Imminenza e attualità del pregiudizio nel periculum in mora (estratto del volume di Fabio Fiorucci, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., Giuffrè, 2009)

segnalazione 29/10/09
4.1.1. Il periculum in mora: l’imminenza del pericolo.
La migliore dottrina ritiene che il requisito dell’imminenza del pregiudizio implica che « l’evento dannoso paventato da chi domanda il provvedimento d’urgenza debba non essere di remota possibilità, ma incombere con vicina probabilità, che l’iter, il quale conduce a detto evento, appaia già, se non proprio iniziato, almeno direttamente ed univocamente preparato » (Montesano 1955, 79). Non è dunque sufficiente, ai fini dell’emissione del provvedimento d’urgenza, la sola remota possibilità di un pregiudizio al diritto cautelando; in tal senso è schierata anche la giurisprudenza prevalente, secondo cui la nozione di imminenza coincide con l’incombente minaccia del pregiudizio che, ove ravvisata dal giudice della cautela legittima il rilascio del provvedimento richiesto. Come efficacemente sintetizzato,
« il riferimento all’imminenza del pregiudizio significa che il timore di danno non dev’essere legato a eventi ancora lontani nel tempo ma, com’è stato detto, “incombere con vicina probabilità”: sotto questo profilo, l’imminenza è requisito della tutela urgente che pare correlato con il carattere preventivo della medesima. Tuttavia l’aggettivo “imminente” non è attributo soltanto di eventi comunque futuri, ma vale anche come sinonimo di ‘pressante’ o di ‘impellente’: è imminente quindi anche un pregiudizio attuale a cui sia urgente porre rimedio, come d’altronde è pacificamente ammesso »
(Tommaseo 1988, 870).
Nell’avviare la disamina di questo fondamentale attributo della tutela d’urgenza è importante premettere, a ulteriore riprova della decisiva centralità del ruolo del giudice dell’urgenza nell’emanazione delle misure in esame, che nell’apprezzamento del requisito dell’imminenza — nozione di carattere relativo, che non consente teorizzazioni né categorizzazioni di sorta (così Andrioli 1964, 250) — il giudice gode di una significativa potestà discrezionale.
Il requisito dell’imminenza incide direttamente sull’individuazione del momento dell’intervento del giudice, che può essere precedente (fase in cui l’art. 700 c.p.c. meglio esplica la sua funzione preventiva o inibitoria) o contestuale all’evento dannoso ovvero, in date circostanze, anche successivo al verificarsi del pregiudizio (Arieta 1997, 441), condizionando di conseguenza il contenuto del provvedimento d’urgenza, che potrà assolvere anche una funzione essenzialmente preventiva — ossia diretta ad impedire la violazione o la sua continuazione o la sua ripetizione — oltre che repressiva, cioè finalizzata alla eliminazione degli effetti dannosi della violazione già effettuata (cfr. Proto Pisani 1991, 17); si vedano in proposito i rilievi di un illustre Autore:
« a) quando il pregiudizio non si sia, nemmeno in parte, verificato, il criterio dell’imminenza deve essere apprezzato non soltanto in termini meramente cronologici, ma con riferimento a fatti e/o circostanze che siano in grado di far ritenere esistenti i presupposti dell’iter di formazione e di produzione del pregiudizio. Non è possibile, al riguardo, formulare criteri di carattere generale, in quanto occorre tener conto, da un lato, del tipo di situazione giuridica minacciata e, dall’altra, delle caratteristiche, istantanee o meno, di produzione dell’evento pregiudizievole [cfr. Pret. Milano 10.8.1996, OGL, 1996, 760 N.d.A.];
b) quando l’iter diretto alla produzione dell’evento pregiudizievole sia già iniziato, la nozione di imminenza acquista il suo significato più pregnante, in quanto è in atto il processo di realizzazione del fatto dannoso e l’intervento del giudice della cautela può essere in grado di paralizzare quell’iter ed impedire, in tutto o in parte, il danno irreparabile al diritto;
c) quando l’evento pregiudizievole si sia già realizzato, non facili problemi sorgono ai fini della sussistenza del requisito in esame con riferimento ‘all’attualità’ del pregiudizio ed alla conseguente capacità o meno della tutela cautelare di svolgere la propria funzione assicurativa »
(Arieta 1997, 441).
