SOMMARIO: 1. Premessa 2. Le fonti e le competenze 3.I regolamenti comunali
4.Titolo abilitativo 5. Conclusioni
1. PREMESSA
La tematica è certamente di scottante attualità e presenta rilevanti risvolti di carattere sociale e politico per l’allarme che il proliferare del numero delle antenne ha determinato tra la popolazione, a seguito dell’ingresso nel mercato di nuovi soggetti gestori degli impianti e della riconosciuta esigenza di assicurare la massima copertura della rete, per far fronte al sempre più crescente aumento delle utenze e del traffico della telefonia mobile. La formazione di comitati di cittadini, una pressante attività di raccolta firme e la netta opposizione alle nuove installazioni di stazioni radiobase sul territorio hanno coinvolto e tutt’oggi coinvolgono moltissime amministrazioni comunali. Si è sviluppata, pertanto, un’ampia casistica giurisprudenziale, che ha soprattutto riguardato l’impugnazione di ordinanze contingibili ed urgenti, emanate dai sindaci per ritenute precipue esigenze di tutela della salute pubblica, nonché l’impugnazione dei regolamenti comunali adottati ex art. 8 c. 6 della L. n.36/2001.
Si è trattato di provvedimenti assunti in conseguenza delle spiegate incalzanti spinte emotive e sulla base di una normativa in continua evoluzione, con la quale il legislatore ha tentato di trovare un punto di ragionevole equilibrio tra la pluralità degli interessi coinvolti. Occorre, infatti, ponderare diversi valori di rango costituzionale, per certi aspetti contrapposti, quali la tutela della salute, dell’ambiente e del paesaggio e del territorio, da un lato, ed i diritti dalla libertà d’iniziativa economica, da esercitarsi in regime concorrenziale, e della comunicazione attiva e passiva, dall’altro lato. Vengono, dunque, in considerazione materie rientranti nella legislazione statale esclusiva nonchè nella legislazione concorrente, così come definite a seguito della recente riforma del titolo V della Costituzione (L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3): la tutela dell’ambiente e la tutela della concorrenza figurano tra le materie di legislazione esclusiva statale ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. s) della Cost. ; mentre, la tutela della salute è materia di legislazione concorrente, come pure il governo del territorio e l’ordinamento della comunicazione (art. 117 comma 3 Cost.).
2. LE FONTI E LE COMPETENZE
Il quadro normativo della subiecta materia è costituito dalla legge. n. 36 del 22/02/2001 (legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), dal decreto legislativo n. 259 dell’1/08/2003 (c.d. codice delle comunicazioni elettroniche, recepito nell’ordinamento reg.le siciliano con l’art. 103 della L.R. n. 17 del 28 dicembre 2004) ed dal D.P.C.M. dell’8/07/2003, attuativo della L. 36/2001, che fissa i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli o obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni dei campi elettrici e magnetici. La materia è stata disciplinata, altresì, dal d.lgs.vo 4 settembre 2002 n. 198, che, però, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella sua interezza per eccesso di delega con sentenza della Corte Costituzionale 1° ottobre 2003 n. 303.
La legge n. 36/01 – conformemente alla sua natura di legge quadro – ha lo scopo prevalente (cfr. art. 1) di dettare i principi fondamentali diretti ad assicurare la tutela della salute umana dagli effetti dell’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, mirando, altresì, alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio sempre con riferimento all’impatto che torri, tralicci ed altre strutture analoghe possono avere su detti beni costituzionalmente protetti. All’uopo, si persegue l’obiettivo di promuovere, da un lato, la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine sulla salute umana, dall’altro lato, l’innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l’intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili. Infine, viene codificato il principio di precauzione, di diretta derivazione comunitaria, il quale impone di seguire nella realizzazione degli impianti de quibus idonee misure di cautela, così da minimizzare i rischi di esposizione.
La legge provvede, indi, ad individuare le funzioni e le competenze, rispettivamente, dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali. L’art. 4, comma 1, lett. a), del predetto testo normativo attribuisce innanzitutto allo Stato l’esercizio delle funzioni relative «alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità… in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee …». Il successivo comma 2, lett. a) demanda, poi, la fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché delle tecniche di misurazione e rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare su proposta del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro della sanità.
Il limite di esposizione, secondo la definizione data dal legislatore, “è il valore di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, considerato come valore di immissione, definito ai fini della tutela della salute da effetti acuti, che non deve essere superato in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori” (art. 3, comma 1, lett. b).
Il valore di attenzione, invece, “è il valore di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, considerato come valore di immissione, che non deve essere superato negli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate per le finalità di cui all’articolo 1, comma 1, lettere b) e c). In sostanza, per effetto del rinvio all’art. 1, comma 1, lett. b), il valore di attenzione costituisce misura di cautela, “in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell’Unione Europea”, con specifico riguardo agli ambienti destinati ad abitazione privata, agli ambienti scolastici dove sono presenti in larga parte soggetti minori di età ed agli ambienti destinati a permanenze prolungate quali, ad esempio, uffici pubblici, ospedali e caserme[1].
In merito alle attribuzioni riservate alle regioni, alle province ed ai comuni, l’art. 8 della legge stabilisce che rientra nella competenza delle regioni, «nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato… l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, ai sensi della legge 31 luglio 1997 n. 249 e nel rispetto del decreto di cui all’art. 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all’art. 5» (comma 1, lett. a);
- le regioni, «nelle materie di cui al comma 1, definiscono le competenze che spettano alle province ed ai comuni, nel rispetto di quanto previsto dalla legge 31 luglio 1997 n. 249» (comma 4);
- «i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione delle popolazioni ai campi elettromagnetici» (comma 6).
