Immissione sonore e danno alla salute

Redazione 05/12/18
L’azione inibitoria da immissioni, disciplinata ai sensi dell’ art. 700 cpc, è concessa  a tutela del diritto alla salute, inteso quale diritto fondamentale della persona, ai sensi dell’art. 32 Cost.

La Suprema Corte in più occasioni ha precisato che il bene salute deve ritenersi comprensivo non solo dell’incolumità fisica, ma anche del benessere psichico dell’individuo e di tutto ciò che vale a costituire la qualità stessa della vita, intesa come esaustiva realizzazione della persona umana nella totalità e globalità delle sue manifestazioni e dei suoi valori.

Nell’ipotesi in cui le immissioni sonore diventino per l’individuo intollerabili, l’attenzione al rumore riguarda non già  le lesioni organiche che possa in ipotesi provocare per l’organismo umano, ma  la oggettiva capacità dello stesso di travolgere l’equilibrio della persona, intesa come tale, cioè come soggetto teso a realizzare le sue funzioni psichiche, e ad espletare le attività rispondenti all’esercizio delle sue qualità soggettive e sociali. Le immissioni rumorose intollerabili, pertanto, provocano un danno alla persona, ed alla sua salute, anche in assenza di lesioni immediatamente obiettivabili.

Il danno biologico

E’ evidente che il grado di intensità del rumore che sia superiore alla soglia di tollerabilità determina in ciascun individuo reazioni di diverso tipo (tra cui paura, ira, disperazione) e, comunque, tali da compromettere la cosiddetta “qualità uomo”, intesa nel senso della capacità di produrre e ricevere le utilità, di qualunque natura, derivanti dall’attività lavorativa ed in genere dal mondo esterno. È per tali ragioni che viene in rilievo una nozione di danno biologico che prescinde dalla effettiva sussistenza di menomazioni organiche dell’integrità psicofisica e riguarda, invece, la compromissione della salute nel lato senso sopra indicato.

La Corte di Cassazione ha stabilito che per ottenere questa ipotesi di tutela non occorre che il disturbo arrecato dal frastuono al riposo – diurno e notturno -, nonché alla vivibilità dell’ambiente domestico e all’equilibrio della mente sconfini in una patologia. Al contrario, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 844 c.c. (che prevede la valutazione giudiziale del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà) porta a considerare la tutela della salute come limite intrinseco dell’attività di produzione, oltre che del rapporto di vicinato, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze economiche il soddisfacimento del diritto ad una normale qualità della vita .

Il danno esistenziale puro

In quest’ottica, la Suprema Corte ha riconosciuto tutela a coloro i quali abbiano subito un danno esistenziale puro – ovvero in assenza di un concreto danno alla salute – riconducibile alla natura intollerabile delle immissioni sonore. Il giudice di legittimità ha precisato che il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, di cui il diritto al riposo notturno e la vivibilità della propria abitazione costituiscono un corollario, è a tutti gli effetti un diritto costituzionalmente garantito che, come tale, merita tutela a prescindere dal fatto che si traduca in una lesione della integrità psico-fisica; di tale avviso anche la Corte di Strasburgo, in applicazione dell’art. 8 CEDU. L’orientamento di cui sopra è stato confermato anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui per ottenere tutela non occorre che il disturbo arrecato dal frastuono al riposo – diurno e notturno – nonché alla vivibilità dell’ambiente domestico e all’equilibrio della mente sconfini in una patologia (Cass. Civ., Sez. Un., n. 2611/2017).

Il danno in re ipsa

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20445, pubblicata in data 28 agosto 2017, è ritornata sul tema della risarcibilità dei danni derivanti da immissioni, cassando la sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva negato il diritto di una condomina al risarcimento del danno da immissioni rumorose provenienti da una falegnameria, ritenendo che lo stesso debba ritenersi risarcibile solo ove ne sia derivata comprovata lesione alla salute, non essendo risarcibile la minore godibilità della vita, ed a ciò aggiungendo, da un punto di vista probatorio, come l’attrice avrebbe dovuto produrre idonea documentazione sanitaria e chiedere l’espletamento di una c.t.u. medico-legale.

La Corte aderisce all’orientamento, ormai consolidato, per cui una volta accertato che le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., il danno risarcibile (da immissioni) risulta sussistente in re ipsa e, dunque, non abbisogna di una specifica prova; si tratta, nella specie, di un danno non patrimoniale diverso da quello derivante da lesione del diritto alla salute ed autonomamente qualificabile come danno al normale svolgimento della vita personale e familiare.

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