In tale ultima ipotesi, pregiudizio già realizzatosi, l’adozione della misura cautelare urgente appare giustificata quando vi sia il concreto rischio di reiterazione dell’evento pregiudizievole (Pret. Monza 15.6.1976, GC, 1977, I, 542; Pret. Roma 18.4.1984, FI, 1984, I, 2030) ovvero per attenuarne gli effetti dannosi nelle ipotesi in cui sia difficile o impossibile il successivo risarcimento o, ancora, per scongiurare ulteriori esiti dannosi del pregiudizio già prodottosi (Pret. Roma 6.9.1989, FI, 1990, I, 2367), circostanze tutte alle quali il giudice deve concretamente commisurare la valutazione dell’imminenza e attualità del pregiudizio.
Viceversa, quando la condotta lesiva si è completamente realizzata e non è più suscettibile di esplicare ulteriori effetti dannosi, deve ritenersi esclusa l’imminenza del pregiudizio (Pret. Roma 16.1.1974, GC, 1974, I, 1459; Pret. Monza 15.6.1976, GC, 1977, I, 542), verosimilmente insussistente anche allorché la situazione di pericolo denunciata si sia esaurita (senza rischi di reiterazione) prima della pronuncia del provvedimento ex art. 700 c.p.c.; in argomento si veda anche Trib. Torino 12.4.2002, GI, 2002, 2302, che ha stabilito che qualora nel corso del procedimento cautelare si verifichi l’evento pregiudizievole per il cui impedimento è stata richiesta la tutela d’urgenza, il procedimento ex art. 700 c.p.c. deve concludersi con una pronuncia di rigetto della domanda cautelare per sopravvenuta carenza di interesse ad agire, essendosi il periculum in mora ormai tradotto in danno effettivo (in arg. v. anche Pret. Cosenza 12.12.1990, RFI, 1991, Provvedimenti d’urgenza, n. 36).
Il ricorso all’art. 700 c.p.c. è pertanto proficuamente esperibile sia per evitare il prodursi di un evento lesivo, sia per inibire le conseguenze pregiudizievoli della condotta illecita già verificatasi.
È stato correttamente evidenziato che gli estremi della minaccia di un pregiudizio imminente richiesti per l’esercizio del ricorso ex art. 700 c.p.c. non vanno riferiti
« solo al pericolo per i ricorrenti di dover subire un danno in tempi brevi, ma anche al pericolo di perdere, nelle more del giudizio di merito, la possibilità e le garanzie del risarcimento nonché di essere impediti all’esercizio ed al godimento del diritto qualora tale impedimento possa in concreto cagionare conseguenze irreparabili.
Il diritto del ricorrente deve essere tutelato allorché il verificarsi dell’evento sia nel caso concreto imminente e ciò non solo a causa della minaccia della violazione, ma anche a causa dell’inizio di essa non ancora concretantesi in evento dannoso, o, addirittura, a causa, nonostante l’attualità del danno, del timore di una reiterazione dell’evento pregiudizievole che possa recare ulteriori effetti dannosi che diano luogo non solo ad irreparabilità del danno, ma ad inoperatività della successiva decisione di merito.
Quando una attività preliminare o preparatoria sia specifica ed inequivocabilmente diretta a violare il diritto, essa fornisce legittimo fondamento alla reazione del titolare di quel diritto rendendone giustificato il timore dell’imminente pregiudizio »
(Paoloni 1987, 1208).
Occorre puntualizzare che esula dal concetto di imminenza qualunque correlazione con la fisiologica durata del processo di merito (Tommaseo 1988, 870; cfr. anche, per approfondimenti, Tommaseo 1983, 129); in altri termini, l’imminenza non può derivare dalla necessità di attendere, per vedere riconosciuto il diritto azionato, l’esito di un normale giudizio ordinario di cognizione (il che significa, da un’altra prospettiva, che la mera, fisiologica durata del processo non può assurgere a fonte autonoma di danno); imminente è solo quel pregiudizio incombente che, per la natura del diritto cautelando, può trasformarsi in un danno irreparabile e/o difficilmente risarcibile nelle more della definizione del giudizio di merito; è insomma la perdurante situazione di antigiuridicità nel tempo che occorre neutralizzare, configurandosi il decorso del tempo come un evento che pregiudica il soddisfacimento del diritto: vi è un pericolo del ritardo e non un pericolo nel ritardo (così Liebman). La durata — beninteso fisiologica non patologica — del processo
« è una caratteristica indefettibile del fenomeno processuale e, come giustamente è stato notato, appare di per sé inidonea a produrre un pregiudizio »
(Tommaseo 1983, 130).