L’attinenza della disciplina de qua alla tutela dell’ambiente e comunque il valore di principio fondamentale della disciplina inerente i criteri di fissazione dei limiti di esposizione spiegano la compatibilità di una uniforme fissazione dei predetti limiti sull’intero territorio nazionale anche alla luce del mutato quadro costituzionale di riferimento, dovendo comunque le competenze attribuite alle Regioni e agli Enti locali essere esercitate nel rispetto dei limiti di esposizione fissati a livello centrale.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 307 del 7 ottobre 2003, ha precisato, in ordine alla competenza statale di fissare le soglie limite di esposizione, che se la ratio di tale disposizione consistesse esclusivamente nella tutela della salute dai rischi dell’inquinamento elettromagnetico, potrebbe ritenersi ammissibile un intervento delle Regioni che stabilisse limiti più rigorosi rispetto a quelli fissati dallo Stato in conseguenza del fatto che la “tutela della salute” rientra tra le materie di legislazione concorrente (art. 117, comma 3, Cost.). Ma, in realtà, “la fissazione di valori–soglia risponde ad una logica più complessa e articolata. Da un lato, infatti, si tratta effettivamente di proteggere la salute della popolazione dagli effetti negativi delle emissioni elettromagnetiche (e da questo punto di vista la determinazione delle soglie deve risultare fondata sulle conoscenze scientifiche ed essere tale da non pregiudicare il valore protetto); dall’altro, si tratta di consentire la realizzazione degli impianti e delle reti rispondenti a rilevanti interessi nazionali, sottesi alle competenze concorrenti di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, come quelli che fanno capo alla distribuzione dell’energia e allo sviluppo dei sistemi di telecomunicazione. Tali interessi, ancorché non resi espliciti nel dettato della legge quadro in esame, sono indubbiamente sottesi alla considerazione del "preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee" che, secondo l’art. 4, comma 1, lettera a, della legge quadro, fonda l’attribuzione allo Stato della funzione di determinare detti valori–soglia. In sostanza, la fissazione a livello nazionale dei valori–soglia, non derogabili dalle Regioni ( ex art. 8 comma 1) nemmeno in senso più restrittivo, rappresenta il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l’impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al paese per la costituzione di una rete di telefonia mobile efficiente. .
Spetta, dunque, alle Regioni la competenza della disciplina dell’uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti. Come rilevato dalla Corte Costituzionale[2], “tale ruolo è oggi ancor più innegabile sulla base dell’art. 117 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che prevede fra le materie di legislazione concorrente, non soltanto il "governo del territorio" e la "tutela della salute", ma anche l’"ordinamento della comunicazione". Conseguentemente, non può escludersi una competenza della legge regionale in materia, che si rivolga alla disciplina di quegli aspetti della localizzazione e dell’attribuzione dei siti di trasmissione che esulino da ciò che risponde propriamente a quelle esigenze unitarie alla cui tutela sono preordinate le competenze legislative dello Stato nonché le funzioni affidate all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni”.
E’ stata dichiarata costituzionalmente illegittima[3] una disposizione di legge della Regione Lombardia nella quale era previsto un generale divieto di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici, strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parchi gioco, case di cura, residenze per anziani, orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze. Secondo la Corte “per far fronte alle esigenze di protezione ambientale e sanitaria dall’esposizione a campi elettromagnetici, il legislatore statale, con le anzidette norme fondamentali di principio, ha prescelto un criterio basato esclusivamente su limiti di immissione delle irradiazioni nei luoghi particolarmente protetti, un criterio che è essenzialmente diverso da quello stabilito (sia pure non in alternativa, ma in aggiunta) dalla legge regionale, basato sulla distanza tra luoghi di emissione e luoghi di immissione…” . Né tanto meno la determinazione dei «criteri localizzativi», indicata dalla legge tra le competenze regionali, può ricondursi a divieti come quello in esame, un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformandosi così da «criteri di localizzazione» in «limitazioni alla localizzazione», dunque, in prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla citata norma della legge n. 36. Questa interpretazione, d’altra parte, è sorretta da una ragione di ordine generale, corrispondendo a impegni di origine europea e all’evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi”[4].
In altra pronuncia[5] è stata riconosciuta, invece, la legittimità costituzionale di talune disposizioni di legge della Regione Puglia che definiscono “aree sensibili” le aree per le quali le amministrazioni comunali, su regolamentazione regionale, possono prescrivere localizzazioni alternative degli impianti, in considerazione della particolare densità abitativa, della presenza di infrastrutture e/o servizi ad elevata intensità d’uso, nonché dello specifico interesse storico–architettonico e paesaggistico–ambientale; ed inoltre affidano alla Regione il compito di dettare, tenendo conto della pianificazione territoriale paesaggistica e ambientale, i criteri generali per la localizzazione degli impianti nonché i criteri inerenti l’identificazione delle predette “aree sensibili” e la relativa perimetrazione. Nel dettaglio, la Corte ha affermato che “le "aree sensibili" sono definite dalla legge regionale con riguardo a situazioni e interessi (tutela della popolazione nelle aree densamente abitate o frequentate, interesse storico–artistico o paesistico dell’area) di cui la Regione ha certamente titolo per occuparsi in sede di regolazione dell’uso del proprio territorio. Soprattutto, poi, la definizione e la perimetrazione di tali aree, nel sistema della legge regionale, hanno l’unico scopo di fondare la previsione di "localizzazioni alternative", cioè un tipo di misura che, fermo restando il necessario rispetto dei vincoli della programmazione nazionale delle reti e della pianificazione del territorio, rientra appieno nella competenza regionale in tema di governo del territorio, e specificamente nella competenza regionale, riconosciuta dalla legge quadro (art. 8, comma 1, lettera a), per la "individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione” .
