiungimento del familiare dello straniero, regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, ha natura complessa a formazione progressiva: ne consegue l’immediata applicabilità dello jus superveniens intervenuto nel corso della procedura, dopo il nulla osta dello Sportello Unico, ma prima della decisione dell’Autorità consolare sul visto d’ingresso, dovendo l’accertamento dei requisiti del diritto essere valutato alla stregua dei parametri normativi vigenti all’esito dell’iter procedimentale. (In applicazione di tale principio, la S.C., riformando la decisione del giudice di merito, ha respinto l’opposizione avverso il diniego del visto, fondato sull’ultima formulazione dell’art. 29, comma 1, lett. “c” del T.U. Immigrazione, che condiziona il diritto al ricongiungimento alla inesistenza di altri figli nel paese oppure, ma per i soli genitori ultrasessantacinquenni, alla inidoneità al loro sostentamento da parte di altri figli per documentate gravi ragioni di salute)
9.Cass. novembre 2013
Il premesso di soggiorno rilasciato a seguito di ricongiungimento familiare e il permesso per motivi familiari sono titoli del tutto diversi e non equivalenti, in particolare (ma non solo) quanto alle condizioni accesso
10.Cass. novembre 2013
Il provvedimento adottato dal Tribunale ai sensi dell’art. 30, comma 6, del T.U. Immigrazione, è reclamabile ex art. 739 c.p.c. e non già ricorribile per cassazione, ove adottato in procedimento non attratto dalle previsioni di cui al D.Lgs. 150/2011.
E) INESPELLIBILITA’
1.Cass. gennaio 2013
Ragioni di carattere generale (quali, nello specifico, persecuzioni anche per motivi non strettamente specifici – vale a dire collegati a specifiche situazioni personali – bensì anche per ragioni di carattere più generale, nella specie individuabili nella situazione di terrorismo indiscriminato in cui versa il Paese di origine), non configurano ipotesi di persecuzione, tali da giustificare l’inespellibilità, ex art. 19, c. 1, TU Immigrazione, essendo a quella situazione coessenziale l’individualizzazione della corrispondente minaccia
2.Cass. febbraio 2013
In caso di diniego di riconoscimento, da parte della Commissione competente, dello “status” di rifugiato, non impugnato dal richiedente, l’opposizione all’espulsione ex art. 19, c. 1, del T.U. Immigrazione deve fondarsi su ragioni umanitarie nuove o diverse da quelle che già oggetto del procedimento per il riconoscimento di protezione internazionale, dovendosi valutare la “novità” non solo in senso oggettivo ma anche – ove i fatti o i fattori di rischio siano state appresi medio tempore – in senso soggettivo, con la conseguenza che integrano il suddetto requisito non soltanto i fatti cronologicamente sopravvenuti alla decisione di rigetto non impugnata, ma anche quelli ignorati in sede di valutazione della Commissione territoriale perché non allegati dal richiedente e non accertati officiosamente dall’autorità decidente. Ne consegue, inoltre, che – in sede di opposizione all’espulsione, ai sensi della norma citata – il relativo accertamento è doveroso da parte del giudice di pace perché tenuto, al pari del giudice della protezione internazionale, all’obbligo di cooperazione istruttoria
3.Cass. settembre 2013
In tema di espulsione dello straniero, la causa di esclusione della espulsione prevista dall’art. 19, comma 2, lett. d), del T.U. Immigrazione, nella formulazione risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 376 del 2000, consistente nella sussistenza di un rapporto di coniugio e di convivenza dell’espellendo con una donna in stato di gravidanza, opera a condizione che tale rapporto trovi riconoscimento nell’ordinamento giuridico dello Stato di appartenenza dello straniero, ponendosi invero una diversa interpretazione, irragionevolmente estensiva della previsione, in contrasto con l’interesse nazionale al controllo dell’immigrazione. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato il decreto con il quale era stata accolta la impugnazione del decreto di espulsione di un extracomunitario coniugato con rito “rom”, e convivente, con una donna in stato di gravidanza, non potendosi attribuire rilevanza giuridica in questo o quell’ordinamento statuale al matrimonio “rom”, neppure come unione di fatto regolata).
