Immissioni rumorose, da risarcire il danno al normale svolgimento della vita personale

Quello delle immissioni, siano esse derivanti da rumore, fumo, cattivi odori o scuotimenti, è un problema all’ordine del giorno.

La materia è disciplinata dal codice civile e, in particolare, dall’art. 844 che dispone come <<il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi>>.

Ciò posto, le immissioni moleste e, pertanto, vietate, sono quelle che superano la normale tollerabilità, viceversa, quando queste non superano livelli di comune accettabilità, non possono essere impedite.

Allorquando ci troviamo al cospetto di attività produttive, se risulta senz’altro illecito il superamento dei limiti stabiliti dalla normativa specifica, siccome posta a salvaguardia di interessi collettivi, quando si verte in materia di rapporti di vicinato, come nel caso di immissioni in condominio, non esiste un parametro prestabilito al fine di valutare il superamento della normale tollerabilità, pertanto, in simili fattispecie è necessario valutare in concreto, e caso per caso, l’accettabilità di dette immissione alla stregua del precetto di cui all’art. 844 Cc (Cass. 20927/2015).

 

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In altri termini, l’eventuale superamento della normale tollerabilità delle immissioni dovrà essere valutato dal giudice – esaminato il caso concreto – secondo il suo prudente apprezzamento con una decisione che, se adeguatamente motivata, risulterà insindacabile in sede di legittimità (Cfr. da ultimo: Cass. 22105/2015).

Accertata la presenza di immissioni che superano la normale tollerabilità, queste possono provocare dei danni a carico di chi risulta alle stesse esposto, pregiudizio che può permanere fino a quando le immissioni non vengano eliminate.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20445, pubblicata in data 28 agosto 2017, è ritornata sul tema della risarcibilità dei danni da immissione, cassando la sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva negato il diritto di una condomina al risarcimento del danno da immissioni rumorose provenienti da una falegnameria, ritenendo che lo stesso fosse risarcibile <<solo ove ne sia derivata comprovata lesione alla salute, non essendo risarcibile la minore godibilità della vita>>, a ciò aggiungendo, da un punto di vista probatorio, come <<l’attrice avrebbe dovuto produrre idonea documentazione sanitaria e chiedere l’espletamento di una c.t.u. medico-legale>>.

La Corte di Cassazione, nel cassare la sentenza impugnata, aderisce all’orientamento, <<oramai sufficientemente consolidato>>, per cui il danno non patrimoniale che, tuttavia, esula da quello alla salute, risulta sempre sussistente e, pertanto, non abbisogna di una specifica prova.

In altri termini, una volta accertato che le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità di cui all’art. 844 Cc, la liquidazione del danno da immissioni, risulta sussistente in re ipsa (Ex multis: Cass. 23283/2014; Cass. 7048/2012; Cass. 6612/2011; Cass. 5844/2007).

La stessa, nell’ordinanza in commento, specifica come <<il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile al normale svolgimento della vita personale e familiare all’interno di una abitazione e comunque del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (ndr: Articolo 8 – Diritto al rispetto della vita privata e familiare. 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.), norma alla quale il giudice interno è tenuto a conformarsi (vedi Cass. 16/10/2015, n. 20927); ne consegue che la prova del pregiudizio subito può essere fornita anche mediante presunzioni o sulla base delle nozioni di comune esperienza>>.

Pertanto, il ricorso deve essere accolto con la liquidazione del danno in favore della ricorrente, quantificato in euro 10.000 oltre interessi legali.

Sentenza collegata

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Avv. Accoti Paolo

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