In sintesi, secondo il giudice delle leggi, sono in contrasto con la normativa statale e con l’esigenza di standard uniformi su scala nazionale, i criteri localizzativi che si traducono nella concreta impossibilità della localizzazione stessa[6].
Il legislatore statale è intervenuto, infine, a disciplinare la materia con il d. lgs. 1 agosto 2003 n. 259 ( c.d. codice delle comunicazioni elettroniche), che costituisce il testo di recepimento delle direttive quadro del Parlamento europeo e del Consiglio sulle comunicazioni elettroniche del 7 marzo 2002 (direttiva 2002/19/CE relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate ed all’interconnessione delle medesime – direttiva accesso; direttiva 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica – direttiva autorizzazioni; direttiva 2002/21/CE relativa alla istituzione di un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica – direttiva quadro; direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica – direttiva servizio universale).
La ratio di tali norme è quella di eliminare la situazione di sostanziale monopolio esistente nel settore della telefonia mobile e di consentire piena operatività ai meccanismi della concorrenza.
A tale scopo si prevede che le procedure finalizzate al rilascio dei provvedimenti volti a consentire l’installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica debbano essere “tempestive, non discriminatorie e trasparenti, onde assicurare che vigano le condizioni necessarie per una concorrenza leale ed effettiva” (ventiduesimo considerando della direttiva 2002/21/CE).
In sostanza, dalle norme comunitarie emerge un obbligo di liberalizzazione del settore della telefonia mobile, che ha come scopo quello di attuare le regole della concorrenza e deve essere realizzato attraverso la armonizzazione e l’accelerazione delle procedure amministrative finalizzate alla realizzazione delle infrastrutture all’uopo necessarie. In tale contesto si inserisce l’art. 87 del codice delle comunicazioni elettroniche, che disciplina i “procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici” e del quale si tratterà infra. E’ d’uopo, comunque, sin da ora sottolineare che la massima deregolamentazione del settore è l’obiettivo più volte conclamato dagli organi comunitari; in tale prospettiva la scomparsa pressoché totale di provvedimenti autorizzatori limitati, come si vedrà, soltanto agli impianti di maggior potenza, concretizza la prospettiva liberalizzatrice del nuovo quadro normativo[7].
3. I REGOLAMENTI COMUNALI
Il potere regolamentare dei Comuni è previsto dall’art. 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001 n. 36, sopra citato. Si tratta di regolamenti di carattere sussidiario ed eventuale, che hanno, da un lato, lo scopo di assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti , assumendo, pertanto, una specifica valenza urbanistico-edilizia in funzione regolativa ed ordinatrice dell’assetto del territorio con specifico riguardo all’insediamento degli impianti di telefonia mobile; dall’altro lato, essi perseguono l’obiettivo di minimizzare i rischi di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, sotto quest’aspetto evidenziandosi un profilo di attinenza con le esigenze di tutela della salute e dell’ambiente dall’inquinamento dell’ellettrosmog, tenendo conto, tuttavia, del prospettato quadro delle competenze di Stato, Regioni ed enti locali e, segnatamente, della norrmativa statale delle soglie di rispetto[8], per le acclarate esigenze di carattere unitario sottese agli interessi de quibus, così come previsto dalle disposizioni della legge quadro.
Come già evidenziato, tra le funzioni affidate alle Regioni vi è anche quella della individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione.
Di contro, ai comuni spetta il compito di assicurare che l’inserimento nel territorio comunale degli impianti, sulla base di quanto stabilito a livello regionale, risulti a sua volta coordinato e coerente con quanto previsto dagli strumenti urbanistici, secondo le concrete esigenze e caratteristiche territoriali.
Nell’esercizio del potere regolamentare in argomento, i comuni si serviranno degli strumenti tradizionali di natura urbanistica (pianificazione degli impianti, fissazione di distanze e divieti di insediamento), con i limiti inderogabili derivanti dall’attuale sistema normativo, costituiti, in primo luogo, dall’obbligo di osservare le soglie di esposizione fissate a livello statale e, secondariamente, dalla necessità di assicurare e non compromettere l’efficienza e la capillare diffusione della rete e dei servizi di comunicazione elettronica, qualificati “di preminente interesse generale” ex art. 3, comma 2 del codice delle comunicazioni elettroniche.
Ci si è chiesti se l’esercizio del potere regolamentare dei comuni sia precluso dalla mancata adozione di una disciplina regionale. Sul punto, la giurisprudenza amministrativa[9]i Comuni possono dotarsi del suindicato Regolamento anche prima che la Regione legiferi in materia, sia in base al principio costituzionale di sussidiarietà, il quale presuppone che le funzioni amministrative siano esercitate dal livello di potere più vicino ai cittadini (art. 118 Cost.), sia perché, essendo il Regolamento finalizzato anzitutto al corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, si tratta di esercitare competenze di spettanza sicuramente comunale. ha chiarito che
In ordine al contenuto ed ai limiti sottesi ai regolamenti comunali in argomento, dalla alluvionale giurisprudenza formatasi sull’argomento, possono enuclearsi i seguenti principi.