F) ESPULSIONE
1.Cass. gennaio 2013
Il decreto di proroga per un mese del trattenimento presso il locale centro di identificazione ed espulsione di cittadino straniero può essere pronunciato all’esito dell’udienza con l’assistenza, in funzione di interprete, di un altro ospite del centro, poiché a tale provvedimento di natura giurisdizionale non si applica la previsione della necessaria traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero, ai sensi dell’art. 13, comma 7, del T.U. Immigrazione, riferita al provvedimento di espulsione amministrativa
2.Cass. febbraio 2013
Per effetto della Direttiva 2008/115, è illegittima l’’espulsione, disposta ai sensi dell’art. 14, c. 5 ter, del TU Immigrazione, che tragga la sua esclusiva ragione legittimante dall’inottemperanza ad un ordine di allontanamento impartito ai sensi dell’art. 14, c. 5 bis, dello stesso TU [aggiunge il S.C. che“risulta irrilevante che l’esecuzione dell’allontanamento non fosse ancora stata attuata, in quanto comunque dotata di efficacia coercitiva in assenza di un provvedimento di annullamento, mentre la riscontrata contraddittorietà motivazione desunta anche dalla riduzione del divieto di reingresso, peraltro correttamente applicata, deve ritenersi assorbita dall’accoglimento del motivo sotto il profilo della violazione di legge” ]
3.Cass. febbraio 2013
E’ inammissibile, perché proposto da organo statuale non legittimato, il ricorso per cassazione del Ministero dell’interno avverso la pronuncia giurisdizionale resa nel procedimento di opposizione al decreto di espulsione a carico dello straniero, adottato dal Prefetto, in quanto a quest’ultimo è conferita, in adesione al modello procedimentale di cui all’art. 23 della l. 689/1981, l’esclusiva legittimazione personale a contraddire l’opposizione dello straniero; legittimazione che si riferisce anche al giudizio di cassazione
4.Cass. febbraio 2013
Il riscontro sulle condizioni di pericolosità sociale, rilevanti ai fini dell’espulsione, ai sensi dell’art. 13, c. 2, lett. c), del TU Immigrazione, va compiuto sulla base degli stessi criteri applicati per le misure di prevenzione, ovvero tenendo presente: a) il carattere oggettivo degli elementi, che giustificano sospetti e presunzioni; b) l’attualità della pericolosità; c) la necessità di un esame globale della personalità del soggetto, attraverso una verifica ab estrinseco effettuata in base alla completezza, logicità e non contraddittorietà delle valutazioni operate dall’Amministrazione
5.Cass. febbraio 2013
In tema di immigrazione, non può ricavarsi, dal complessivo sistema normativo che regola la circolazione e la permanenza degli stranieri nel nostro territorio, un diritto inderogabile a non essere allontanati in pendenza di qualsiasi accertamento valutativo dell’esistenza di un titolo idoneo al soggiorno. Infatti, non attribuiscono tale diritto i procedimenti giurisdizionali, pendenti davanti al giudice ordinario o amministrativo, relativi al riesame di un diniego o revoca di una richiesta di permesso di soggiorno – salvo, sia pure entro certi limiti, le domande di protezione internazionali – nonché le istanze – quali quelle ex art. 31, comma 3, T.U. Immigrazione a causa della pendenza, sopravvenuta al provvedimento espulsivo, di un giudizio volto ad accertare l’esistenza delle condizioni per una misura temporanea di coesione familiare – necessariamente derivanti da una presenza irregolare, specie se successive al provvedimento espulsivo; possono invece giustificare la caducazione del provvedimento espulsivo le preesistenti richieste di permesso di soggiorno o di suo rinnovo, pendenti in via amministrativa al momento dell’adozione dell’espulsione
6.Cass. marzo 2013
