L’agevolazione IMU per gli immobili concessi in comodato ai parenti in linea retta entro il primo grado in una recente pronuncia della Suprema Corte – Brevi note critiche a Cass. ord. n.37346/2022.
Con una recente ordinanza la S.C. ha affrontato la questione relativa alla riduzione della base imponibile ICI, per le unità immobiliari concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale. In particolare, la S.C. è giunta alla conclusione che l’ipotesi di concessione in uso tra comproprietari del medesimo immobile esula dalla ratio della previsione normativa e che pertanto il beneficio in questione non possa essere riconosciuto al comproprietario concedente che, secondo la S.C. beneficerebbe, altrimenti, dell’esenzione pro quota – a differenza degli altri comproprietari – senza avere fissato la dimora abituale nell’immobile, in palese violazione dell’art. 1, comma 2, del D.L. 27 maggio 2008 n. 93, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 luglio 2008 n. 126.
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Indice
1. Le motivazioni della Cassazione e le sue implicazioni sulla interpretazione della attuale disciplina IMU
Come è noto, il comma 747, lett. c), della L. 160/2019, in materia di IMU, stabilisce che “La base imponibile è ridotta del 50 per cento … per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda una sola abitazione in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato; il beneficio si applica anche nel caso in cui il comodante, oltre all’immobile concesso in comodato, possieda nello stesso comune un altro immobile adibito a propria abitazione principale, ad eccezione delle unità abitative classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. Il beneficio di cui alla presente lettera si estende, in caso di morte del comodatario, al coniuge di quest’ultimo in presenza di figli minori”.
Con l’ordinanza n. 37346/2022 in commento, finora isolata, la sezione tributaria della Cassazione ha stabilito il seguente principio di diritto in materia di ICI, che secondo molti Comuni sarebbe applicabile anche con riferimento alla disposizione sopra richiamata in materia di IMU, stante la sostanziale identità della fattispecie:
«In tema di ICI, con riguardo all’eventuale previsione di un regolamento comunale che assimili ad abitazione principale i «fabbricati concessi in uso gratuito a parenti e affini entro il secondo grado che li utilizzino come abitazione principale», la fattispecie normativa è riferita alla sola ipotesi in cui il proprietario o il titolare del diritto reale di godimento conceda in comodato l’immobile ad un parente o affine entro il secondo grado, che non possa vantare su di esso alcun diritto reale o personale di godimento, per destinarlo ad abitazione principale per sé e per la propria famiglia; ne discende che non può rientrarvi la diversa ipotesi di concessione in comodato tra comproprietari del medesimo immobile, in quanto, il presupposto dell’esenzione pro quota per il comproprietario che l’abbia – o per i comproprietari che l’abbiano – destinato ad abitazione principale è fondato proprio sulla titolarità della quota di comproprietà e prescinde da una concessione in comodato da parte del comproprietario ivi non residente, che beneficerebbe, altrimenti, dell’esenzione pro quota – a differenza degli altri comproprietari – senza avere fissato la dimora abituale nell’immobile, in palese violazione dell’art. 1, comma 2, del D.L. 27 maggio 2008 n. 93, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 luglio 2008 n. 126».
Secondo la S.C. “l’ipotesi di concessione in uso tra comproprietari del medesimo immobile esula dalla ratio della previsione normativa, dal momento che il presupposto dell’esenzione pro quota per il comproprietario che l’abbia – o per i comproprietari che l’abbiano – destinato ad abitazione principale è fondato proprio sulla titolarità della quota di comproprietà e prescinde da una superflua concessione in comodato da parte del comproprietario ivi non residente. Difatti, ai sensi dell’art. 1102, comma 1, cod. civ., ciascun comproprietario può servirsi del bene comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non avendo bisogno a tal fine di una concessione degli altri comproprietari per il godimento esclusivo dell’intero bene, che trova giustificazione nella sola spettanza della quota di comproprietà”.
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2. Considerazioni critiche
La ricostruzione della S.C. poggia dunque sul presupposto che il godimento esclusivo dell’intero bene da parte del comproprietario prescinda del tutto “da una superflua concessione in comodato da parte del comproprietario ivi non residente”. Tale affermazione tuttavia lascia alquanto perplessi. Infatti, la medesima Corte aveva affermato che “l’occupante del bene (il comproprietario che gode in modo esclusivo) è tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili traibili dal godimento indiretto dell’immobile […] se il comproprietario abbia manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non gli è stato consentito, per la ragione assorbente di non aver potuto godere al pari degli altri del bene comune” (Cassazione civile n. 2423/2015). Ne discende che non sembra del tutto corretta l’affermazione che il comproprietario possa liberamente adibire l’immobile a propria abitazione principale, perché ciò ne esclude l’uso turnario e laddove l’immobile per le proprie caratteristiche non sia contemporaneamente fruibile anche dagli altri comproprietari, questi ultimi hanno diritto di poterlo utilizzare direttamente o indirettamente o di ottenere un equo indennizzo dall’occupante, salvo sempre il diritto di chiedere e di ottenere la divisione giudiziale dell’immobile. Quindi la concessione in comodato da parte del comproprietario ivi non residente a favore di altro comproprietario, contrariamente a quanto affermato dalla Corte, appare tutt’altro che superflua e priva di conseguenze. Infatti, in tal modo il comproprietario rinuncia alla possibilità di ottenere un equo indennizzo dall’occupante (non diversamente dal proprietario esclusivo che concluda il medesimo contratto), ovvero alla facoltà di utilizzo simultaneo o turnario dell’immobile (così come il proprietario esclusivo che concede l’immobile in comodato rinuncia al godimento diretto o indiretto dello stesso), che risulta evidentemente incompatibile con l’uso esclusivo dell’immobile come abitazione principale da parte del comproprietario/occupante, almeno per gli immobili con caratteristiche che non consentano la coabitazione fra più nuclei familiari (si ricorda che, il comma 741, lett. b), definisce l’abitazione principale come la “unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”[1]). D’altra parte, si osserva che seguendo il ragionamento della Corte, sulla inutilità della concessione in comodato da parte del comproprietario ivi non residente, si potrebbe agevolmente sostenere anche l’inutilità della eventuale locazione da parte di alcuni comproprietari a favore di uno o più di loro e affermare che, essendo inutile anche il predetto contratto di locazione, il canone percepito non avrebbe rilevanza fiscale, mentre tale situazione è contemplata dalle varie istruzioni delle dichiarazioni reddituali pubblicate e approvate ogni anno dall’Agenzia delle Entrate che prevedono la tassazione dei canoni percepiti. Non si comprende poi perché, a parità di condizioni, ossia con un’identica autolimitazione del proprio diritto di godimento dell’immobile (che come si è detto si esplica sempre sull’intero immobile, anche nel caso del comproprietario), un soggetto con un patrimonio superiore, ossia il proprietario esclusivo, che conceda l’immobile in uso gratuito ad un proprio discendente che vi stabilisce l’abitazione principale, possa godere dell’agevolazione in parola, mentre nella medesima situazione sia escluso dal beneficio un soggetto, ossia il comproprietario, che vanta un patrimonio inferiore rispetto al primo.