– I Comuni non possono introdurre deroghe generalizzate ai limiti di emissione e di esposizione fissati dallo Stato, in quanto, ai sensi dell’art. 8, comma 6, L. n. 22 febbraio 2001, n. 36, la determinazione degli standards di protezione dall’inquinamento elettromagnetico è competenza dello Stato (sotto il profilo di valori-soglia, non derogabili dalle regioni né dai comuni).
– In materia di impianti che producono emissioni elettromagnetiche non è consentito al Comune di adottare un regolamento che, nell’apparente veste di regolamento avente natura urbanistica, contiene disposizioni che non appaiono di per sé funzionali al governo del territorio, bensì ad un non previsto dalla legge intervento comunale a tutela della salute umana dai rischi dell’elettromagnetismo, materia quest’ultima riservata alla competenza del legislatore statale.
– I regolamenti c.d. di minimizzazione non possono, inoltre, introdurre limitazioni e divieti generalizzati riferiti alle zone territoriali omogenee[10], risultando in tal modo il potere esercitato rivolto – attraverso una non corretta applicazione del c.d. principio di precauzione – a disciplinare la compatibilità di detti impianti con la tutela della salute umana al fine di prevenire i rischi derivanti dalla esposizione della popolazione ai campi magnetici, anzichè a controllare soltanto il rispetto dei limiti delle radiofrequenze fissati dalla normativa statale e a disciplinare profili tipicamente urbanistici[11]. Sicchè, la potestà assegnata al Comune dall’art. 8, 6° comma, della legge 22 giugno 2001, n. 36, di regolamentare "il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di telefonia mobile e di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi radioelettrici" non può trasformarsi in limitazioni alla localizzazione degli impianti di telefonia mobile per intere ed estese porzioni del territorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa, inerente l’assetto urbanistico-territoriale [12].
Pertanto, è stata ritenuta illegittima una norma del regolamento edilizio adottato da un Comune che consente l’installazione di impianti e sistemi fissi radiotelevisivi o per telecomunicazioni "solo nella zone territoriali omogenee di tipo "E" (zone agricole) del piano regolatore generale vigente ad una distanza non inferiore mt. 200 del perimetro delle altre zone territoriali omogenee ("B"; "C", "D", "F", "G", "Z") e dal perimetro delle zone destinate a verde attrezzato". Norme regolamentari di siffatto contenuto, per il loro carattere generalizzato ed il riferimento al dato oggettivo dell’esistenza di insediamenti abitativi, finiscono per concretizzarsi in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva invece allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute.
E’, altresì, censurabile la previsione regolamentare che vieta l’insediamento degli impianti de quibus nelle zone abitate (così ex multis. sentenza Tar Sicilia, Catania, II, 30 dicembre 2005, n. 2639 e Tar Sicilia, Catania, II, 21 aprile 2006, n. 614).
Infatti, com’è noto, il legislatore statale, con la legge n. 36/2001 ha fissato i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici basandosi su limiti quantitativi e non su altri parametri, quali la distanza dai centri abitati.
Il legislatore nazionale, cioè, facendo uso dei propri poteri in materia di tutela della salute pubblica, ha stabilito che la popolazione non può essere sottoposta a radiazioni di onde elettromagnetiche che superino determinati coefficienti.
Ora, se tale disposizione si coniuga con quella contenuta nel Codice delle comunicazioni che impone criteri di economicità e di trasparenza dell’azione amministrativa al fine di garantire la diffusione capillare degli impianti di telefonia mobile per la copertura di tutto il territorio nazionale, anche per esigenze di protezione civile, ci si rende conto che le statuizioni di simile contenuto si presentano contraddittorie rispetto alle esigenze di tutela della salute collettiva, la cui salvaguardia, si ribadisce, costituendo un’esigenza di carattere unitario, esula dalle competenze delle amministrazioni locali. Oltretutto, diversi studi scientifici hanno dimostrato che con il posizionamento al di fuori del centro abitato delle antenne, si realizzerebbe, paradossalmente, non già un’efficace tutela della salute dei cittadini, ma, al contrario, la possibile sottoposizione degli stessi ad emissione di onde elettromagnetiche superiori ai limiti di tollerabilità fissati dalla normativa statale. La collocazione degli impianti fuori dal centro urbano, infatti, imporrebbe l’applicazione di una potenza espressa in Watt per ciascuno impianto, certamente maggiore a quella ritenuta non nociva dalle disposizioni di cui alla l. n. 36/01.
Peraltro, la selezione dei criteri di insediamento degli impianti deve tener conto della nozione di “rete di telecomunicazione”, che per definizione richiede una diffusione capillare sul territorio, segnatamente nei casi di telefonia mobile c.d. “cellulare”, che alla debolezza del segnale di antenna associa un rapporto di maggiore contiguità delle singole stazioni radiobase.
Ad ulteriore conferma del sistema delineato, concorre anche il principio di assimilazione “ad ogni effetto” delle “infrastrutture delle reti pubbliche di comunicazione” alle opere di urbanizzazione, sancito dall’art. 86, terzo comma, del d.lgs. n. 259/2003. Detti interventi, infatti, al pari di ogni altra opera di urbanizzazione primaria e secondaria (rete di viabilità, impianti fognari, di distribuzione dei servizi elettrici e del gas, ecc.), debbono essere posti necessariamente al servizio dell’insediamento abitativo e seguire lo sviluppo dello stesso e non essere ubicati in zone da esso avulse, con effetti negativi quanto alla possibilità di accesso e corretta fruizione del servizio utilità generale [13].