E’ da ritenersi, ai fini di legge (art. 13, c. 7, TU Immigrazione), impossibile la traduzione del decreto espulsivo nella lingua conosciuta dall’espellendo e si può procedere all’uso della lingua veicolare, tutte le volte in cui sia dall’Amministrazione affermata e dal giudice ritenuta plausibile la indisponibilità di un testo predisposto nella stessa lingua o la inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta e venga quindi attestato che non sia reperibile nell’immediato un traduttore
7.Cass. marzo 2013
In tema di disciplina dell’immigrazione, il ricorso proposto avverso il provvedimento di espulsione amministrativa emesso nei confronti di cittadino straniero, in mancanza di allegazione al ricorso o deposito all’udienza dell’originale dell’atto impugnato (nella specie, erano state prodotte “fotocopie illegibili, scollegate tra loro perché prive di timbri di congiunzione”), non può essere dichiarato inammissibile, posto che l’art. 13, c. 8, del T.U. Immigrazione, non pone a carico della parte tale onere a pena d’inammissibilità, o può essere desunto da altre norme regolanti i procedimenti a natura impugnatoria avverso provvedimenti amministrativi autoritativi, né può trarsi da un’interpretazione sistematica delle norme procedimentali che regolano tale giudizio, dovendosi, al contrario, sottolineare che il procedimento, come indicato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.278 del 2008, è improntato alla massima semplicità delle forme e all’assenza di preclusioni processuali in prima udienza
8.Cass. marzo 2013
In tema di espulsione amministrativa dello straniero, in presenza della prospettazione, da parte dell’espulso ricorrente avverso il decreto del prefetto, della pendenza della procedura di emersione di lavoro irregolare, al giudice spetta solo accertare la data e la certezza dell’inoltro della dichiarazione prevista dal d.l. 78/2009, convertito dalla l. 102/2009, e non anche di compiere una prognosi sull’esito della domanda di sanatoria; infatti in pendenza della procedura di emersione manca temporaneamente all’autorità amministrativa il potere di adottare il decreto di espulsione
9.Cass. marzo 2013
Il cittadino straniero espulso con provvedimento negativo del tribunale seguito alla domanda di protezione internazionale, deve essere rimpatriato con modalità che, in mancanza di specifico riscontro normativo, atteso che l’art. 32, comma 4, del d. lgs. 25/2008, regola esclusivamente l’ipotesi del rigetto da parte della Commissione territoriale e il successivo art. 34 si limita a precisare che l’eventuale impugnazione della pronuncia di primo grado non ha effetto sospensivo “ope legis”, devono essere mutuate dalla diretta applicazione della direttiva n. 2008/115/CE, incentrata sulla previsione in linea generale del sistema del rimpatrio fondato sull’intimazione con termine per lasciare il territorio italiano e solo in via eccezionale, ove ne ricorrano le condizioni (il pericolo di fuga), l’accompagnamento coattivo
10.Cass. marzo 2013
E’ da ritenersi, ai fini di legge, “impossibile” la traduzione del decreto espulsivo nella lingua conosciuta dall’espellendo, e si può procedere all’uso della lingua “veicolare”, le volte in cui sia dall’Amministrazione affermata e dal giudice ritenuta plausibile la indisponibilità di un testo predisposto nella stessa lingua o la inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta e venga quindi attestato che non sia reperibile nell’immediato un traduttore
11.Cass. maggio 2013
E’ plausibile la censura afferente il rifiuto del Giudice di Pace di esaminare il permesso di soggiorno prodotto in fotocopia, essendo onere del giudice stesso richiedere la esibizione dell’originale e di una sua traduzione autenticata, in ipotesi di dubbio sulla sua portata, ma certamente non potendosi disattendere senza aver adempiuto a tal onere la allegazione della disponibilità di un titolo di soggiorno rilasciato da altro paese dell’U.E..