Diversamente opinando, il requisito del periculum in mora sarebbe svuotato di significato, risultando immanente alla fisiologica durata del processo, senza bisogno di ulteriori attestazioni, con palese svilimento dei requisiti — imminenza e attualità del pregiudizio — che l’ordinamento pone a fondamento, ex art. 700 c.p.c., di una domanda cautelare urgente (cfr. Tommaseo 1983, 138).
« La durata del processo nel tempo assume rilievo nella tutela cautelare urgente, solo in quanto sia causa di un pregiudizio imminente e irreparabile. Ciò significa, da un lato che anche i tempi fisiologici del processo possono, con riferimento a certi diritti, determinare un pregiudizio tale da giustificare la concessione di un provvedimento cautelare atipico (…), ma, d’altro canto, il medesimo assunto comporta che la durata, anche patologica, del processo, non è, di per sé, condizione sufficiente per la pronuncia di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. In definitiva (…) bisogna rinunciare a parlare delle misure cautelari come rimedio alla durata del processo, per focalizzare l’attenzione unicamente sul pregiudizio che, eventualmente, ne deriva »
(Vullo 2005, 1322, nt. 239).
 
È altresì necessario ribadire che anche l’accertamento del periculum in mora (al pari del fumus boni iuris) deve costituire oggetto di una verifica per quanto possibile puntuale e rigorosa, condotta caso per caso, finalizzata a riscontrare l’esistenza di una concreta e incombente situazione di pericolo che è necessario neutralizzare con una misura cautelare urgente. Più in generale, occorre ribadire che le valutazioni che il giudice compie sul diritto cautelando e sul periculum in mora sono svolte in termini essenzialmente probabilistici e prognostici e sono funzionalmente rivolte a giustificare l’emanazione del provvedimento richiesto, esaurendo pertanto la loro funzione nell’ambito del procedimento d’urgenza. In definitiva il giudice
« si limita a compiere una valutazione di mera verosimiglianza sui fatti rilevanti della controversia, valutazione che è fondata non già sul materiale probatorio finora acquisito al processo, bensì soltanto su un calcolo di mera probabilità.
Si tratta quindi di utilizzare una regola di giudizio che diverge profondamente da quella seguita nella decisione della causa, dove la valutazione della verosimiglianza delle allegazioni deve cedere il posto alla ricerca della verità dei fatti al fine di consentire l’accertamento della situazione soggettiva controversa »
(Tommaseo 1983, 162).
4.1.2. Segue: Attualità del pregiudizio.
L’elaborazione giurisprudenziale ha messo in luce lo stretto rapporto esistente tra l’imminenza del pregiudizio e la sua necessaria attualità (in arg. v. Trib. Roma 9.12.2002, FI, 2003, I, 919):
« il procedimento cautelare è ontologicamente condizionato dall’attualità della situazione dedotta, in quanto finalizzato all’adozione di un provvedimento di natura provvisoria, necessario perché nelle more del giudizio non venga pregiudicato il diritto fatto valere; conseguentemente, il giudice non può adottare alcuna decisione allorché siano venute meno le condizioni di urgenza fatte valere e si profili una situazione nuova, nella quale la tutela invocata non sia più possibile »
(Trib. Roma 8.10.2002, ND, 2002, I, 952).
È altresì pacificamente ritenuto che il periculum in mora deve essere presente non solo al momento della proposizione del ricorso, ma anche in corso di causa (Trib. Ivrea 12.10.2005, www.giurisprudenza.piemonte.it). Il requisito dell’imminenza-attualità del pregiudizio è reputato insussistente in caso di tardiva proposizione della domanda cautelare, ossia quando il ricorrente invochi la tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c. dopo che sia trascorso (dall’evento lesivo) un periodo di tempo pari a quello che sarebbe stato occorrente per tutelare il diritto controverso per mezzo di un ordinario giudizio di merito (Trib. Roma 8.3.2002, LG, 2002, 979; Pret. Milano 25.11.1996, OGL, 1996, 1061; Trib. Livorno 3.8.1994, RDI, 1996, II, 341; Pret. Roma 7.4.1990, RDL, 1990, II, 497):
« non può ritenersi sussistente il requisito del periculum in mora richiesto per la proposizione del procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., quando per l’inattività del ricorrente sia decorso un periodo di tempo pari alla normale durata dell’azione esperita in via ordinaria, senza che venga allegata la sopravvenienza di fatti nuovi che abbiano determinato un diverso pregiudizio imminente e irreparabile, nel senso di pregiudizio che minaccia di determinare una lesione irreversibile alla realizzazione del diritto azionato »
(Pret. Milano 25.11.1996, OGL, 1996, 1061);
ed ancora:
« chi si ritiene titolare di un diritto e ne vuole chiedere la tutela, ove faccia passare per sua inerzia un periodo di tempo superiore a quello presumibilmente necessario per ottenere la decisione nel giudizio ordinario, non può invocare l’applicazione dell’art. 700 c.p.c., assumendo l’esistenza di una urgenza che lui stesso ha ritenuto inesistente non rivolgendosi al giudice tempestivamente »
(Pret. Taranto 15.7.1986, GM, 1987, I, 1209).