In sostanza, i regolamenti comunali di cui trattasi possono contenere disposizioni di dettaglio (anche "praeter legem", ma nei limiti in cui l’integrazione non sia in contrasto con la legge), al fine di ottimizzare, tenuto conto della morfologia del territorio, la localizzazione degli impianti di cui trattasi, nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, prefissati dallo Stato o indicati dalle leggi regionali.
Non è da escludere la possibilità di localizzare le opere in questione in determinati ambiti del territorio, purchè venga salvaguardato l’interesse alla capillare distribuzione del servizio[14].
Pertanto, tra le disposizioni possibili possono indicarsi – a titolo esemplificativo – l’adozione di particolari accorgimenti tecnici o schermature, idonei a neutralizzare in tutto o in parte l’impatto delle onde elettromagnetiche, nonché la scelta di siti particolarmente idonei, che – sempre nell’ambito delle zone territoriali omogenee, previste a livello di P.R.G. –assicurino, unitamente al concorrente fine di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, il minore possibile impatto sul territorio, anche sul piano urbanistico/edilizio degli impianti di cui trattasi (si è parlato, al riguardo, di tecniche di c.d. “mimetismo architettonico”), pur senza trascurare le esigenze di interconnessione della rete.
Peraltro, tale esigenza di garantire un corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti dovrebbe essere soprattutto avvertita nelle ipotesi in cui gli impianti vengono montati su torri, tralicci o strutture similari. Mentre nei casi in cui gli impianti sono collocati direttamente sui lastrici solari degli edifici, considerato il modestissimo impatto urbanistico e territoriale delle opere, l’esigenza dovrebbe essere quella di minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici attraverso una diffusione omogenea degli impianti, evitando quindi situazioni di concentramento eccessivo in alcune zone del territorio comunale.
Possono essere introdotte, altresì, regole a tutela di zone e beni di particolare pregio paesaggistico-ambientale o storico-artistico, ovvero, per ciò che riguarda la minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici, possono individuarsi taluni siti che per destinazione d’uso e qualità degli utenti possano essere considerati sensibili alle immissioni radioelettriche (vedi Cons. Stato, VI, 30giugno 2006, n. 3332), sempre che siano indicate le ubicazioni alternative possibili e purchè non venga compromessa l’efficienza della rete e non venga impedito o ostacolato ingiustificatamente l’insediamento degli impianti stessi, introducendosi, in tal guisa, inammissibili limitazioni alla localizzazione della rete (cfr. sent. Tar Lazio, Roma, II Bis, .3 giugno 2004, n. 5186).
In riferimento ai siti c.d. sensibili, occorre segnalare che la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto illegittime le previsioni regolamenti che vietano sic et sempliciter l’installazione degli impianti di telefoni a mobile a distanze determinate dai luoghi sensibili (così ex plurimis Cons. Stato, VI, 3 giugno 2002, n. 3095, Cons. Stato, VI, 6 agosto 2002, n. 4096, Tar Piemonte, I,.9 settembre 2002, n. 1492, Tar Calabria, II, 8 novembre 2002, n. 2929), sulla base di argomentazioni attinenti alla protezione della salute da possibili fonti di inquinamento elettromagnetico, e non sulla base di valutazioni strettamente riguardanti interessi riferibili ad aspetti urbanistici, edilizi, architettonici, di decoro o di protezione del territorio.
Con una recente pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, del 25 settembre 2006, è stata ritenuta legittima la norma regolamentare con cui un comune ha prescritto che le antenne delle stazioni radio base possono essere collocate solo su edifici aventi un’altezza superiore a quella dei palazzi circostanti, posti a distanza non superiore di 50 mt., tale norma è stata, infatti, ritenuta senz’altro funzionale alla concrete esigenze edilizie ed urbanistiche del contesto territoriale di riferimento (comune di Venezia), riferibili alla visibilità delle antenne e alla finalità di evitare la loro incontrollabile proliferazione.
I regolamenti in questione, quindi, devono tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio dei cennati interessi di rilievo pubblico (in relazione, ad esempio, al particolare valore paesaggistico/ambientale o storico/artistico di individuate porzioni del territorio, ovvero alla presenza di siti qualificati particolarmente sensibili), tenuto conto di profili di ragionevolezza ed adeguatezza allo scopo della regola di localizzazione introdotta.
Detti aspetti dovranno evidentemente essere ampliamente evidenziati e spiegati nei provvedimenti di adozione dei predetti regolamenti, atteso che, comunque, la compatibilità della disciplina comunale con i limiti che l’ordinamento positivo impone all’Ente locale deve essere valutata in concreto, verificando se essa effettivamente ostacoli, con divieti generalizzati ed immotivati, la realizzazione delle reti e se sia frutto di oculate scelte di governo del territorio. Pertanto, si impone la necessità di un’accurata istruttoria, basata su approfonditi accertamenti tecnico-scientifici ed avulsa da qualsivoglia pressione emotiva, così da assicurare e dimostrare la ragionevolezza delle misure e la loro idoneità rispetto ai fini perseguiti.