12.Cass. maggio 2013
In tema di espulsione dello straniero, la tempestività dell’avviso dell’udienza di convalida, di cui all’art. 14, comma 4, del T.U. Immigrazione, va considerata in relazione alla finalità di consentire la partecipazione del difensore all’udienza stessa, che, ove vi sia stata, preclude una valutazione di intempestività, dovendosi escludere – quanto alla concessione di un termine a difesa – l’applicabilità dell’art. 184 c.p.p., attesa la natura di giudizio civile del procedimento di convalida. (Nella specie, la questura aveva informato il giudice di pace del decreto di accompagnamento alle ore 11.55, mentre l’udienza di convalida si era tenuta – presente il difensore di fiducia – alle ore 12.40)
13.Cass. maggio 2013
In tema di espulsione dello straniero, al giudizio di convalida e di proroga del trattenimento in CIE, ai sensi dell’art. 14, comma 4, del T.U. Immigrazione, che è giudizio di natura civile, non si applica la disciplina del giudizio penale. Ne consegue che la mancata partecipazione del cancelliere all’udienza, pertanto, non comporta nullità
14.Cass. maggio 2013
La delegabilità delle attribuzioni costituisce la regola nell’organizzazione della pubblica amministrazione, e non è derogata in materia di espulsioni
15.Cass. maggio 2013
Il trattenimento dello straniero, che non possa essere allontanato coattivamente contestualmente all’espulsione, costituisce una misura di privazione della libertà personale, legittimamente realizzabile soltanto in presenza delle condizioni giustificative previste dalla legge e secondo una modulazione dei tempi rigidamente predeterminata, l’autorità amministrativa è, pertanto, priva di qualsiasi potere discrezionale in virtù del rango costituzionale e della natura inviolabile del diritto inciso, la cui conformazione e concreta limitazione è garantita dalla riserva assoluta di legge prevista dall’art.13 della Costituzione, così come anche il controllo giurisdizionale deve estrinsecarsi nei medesimi limiti, non potendosi estendere, in mancanza di una espressa previsione di legge, nell’autorizzazione di proroghe non rigidamente ancorate a limiti temporali legislativamente imposti; ne consegue che il limite normativo per ciascuna frazione temporale non può essere oltrepassato neanche quando ciò rientri nel limite finale complessivo, risolvendosi l’eventuale violazione nella nullità integrale del provvedimento adottato
16.Cass. maggio 2013
In tema di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, la cognizione di merito del giudice di pace ha ad oggetto l’accertamento, in concreto, delle condizioni necessariamente predeterminate dalla legge – nella specie l’accertamento della pericolosità sociale dell’espellendo – sulla base delle quali è stata disposta la misura, non determinando il carattere vincolato e non discrezionale dell’esercizio della potestà amministrativa alcuna limitazione a tale cognizione. Ne consegue che lo straniero può essere espulso – in relazione alla previsione di cui all’art. 13, comma 2, lett. c), del T.U. Immigrazione – soltanto se appartiene a taluna delle categorie indicate nell’art. 1 della l. 1423/1956, come sostituito dall’art. 2 della l. 327/1988, ovvero nell’art. 1 della l. 575/19755, come sostituito dall’art. 13 della l. 646/1982
17.Cass. maggio 2013
Per il decreto di accompagnamento alla frontiera, atto esecutivo di per sè urgente (e le esigenze di celerità sono espressamente fatte salve dalla dall’art. 7 della l. 241/1990) del decreto di espulsione, non è prevista dalla legge la comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi della legge sul procedimento amministrativo
18.Cass. maggio 2013
La riapertura in riesame del procedimento di emersione dal lavoro irregolare produce la riattivazione del divieto di espulsione medio tempore
19.Cass. maggio 2013