In effetti, se il ricorrente ha atteso, per azionare la tutela urgente, un tempo paragonabile a quello che sarebbe stato necessario per tutelare il diritto cautelando in via ordinaria, è assai verosimile ritenere che non sussista l’improcrastinabile necessità di ottenere un provvedimento urgente che assicuri provvisoriamente gli effetti della futura decisione di merito. Coerentemente, il rilascio di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. è stato altresì rifiutato qualora il diritto di cui si teme il pregiudizio sia tutelabile in via ordinaria attraverso un processo la cui rapidità di svolgimento è affine a quella del procedimento cautelare (Trib. Trani 14.8.2002, GI, 2003, 1837).
Ricapitolando, il requisito dell’imminenza e attualità del pregiudizio è dunque escluso da un consolidato filone giurisprudenziale quando tra l’evento dannoso (e quindi la lesione del diritto) e la domanda cautelare ex art. 700 c.p.c. sia intercorso un apprezzabile periodo di tempo, sul condivisibile presupposto che il tempo trascorso tra il verificarsi dell’evento e l’instaurazione del procedimento cautelare deve essere, a ragionevole giustificazione di una richiesta urgente, oggettivamente breve (in arg. Pret. Roma 16.7.1991, GM, I, 1065; Pret. Chieti 25.5.1992, GM, I, 1065; Trib. Livorno 27.9.1993, RDI, 1996, II, 341; Trib. S.M. Capua Vetere 20.7.1996, Gius, 1997, 340; Trib. Torre Annunziata 28.12.2008, GD, 2008, 4, 80):
« il gran tempo trascorso tra il verificarsi delle azioni che si assumono lesive e l’istanza cautelare ex art. 700 c.p.c. fa ritenere insussistente il requisito indefettibile dell’urgenza »
(Pret. Chieti 25.5.1992, GM, I, 1065);
ed ancora:
« premesso che, ai fini dell’accertamento del periculum in mora occorre analizzare puntualmente la situazione di fatto, al fine di accertare se effettivamente si giustifica l’adozione, alla stregua di una cognizione comunque sommaria, di un provvedimento invasivo e a sua volta potenzialmente lesivo delle ragioni di chi lo subisce, quel presupposto va escluso ancorché tra il verificarsi dell’evento prospettato come dannoso e la proposizione della domanda giudiziale sia decorso un apprezzabile periodo di tempo »
(Trib. Napoli 5.7.2002, RDI, 2003, 131).
Con riferimento agli aspetti da ultimo trattati, si segnalano anche i rilievi di un’autorevole studioso:
« sul piano pratico, il requisito dell’imminenza ha un ruolo concreto solo nelle ipotesi in cui l’art. 700 c.p.c. sia stato azionato dopo che è decorso molto tempo dal momento della violazione: a rigore l’operatività della norma de qua dovrebbe essere esclusa per mancanza del requisito dell’imminenza; ma in senso contrario si sono pronunciati taluni giudici facendo riferimento all’esigenza di garantire la libertà di scelta del titolare circa il momento in cui agire in giudizio; il giudice non può infatti sostituirsi alla parte in questo suo potere che sembra essere espressione di quella libertà che costituisce l’essenza del diritto soggettivo »
(Proto Pisani 2002, 640).