Infine, in riferimento alle procedure per l’adozione dei regolamenti comunali in materia di installazione di impianti per telefonia cellulare, secondo l’opinione prevalente, essi sono soggetti – in quanto riguardanti materia urbanistica ed edilizia – alle forme e alle procedure previste per l’approvazione degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi, con modalità che consentano la partecipazione al procedimento degli interessati[15]. Per cui, in Sicilia dovrà essere seguito l’iter previsto dalla L.R. n. 71 del 1978 (art.3).
Al riguardo sarebbe opportuno in fase preparatoria, anche un coinvolgimento dei soggetti gestori, il cui apporto partecipativo in sede di predisposizione degli atti regolamentari in questione, potrebbe scongiurare e prevenire l’insorgere di possibili futuri contenziosi.
4. TITOLO ABILITATIVO
I procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di telecomunicazioni per impianti di telefonia erano stati inizialmente disciplinati dagli artt. 5 e 6 del d. lgs.vo 4 settembre 2002 n. 198, che, però, come detto, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella sua interezza per eccesso di delega. Successivamente è stato emanato il d.lgs.vo 1° agosto 2003 n. 259 – c.d. codice delle comunicazioni elettroniche, attualmente vigente – che ha sostanzialmente riprodotto i predetti artt. 5 e 6 negli artt. 86 ed 87. Tale ultima norma prevede, in particolare, che l’installazione delle infrastrutture di telefonia viene autorizzata dagli enti locali, previa presentazione a corredo della domanda di tutta la documentazione atta a comprovare il rispetto dei limiti di esposizione. Al comma 3 è stabilito che “nel caso di installazione di impianti, con tecnologia UMTS od altre, con potenza in singola antenna uguale od inferiore ai 20 Watt, fermo restando il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità sopra indicati, è sufficiente la denuncia di inizio attività”. L’assenso da parte degli enti locali è subordinato al previo accertamento, da parte dell’Organismo competente (ovvero l’ARPA) ad effettuare i controlli della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale (comma 1). Al successivo comma 9, è previsto che "le istanze di autorizzazione e le denunce di attività di cui al presente articolo si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda (…) non sia stato comunicato un provvedimento di diniego”. E’, altresì, fatto salvo l’obbligo del rispetto delle disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali e a tutela delle servitù militari nonchè l’obbligo dell’osservanza della normativa di tipo radioprotezionistico prevista dalla legge n. 36/01. E’ indicato, poi, un termine di decadenza di dodici mesi per la realizzazione delle opere in argomento. Infine, è prevista l’assimilazione di questo tipo di infrastrutture alle opere di urbanizzazione primaria (art. 86, comma 3).
I problemi conseguenti alla successione nel tempo del d.lgs.vo 4 settembre 2002 n. 198 e del d.lgs.vo 1° agosto 2003 n. 259 sono stati risolti dal d.l. 14 novembre 2003 n. 315, convertito con la legge 16 gennaio 2004, n. 5, che, all’art. 4, ha espressamente previsto che “I procedimenti di rilascio di autorizzazione alla installazione di infrastrutture di comunicazioni elettroniche iniziati ai sensi del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, ed in corso alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 1° ottobre 2003, sono disciplinati dal decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259. I termini procedimentali, ferma restando la loro decorrenza dalla data di presentazione della domanda o della denuncia di inizio attività, sono computati ai sensi degli articoli 87 e 88 del medesimo decreto legislativo n. 259 del 2003”.
In riferimento al contenuto dell’art. 87 cit., come rilevato più volte dalla Corte Costituzionale, trattasi di una norma, che, al pari delle altre contenute nel capo V del codice, attiene ad una pluralità
di materie, che sono strettamente interconnesse e rispetto alle quali variamente si atteggia la competenza legislativa dello Stato e delle Regioni (sia ordinarie che ad autonomia speciale)[16] .
Vengono, infatti, in considerazione non solo il “governo del territorio”, nell’ambito del quale rientra l’urbanistica, per la quale sussiste la competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana, ma anche la “tutela della concorrenza” e la “tutela dell’ambiente”.
Per quanto riguarda la concorrenza, ha rilevato il giudice delle leggi che la stessa va intesa non “soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e di ripristino di un equilibrio perduto”, ma anche in un’accezione dinamica “che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali” (sentenza Corte Costituzionale, 13 gennaio 2004, n. 14, ma anche 27 luglio 2004, n. 272).