In tema di disciplina dell’immigrazione, il giudizio avente ad oggetto un atto di diniego di revoca dell’espulsione, così come quello di espulsione, ha per oggetto il rapporto e non l’atto in sé, venendo in considerazione la pretesa espulsiva dello Stato piuttosto che la regolarità formale del provvedimento che la realizza. Ne consegue che i vizi formali (nella specie, difetto di delega del funzionario che ha sottoscritto l’atto, difetto di attestazione di conformità della copia consegnata in sede di notifica, difetto della necessaria traduzione) sono rilevanti se riferiti al decreto di espulsione incidendo in senso negativo sul diritto sostanziale dell’interessato, mentre sono irrilevanti se ineriscono l’atto di diniego di revoca dell’espulsione, in quanto il mero annullamento giudiziale non modificherebbe in nulla la situazione giuridica sostanziale dell’interessato
20.Cass. maggio 2013
In materia d’immigrazione, è invalida l’espulsione adottata nei confronti dell’extracomunitario nel caso in cui l’archiviazione della procedura di emersione del lavoro irregolare di cui al d.l. 1 luglio 2009, n. 178, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009, n. 102, non gli sia stata comunicata, non essendo equipollente alla conclusione negativa della procedura di legalizzazione, questa, infatti, non può realizzarsi per facta concludentia ma necessariamente tramite un atto scritto formalmente comunicato al richiedente
21.Cass. giugno 2013
L’errore nella indicazione delle generalità del destinatario del provvedimento di espulsione, ove non sia contestata l’identità del destinatario stesso bensì solo la corretta trascrizione del suo nome, non comporta la nullità del provvedimento, ma la semplice rettificabilità dell’errore materiale
22.Cass. giugno 2013
Ai sensi dell’art. 1-ter, c. 10, della l. 102/2009, lo straniero non può essere espulso (di regola) sino alla definizione del procedimento amministrativo di regolarizzazione, non già sino alla comunicazione del provvedimento che definisce il medesimo procedimento
23.Cass. settembre 2013
È valido il decreto di espulsione ex art. 13, c. 2, del T.U. Immigrazione che abbia omesso il nomen iuris della specifica ipotesi di espulsione, purché essa possa ricavarsi dalla descrizione del fatto contenuta nel decreto. (Nella specie, il decreto rilevava la presenza irregolare sul territorio dello straniero in quanto privo di valido documento identificativo)
24.Cass. ottobre 2013
Tra gli specifici accordi, menzionati dall’art. 5, c. 1, del T.U. Immigrazione, ai fini del soggiorno di uno straniero titolare di permesso di soggiorno o titolo equipollente rilasciato dalla competente autorità di altro Stato dell’Unione, figura, in primis, l’art. 21 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 388/1993, il quale prevede che gli stranieri in possesso di detto titolo possono “circolare liberamente per un periodo non superiore a tre mesi nel territorio delle altre Parti contraenti” (sempreché soddisfino le condizioni d’ingresso di cui all’art. 15, par. 1 lett. a), c) ed e) della medesima Convenzione e non figurino nell’elenco nazionale delle persone segnalate della Parte contraente interessata)”
25.Cass. ottobre 2013
In tema di immigrazione, il provvedimento di espulsione dello straniero adottato, quale misura di sicurezza, dal giudice penale non è – salvo che non ne sia stata disposta l’applicazione provvisoria – immediatamente operativo, presupponendo il successivo intervento del magistrato di sorveglianza e, in caso di impugnazione delle determinazioni di quest’ultimo, del tribunale di sorveglianza. Ne consegue che l’ordine di espulsione disposto con sentenza non produce, di per sé, la condizione soggettiva di straniero espulso, né comporta il rifiuto del rinnovo o la revoca del permesso di soggiorno. (In applicazione dell’anzidetto principio, la S.C., con riguardo a vicenda soggetta alla previsione di cui all’art. 22 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 268, nel testo antecedente al d.lgs. 30 luglio 2002, n. 189, ha corretto la motivazione della decisione di merito che, senza considerare che era già intervenuto un autonomo diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, aveva ritenuto l’ordine di espulsione contenuto nella sentenza penale la ragione dell’insorgere del divieto di occupazione del lavoratore e, dunque, di cessazione del rapporto per impossibilità sopravvenuta della prestazione)