E’ evidente perciò che l’interpretazione della Corte stride con i principi costituzionali di ragionevolezza e di capacità contributiva (artt. 3 e 53 Cost.), perché tratta in modo differente situazioni sostanzialmente identiche, con applicazione di maggiori imposte per il soggetto con un patrimonio minore e quindi con una minore capacità contributiva rispetto a quello con patrimonio e capacità contributiva superiori.
Inoltre, non si capisce perché il comproprietario, pur potendo richiedere l’immediato rilascio dell’immobile in assenza di ratifica del contratto di comodato, non ha il diritto di pretendere l’indennità per occupazione senza titolo, stante che il contratto di comodato stipulato dalla comproprietaria è un contratto comunque opponibile (Cass. 22540/2019), mentre se nella medesima situazione il comodatario fosse anche comproprietario, il contratto di comodato sarebbe irrilevante e superfluo, non produttivo di effetti giuridici o comunque non opponibile. Insomma, si coglie una certa incoerenza fra le argomentazioni della ordinanza in commento e i principi enunciati dalla S.C. con riferimento alla validità ed efficacia del comodato stipulato da un solo comproprietario, che non sembra possano essere limitati o disattesi, qualora il comodatario sia anche comproprietario dell’immobile.
Infine, e non è un argomento di poco conto, gli antichi canoni ermeneutici “in claris non fit interpretatio” e “quod legislator voluit dixit, quod noluit tacuit” nel caso di specie sembrano dire che la norma agevolativa richiede solamente che il comproprietario conceda l’immobile in uso gratuito con un contratto regolarmente registrato a parenti in linea retta entro il primo grado e che questi vi stabiliscano la residenza anagrafica e lo utilizzino come abitazione principale. Le limitazioni previste, inoltre, riguardano solo, da un lato, l’immobile, che non deve essere classificato nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, mentre, dall’altro, rispetto al comodante, le uniche limitazioni riguardano il fatto che egli deve possedere una sola abitazione in Italia; che deve risiedere anagraficamente e dimorare abitualmente nello stesso comune in cui e’ situato l’immobile concesso in comodato, con la precisazione che se l’altra abitazione si trova nello stesso Comune il beneficio si applica a condizione che detto altro immobile sia adibito a propria abitazione principale, purché non si tratti di unità abitative classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.
3. Conclusioni
L’orientamento della S.C., secondo la quale l’immobile dovrebbe essere concesso in comodato esclusivamente “ad un parente o affine entro il secondo grado, che non possa vantare su di esso alcun diritto reale o personale di godimento, per destinarlo ad abitazione principale per sé e per la propria famiglia”, non trova alcun addentellato nel testo normativo, né a parere di chi scrive, alla luce delle considerazioni sopra svolte, alcuna giustificazione logica.
L’affermazione che il comproprietario concedente “beneficerebbe, altrimenti, dell’esenzione pro quota – a differenza degli altri comproprietari – senza avere fissato la dimora abituale nell’immobile, in palese violazione dell’art. 1, comma 2, del D.L. 27 maggio 2008 n. 93, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 luglio 2008 n. 126” significa, evidentemente, spostare il focus del problema, dalla corretta applicazione della norma agevolativa, al presupposto del tributo, rispetto al quale l’agevolazione rappresenta sempre un’eccezione. In altre parole, quella enunciata dalla S.C. è la conseguenza, non il motivo, per cui si può escludere l’applicazione dell’agevolazione. È evidente infatti che anche il concedente proprietario esclusivo dell’immobile godrà dell’esenzione per intero senza avere fissato la dimora abituale nell’immobile.
L’interpretazione sostenuta nell’ordinanza in commento appare pertanto eccessivamente restrittiva, oltre che in contrasto con i principi costituzionali sopra richiamati, nonché con quelli di tutela della famiglia e della solidarietà familiare, che dovrebbero orientare l’interpretazione della legge. Si auspica un revirement della Corte alla prossima occasione.
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