In merito alla tutela dell’ambiente, la Corte Costituzionale ha più volte affermato che non si tratta di una "materia" in senso stretto, ma di un compito, nell’esercizio del quale lo Stato conserva il potere di determinare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, fermo restando il potere delle Regioni di assumere tra i propri scopi la cura “di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali” (cfr. sentenza 26 luglio 2002, n. 407 e nello stesso senso, tra le altre, 6 aprile 2005, n. 135; 22 luglio 2004, n. 259; 7 ottobre 2003, n. 307 e 24 giugno 2003, n. 222). Secondo opinione pressocchè unanime, l’attuale sistema normativo prevede un unico procedimento autorizzatorio per l’installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica, al fine di garantire, tramite procedure tempestive e semplificate, la parità delle condizioni concorrenziali fra i diversi gestori nella realizzazione delle proprie reti di comunicazione su tutto il territorio nazionale, nonché la osservanza di livelli uniformi di compatibilità ambientale delle emissioni radioelettriche (in tal senso Consiglio di Stato, VI, 9 giugno 2005, n. 3040). L’intento perseguito dal legislatore comunitario e da quello nazionale è stato, dunque, quello di consentire la installazione di stazioni radio base in forza di un unico provvedimento autorizzatorio, che deve essere rilasciato sulla base di un procedimento unitario, nel contesto del quale devono essere fatte confluire le valutazioni sia di tipo ambientale, che di tipo urbanistico. In tal senso è orientata la prevalente giurisprudenza amministrativa, la quale ritiene che le verifiche di compatibilità edilizia ed urbanistica delle infrastrutture di comunicazioni elettroniche devono essere effettuate nell’ambito del procedimento disciplinato dall’art. 87 del decreto legislativo n. 259 del 2003, in quanto la ratio sottesa al codice delle comunicazione elettroniche è quella di semplificare il procedimento e di concentrare al suo interno tutte le relative valutazioni (ex multis Consiglio di Stato, VI, 28 febbraio 2006, Consiglio di Stato, VI, n. 889, Consiglio di Stato, VI, 5 agosto 2005, n. 4159, Consiglio di Stato, VI, 26 luglio 2005, n. 4000, Consiglio di Stato, VI, 9 giugno 2005, n. 3040, Consiglio di Stato, VI, 11 gennaio 2005, n. 100, ma anche TAR Sicilia Palermo, II, 17 gennaio 2006, n. 70; I, TAR Sicilia Palermo 27 aprile 2005, n. 640).
Tuttavia, si deve ricordare che, prima dell’avvento della normativa speciale di settore sopra richiamata, la giurisprudenza e la dottrina avessero definitivamente chiarito che per installare una stazione radio base era di regola necessaria la concessione edilizia[17].
Tale impostazione, ormai ritenuta pacifica, era stata peraltro recepita dal legislatore nel Testo unico dell’edilizia che, all’art. 3, lett. e), ricomprende espressamente tra gli “interventi di nuova costruzione”, come tali assoggettati a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 dello stesso d.P.R., “l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione”.
Il quadro sopra sinteticamente descritto è stato però radicalmente cambiato con l’entrata in vigore del d.lgs. 4 settembre 2002, n. 198, che essendo volto “ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del paese” introduceva una procedura semplificata per l’installazione delle stazioni radio base.
In particolare, la norma in parola prevedeva che tali infrastrutture fossero: 1) “realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal decreto” (art. 3, comma 1); 2) “compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento” (art. 3, comma 2); 3) realizzabili con autorizzazione o d.i.a., con la previsione del silenzio assenso trascorsi 90 giorni dalla presentazione della domanda senza un espresso diniego.
Allora, si è pressoché pacificamente ritenuto che non fosse più necessario il permesso di costruire (rectius in Sicilia la concessione) per questo tipo di interventi, ma che l’autorizzazione ex d.lgs. n. 198/02 (o la d.i.a., per gli impianti con potenza inferiore ai 20W) fosse il titolo necessario e sufficiente a permettere la realizzazione di una stazione radio base.
Questo regime, di indubbio favore rispetto al precedente e che tante polemiche ha scatenato, è stato dichiarato incostituzionale.
La procedura successivamente introdotta dagli artt. 86 e 87 del codice ricalca in larga parte l’impianto normativo del d.lgs. n. 198/02, sebbene si deve rilevare come vi siano delle differenze, estremamente rilevanti; il Governo, difatti, nel codice delle comunicazioni ha eliminato la previsione per cui tali interventi sono “compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento” (art. 3, comma 2) ed ha previsto, invece, che gli stessi sono assimilati alle opere di urbanizzazione primaria, cosa peraltro già prevista in alcune leggi regionali ed affermata in via giurisprudenziale da alcuni Tar.
La predetta assimilazione alle opere di urbanizzazione primaria unitamente al fatto che non è stata abrogata la previsione del T.U. dell’edilizia (nel frattempo entrato in vigore) che subordina questo tipo di interventi al permesso di costruire, ha portato però alcuni primi interpreti a ritenere che l’autorizzazione prevista dal codice delle comunicazioni avesse una valenza per lo più sanitaria, e che, quindi, tale autorizzazione non escludesse il permesso di costruire ma si aggiungesse al permesso stesso.
Questa interpretazione è stata contestata avanti le sedi giudiziarie dagli operatori del settore, generando un copioso contenzioso.
Come innanzi chiarito, l’orientamento ormai consolidato espresso dai giudici amministrativi di primo e secondo grado è nel senso di ritenere che il procedimento ex art. 87 sia unico ed assorba tutte in se tutte le valutazioni connesse, anche di natura urbanistica ed edilizia.
Segnatamente, secondo il Consiglio di Stato[18], non è necessario anche il permesso di costruire, in quanto le valutazioni urbanistico-edilizie dell’intervento, tipiche del procedimento che porta al rilascio di quel titolo abilitativo, devono intendersi assorbite nel procedimento delineato dall’art. 87 del codice delle comunicazioni elettroniche.
Ad avviso dei giudici di Palazzo Spada esistono molteplici “parametri ermeneutici, di tipo non solo teleologico, ma anche testuale e sistematico” a sostegno di tale tesi: in primis, viene evidenziata la ratio, per così dire semplificante, sottesa all’intero codice delle comunicazioni elettroniche, contenuta nella legge delega e nelle direttive comunitarie a monte di questa, ovvero la necessità di introdurre procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione di infrastrutture.
D’altra parte, l’oggetto dei provvedimenti in argomento è identificato nell’ “installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici”, che costituisce proprio il momento trasformativo sul piano materiale dell’assetto del territorio.