26.Cass. ottobre 2013
Fatto salvo l’assorbente accertamento da parte del giudice della conoscenza adeguata dell’italiano da parte dell’espellendo, è da ritenersi ai fini di legge “impossibile” la traduzione del decreto espulsivo nella lingua conosciuta dall’espellendo, e si può procedere all’uso della lingua “veicolare”, le volte in cui sia dall’Amministrazione affermata e dal giudice ritenuta plausibile la indisponibilità di un testo predisposto nella stessa lingua o la inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta e venga quindi attestato che non sia reperibile nell’immediato un traduttore [nella specie, osserva il S.C., il giudice del merito ha affermato, infondatamente, che fosse sufficiente la attestazione di irreperibilità di un traduttore in lingua albanese e che comunque l’atto aveva raggiunto, con il ricorso ad opponendum, il suo scopo
27.Cass. dicembre 2013
In materia di immigrazione, al giudice della convalida del temporaneo restringimento dello straniero compete solo un controllo, da effettuare “ex actis”, dell’esistenza ed efficacia del decreto espulsivo (oltre ad una verifica sulle condizioni di legalità delle misure di trattenimento), mentre va esclusa la sussistenza di un obbligo di indagine officiosa estesa alla validità dell’espulsione, dovendosi ritenere tale soluzione coerente ai precetti della effettività della tutela proveniente dalla Corte Europea e dalle direttive dell’Unione, poiché il sistema nazionale assegna all’espellendo una doppia e completa tutela, quella a cognizione piena ed a domanda propria del ricorso avverso la espulsione, e quella officiosa (ma immediata) sulle condizioni di legalità della misura restrittiva incidente sulla libertà personale. Ne consegue che la deduzione, in sede di convalida del provvedimento prefettizio di trattenimento, della pendenza di una pratica per la concessione di permesso umanitario è ininfluente ai fini della negazione della convalida, ove sia ancora efficace il decreto di espulsione
G) MISCELLANEA
1.Cass. febbraio 2013
L’art. 1, n. 2, del d.l. 89/2011, convertito dalla l. 129/2011, che ha completato il recepimento della direttiva 2004/38/CE, attuata con d.lgs. 30/2007, ha soppresso l’espressione “nonché del visto di ingresso quando richiesto”, contenuta all’art. 9, comma 5, lett. A ed all’art. 10, comma 3, lett. A. Ne consegue che il cittadino appartenente a Paese in regime di esonero dal visto di ingresso, ex art. 1 Reg. 539/2001/CE, può sia accedere, senza altro documento che il passaporto, sul territorio nazionale ed ivi trattenersi per tre mesi, sia, nella sussistenza del requisito di merito della vivenza a carico, chiedere il rilascio della carta di soggiorno ex art.10, comma 1, del d.lgs. 30/2007, non potendosi affermare che esista nei suoi confronti una ipotesi di richiesta “speciale” del visto di ingresso, posto che la necessità di munirsi di un visto, correlata alla durata quinquennale della carta di soggiorno che si richiede, prevarrebbe sulla normativa eccezionale di esonero da alcun visto, giustificata dal breve soggiorno di tre mesi per esigenze transitorie
2.Cass. aprile 2013
In tema di protezione sussidiaria, la valutazione di affidabilità del dichiarante alla luce dell’art.3, comma 5, del d.lgs. 251/2007, è vincolata ai criteri indicati dalla lettera a) e d) e deve essere compiuta in modo unitario (lettera e), tenendo conto dei riscontri oggettivi e del rispetto delle condizioni soggettive di credibilità contenute nella norma, non potendo lo scrutinio finale essere fondato sull’esclusiva rilevanza di un elemento isolato, specie se si tratta di una mera discordanza cronologica sulla indicazione temporale di un fatto e non sul suo mancato accadimento
3.Cass. maggio 2013