Anche secondo un altro autorevole commentatore (Vullo 2005, 1306) non appare legittimo desumere dall’atteggiamento passivo e prolungato nel tempo di chi agisce ex art. 700 c.p.c. un’indicazione decisiva ai fini dell’esclusione del periculum in mora. Infatti, è osservato, non si può impedire che la parte, per ragioni varie non soggette al sindacato del giudice, sia disposta a tollerare anche per un lungo tempo una situazione antigiuridica dagli effetti irreparabilmente pregiudizievoli, salvo, quando lo ritenga opportuno e ricorrendone ancora i requisiti, invocare la tutela d’urgenza:
« in altre parole, mentre l’irreparabilità del pregiudizio è un dato oggettivo, la scelta di subirne gli effetti prima di accedere alla tutela giurisdizionale cautelare rappresenta un comportamento soggettivo pienamente legittimo, che non può, di per sé, condizionare la concessione della cautela richiesta »
(Vullo 2005, 1306).
Per quanto suggestive, le osservazioni appena riferite non persuadono appieno; è stato, infatti, correttamente replicato che la tutela d’urgenza è diretta a neutralizzare proprio il pregiudizio da ritardo, e che il ricorso all’art. 700 c.p.c. è innanzitutto correlato all’esigenza di realizzare una effettiva tutela giurisdizionale, che « normalmente sorge con la violazione del diritto e che normalmente non è differibile, se non si vuole porre in essere un’insanabile contraddizione tra bisogno del processo civile, tipo di processo prescelto, specifiche condizioni d’ammissibilità del tipo di processo prescelto » (Lanfranchi 1982, 653). Tali rilievi sono stati recentemente ripresi da Trib. Torino, ord., 5.7.2007, secondo cui la sussistenza del requisito del periculum in mora va negata nel caso in cui la pretesa violazione sia conosciuta e tollerata per un lungo periodo di tempo senza che nelle more sia assunta alcuna iniziativa processuale, il che costituisce sintomo di una tolleranza non compatibile con il ricorso ex art. 700 c.p.c.
Esulano, come appare evidente, dalle ipotesi di tardiva proposizione della domanda cautelare finora prese in considerazione quelle situazioni in cui la violazione si sia già verificata e a distanza di tempo si prospettino concreti rischi di sua reiterazione o comunque si paventino ulteriori effetti dannosi: in tali circostanze, infatti, il decorso di un apprezzabile periodo di tempo dall’evento dannoso non esclude il carattere di imminenza e attualità del pregiudizio, risultando pertanto giustificata, trattandosi di prevenire un fatto distinto da quello già consumato, la proposizione di una domanda cautelare d’urgenza (solo apparentemente) tardiva (in arg. v. anche supra § precedente).
Sono, infatti, anche le perduranti o reiterabili conseguenze dannose della violazione già realizzatasi, oltre che ovviamente l’evento lesivo in sé, che il ricorso alla tutela urgente intende neutralizzare; quando gli effetti dannosi della lesione già verificatasi si prospettino ancora attuali o ripetibili deve ritenersi configurato il necessario requisito di imminenza del pregiudizio previsto dall’art. 700 c.p.c., e quindi giustificato il ricorso alla tutela d’urgenza, e ciò quand’anche l’evento lesivo, di cui perdurano gli effetti, si sia verificato in un più o meno recente passato (in arg. Pret. Frosinone 28.5.1991, DOLav, 1991, 3049). È anzi proprio con riferimento a siffatte situazioni che il requisito dell’imminenza esplica la sua funzione essenzialmente preventiva (o inibitoria), diretta ad impedire la violazione ovvero la sua continuazione o ancora la sua ripetizione (Proto Pisani 1991, 17).
Riassumendo, conclusivamente, quanto sin qui osservato riguardo alle verifiche e valutazioni che il giudice dell’urgenza deve condurre intorno alla sussistenza dei due fondamentali presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora, se l’accertamento del primo
« — connotato dalla provvisorietà di tale valutazione, destinata a cedere di fronte a quella definitiva — può essere operato sulla base di un vaglio del materiale probatorio che può assimilarsi ad una cognizione superficiale, ovvero di mera verosimiglianza, in ordine all’esistenza del diritto, l’accertamento del periculum in mora, dovendo essere condotto — una volta comprovata l’esistenza del fumus boni iuris — su circostanze concrete ed obiettive, e per di più rilevanti ai soli fini della misura cautelare, postula un grado di convincimento senz’altro maggiore. Tale vaglio va, dunque, effettuato in termini di certezza in ordine alla sussistenza del presupposto del periculum in mora nella fattispecie concreta »
(Valitutti 2004, 70).

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