Il cittadino straniero, anche se titolare del solo permesso di soggiorno, ha diritto di vedersi attribuire l’indennità di accompagnamento, la pensione d’inabilità e l’assegno di invalidità, ove ne ricorrano le condizioni previste dalla legge, essendo stata eliminata l’ulteriore condizione rappresentata dalla necessità della carta di soggiorno. Ed infatti, se il legislatore ha la possibilità di subordinare l’erogazione di prestazioni assistenziali alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nello Stato ne dimostri il carattere non episodico e non di breve durata, quando tali requisiti non siano in discussione, devono considerarsi illegittime, in quanto ingiustificatamente discriminatorie, le norme che impongono nei soli confronti dei cittadini extraeuropei particolari limitazioni al godimento di diritti fondamentali della persona riconosciuti ai cittadini italiani
4.Cass. maggio 2013
In tema di protezione internazionale dello straniero, l’esame sulla sussistenza delle condizioni soggettive ed oggettive per ottenere una misura tipica od atipica di protezione internazionale deve essere fondato sull’accertamento della situazione attuale ed aggiornata, riferito al momento della decisione, consentendo l’art. 4 del d.lgs.19 novembre 2007, n. 251 che la domanda di protezione internazionale possa essere motivata anche da avvenimenti verificatesi dopo la partenza del richiedente, quando sia accertato che le attività addotte costituiscano l’espressione e la continuazione di convinzioni ed orientamenti già manifestati nel paese d’origine. Ne consegue che l’esame di cui all’art. 3 del d.lgs. 251/2007 deve essere condotto alla luce della situazione attuale e che le informazioni da richiedersi al Ministero degli Esteri ex art. 8, comma 2, del d.lgs. 25/2008, devono essere aggiornate
5.Cass. maggio 2013
L’assegno sociale sostitutivo della pensione sociale rientra tra le prestazioni che l’art. 41 del T.U. Immigrazione estende agli stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale. All’uopo, si evidenzia come la carta di soggiorno può essere concessa o allo straniero stabilmente e regolarmente soggiornante in Italia od al familiare del medesimo che sia entrato in Italia per ricongiungersi al lui. Di talché, i titolari della carta di soggiorno, in via diretta o per ricongiungimento familiare, rientrano tra gli stranieri che possono accedere alle prestazioni di assistenza sociale ai sensi dell’art. 41 del citato T.U. Immigrazione, che fa riferimento esclusivo agli “stranieri titolari di carta di soggiorno”, prescindendo dal motivo legittimante la concessione. Altresì, in relazione al requisito reddituale necessario per beneficiare dell’assegno sociale, occorre guardare solo al reddito della persona che richiede la prestazione, stante quanto previsto dalla l. 335/1995, considerato eventualmente il reddito del coniuge ed altri redditi specificamente indicati dalla predetta normativa
6.Cass., Sez. Un., giugno 2013
Costituiscono cure essenziali, garantite dall’art. 35, c.3, del T.U. Immigrazione anche le semplici somministrazioni di farmaci quando si tratti di terapie necessarie a eliminare rischi per la vita o il verificarsi di maggiori danni alla salute, in relazione all’indisponibilità dei farmaci nel Paese verso il quale lo straniero dovrebbe essere espulso
7.Cass. settembre 2013
In tema di protezione internazionale, l’espulsione coatta dello straniero costituisce violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura, ogni qualvolta egli, a causa del pericolo di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti che lo minaccino, non possa restare nello stesso e debba, pertanto, indirizzarsi verso altro Paese che lo possa ospitare. Ne consegue che sono irrilevanti sia la gravità del reato al quale lo straniero sia stato condannato (nella specie, associazione con finalità terroristica ex art. 270 bis cod. pen.), sia la circostanza che egli non voglia rivelare il luogo della sua dimora in pendenza del procedimento, non potendo il riconoscimento della protezione internazionale fondarsi sul rispetto di un presunto vincolo fiduciario con lo Stato, né esistendo alcun obbligo di collaborazione o reciprocità a carico del richiedente asilo
8.Cass. ottobre 2013
Il diritto di asilo è ora interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d. lgs. 251/2007, adottato in attuazione della direttiva 2004/83/Ce del Consiglio 29 aprile 2004, e di cui all’art. 5, c. 6, del T.U. Immigrazione; ne consegue che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10, c. 3, Cost., in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione
9.Cass. novembre 2013
Costringere una donna a un matrimonio forzato costituisce grave violazione della sua dignità, e dunque trattamento degradante ai sensi dell’art. 14, lett. b), del d. lgs. 251/2007, che configura a sua volta danno grave ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria. La minaccia di grave danno giustificante tale protezione, inoltre, non è necessario che provenga dallo Stato, ben potendo provenire anche – tra gli altri – da soggetti non statuali se le autorità statali o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio “non possono o non vogliono fornire protezione” adeguata ai sensi dell’art. 6, c. 2, del citato d. lgs.
10.Cass. novembre 2013
Il cittadino straniero, anche se titolare del solo permesso di soggiorno, ha il diritto di vedersi attribuire l’indennità di accompagnamento, la pensione d’inabilità e l’assegno d’invalidità, ove ne ricorrano le condizioni previste dalla legge, essendo stata espunta, per effetto delle pronunce della Corte costituzionale n. 306 del 2008, n. 11 del 2009 e n. 187 del 2010, l’ulteriore condizione costituita dalla necessità della carta di soggiorno, in quanto, se è consentito al legislatore nazionale subordinare l’erogazione di prestazione assistenziali alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero a soggiorno nello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non brevi durata, quando tali requisiti non siano in discussione, sono costituzionalmente illegittime, perché ingiustificatamente discriminatorie, le norme che impongono nei soli confronti dei cittadini extra europei particolari limitazioni al godimento di diritti fondamentali della persona, riconosciuti ai cittadini italiani.
11.Cass. novembre 2013
Il nuovo sistema di protezione internazionale dello straniero, instaurato dalle Direttive CE 2004/83 e 2005/85, cosi come recepite nei d. lgs. 251/2007 e 25/2008, ha introdotto una nuova misura tipica, la protezione sussidiaria, che può essere riconosciuta anche quando sussista il rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o trattamenti inumani e degradanti. (art. 3 CEDU). Ne consegue che il positivo riscontro di tali condizioni non costituisce più una condizione idonea soltanto al rilascio del permesso di natura umanitaria, già previsto negli artt. 5, c. 6 e 19, c. 1, del T.U. Immigrazione, ma da diritto ad un titolo di soggiorno stabile, triennale ed alla fruizione di un ampio quadro di diritti e facoltà (accesso al lavoro, allo studio, alle prestazioni sanitarie). Tuttavia, tale coincidenza di requisiti, pur essendo riconosciuta espressamente dalla previsione della convertibilità, al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa, dei permessi umanitari preesistenti in protezione sussidiaria, ai sensi dell’ art. 34 del d. lgs. 251/2007, non esclude, nell’attuale sistema delle misure di protezione internazionale, la tutela residuale costituita dal rilascio di permessi sostenuti da ragioni umanitarie o diverse da quelle proprie della protezione sussidiaria o correlate a condizioni temporali limitate e circoscritte, come previsto dall’art. 32, c. 3, del d. lgs. 25/2008, ai sensi del quale le Commissioni territoriali, quando ritengano sussistenti gravi motivi umanitari (evidentemente inidonei ad integrare le condizioni necessarie per la protezione sussidiaria) devono trasmettere gli atti al Questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno
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