Inoltre, il momento valutativo degli enti locali, in relazione alla sfera di attribuzioni sul controllo del territorio, è mantenuto distinto dagli accertamenti sulla compatibilità dell’impianto quanto ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione ed agli obiettivi di qualità, che è riservato, in via preventiva, all’ organismo competente i sensi dell’art. 14 della legge n. 36/2001.
Il Consiglio di Stato ha, altresì, evidenziato come l’art. 87, commi 6 e 7, preveda l’istituto della conferenza di servizi in caso di motivato dissenso espresso da un’Amministrazione interessata. Tenuto conto che l’approvazione intervenuta all’esito della conferenza “sostituisce ad ogni effetto gli atti di competenza delle singole Amministrazioni e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori”, si appalesa ulteriormente l’unicità del procedimento disciplinato dalla disposizione richiamata.
Infine, il comma 10 dell’art. 87 del codice delle comunicazioni prevede che “le opere debbono essere realizzate, a pena di decadenza, nel termine perentorio di dodici mesi dalla ricezione del provvedimento autorizzatorio espresso, ovvero dalla formazione del silenzio-assenso” e, quindi, sarebbe illogico e contraddittorio non ritenere che è l’autorizzazione (o la d.i.a.) disciplinata dal codice delle comunicazioni elettroniche costituisca il titolo necessario e sufficiente per la realizzazione di una stazione radio base, in quanto se così non fosse si potrebbe arrivare all’assurdo che una volta ottenuto il permesso di costruire potrebbe non essere più possibile realizzare l’intervento perché magari sono già trascorsi i 12 mesi dall’autorizzazione ex d.lgs. n. 259/03.
I Tribunali amministrativi hanno, invece, argomentato la medesima soluzione interpretativa in base al principio generale secondo cui “lex specialis derogat generali”, evidenziando la prevalenza delle disposizioni del Codice delle comunicazioni elettroniche sul T.U. dell’edilizia (o comunque delle analoghe discipline applicabili) e la necessità del solo titolo autorizzatorio (espresso o tacito) ex art. 87 d.lgs. n. 259/03 per l’installazione delle infrastrutture di rete (a titolo esemplificativo vedasi Tar Lazio, ord. 20 maggio 2004, n. 2794, Tar Sicilia, Catania, II, 30 dicembre 2004, n. 4066, Tar Sicila, Catania, II, 21 aprile 2006, n. 614, Tar Sicilia, Palermo, III, 17 marzo 2006, n. 583, Tar Toscana, I, 26 luglio 2006, n. 3236).
Ha affermato, in particolare, il Tar Campania, Napoli, che per tali opere “non è affatto necessario il permesso di costruire, dovendosi applicare, per il principio di specialità, le norme di cui al D. L.vo n. 259/03, che non prevedono affatto tale titolo edilizio” (sentenza 5 aprile 2004, n. 4043).
Analogamente, secondo il Tar Lombardia, Milano, “l’istanza volta ad ottenere un’autorizzazione per l’installazione di una stazione radio base è soggetta alla disciplina del Codice delle comunicazioni elettroniche … che non subordina la realizzazione e l’esercizio dell’impianto al conseguimento di titoli diversi da quello ivi indicato (autorizzazione espressa o tacita)” (ord. n. 1353 del 19.5.2004).
Così anche i giudici amministrativi pugliesi, i quali, nella sentenza n. 3217 dell’8.7.2004, hanno ritenuto che “la disciplina dettata dal d. lgv. 259/2003 …costituisce normativa speciale e compiuta che, pertanto, prevale sulla disciplina generale dettata dal T.U. dell’Edilizia … (quella del Codice delle comunicazioni elettroniche) è disciplina posteriore rispetto al T.U. dell’Edilizia, sicché … abroga la disciplina previgente incompatibile … la compiutezza della disciplina di cui al d. lgs. 259/2003 fa ritenere che i titoli abilitativi da esso previsti … sono provvedimenti del tutto autonomi che assolvono integralmente le esigenze proprie delle telecomunicazioni e le esigenze territoriali affidate alla cura del Comune. Tanto è desumibile dalla singolarità del procedimento …, dalla qualificazione di opere di urbanizzazione primaria, nonché dalla necessità … di semplificare l’attività edilizia relativa alle infrastrutture di comunicazione elettronica”.
Un ultimo approfondimento merita l’assimilazione normativa di detti impianti alla opere di urbanizzazione primaria: ciò consente, in assenza di diversa previsione urbanistica di collocare detti impianti sull’intero territorio comunale[19],essendo gli stessi, in tal guisa compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica. Questo importante principio è stato, da ultimo, ribadito in una recente pronuncia del Consiglio di Stato del 4 settembre 2006, con la quale è stato chiarito, altresì, che una stazione radiobase costituisce un impianto di comunicazione elettronica, che non può essere assimilato – ai fini della localizzazione sul territorio – alla generalità degli impianti tecnologici, escludendosi, pertanto, la correlativa preclusione di installazione in quelle zone in cui gli strumenti urbanistici vietano gli insediamenti degli impianti tecnologici.
4. CONCLUSIONI
Venendo a qualche riflessione sul percorso legislativo e giurisprudenziale sopra evidenziato, si può ritenere che, sotto il profilo strettamente giuridico, l’introduzione della legge quadro e successivamente della normativa di settore abbia fugato la quasi totalità dei dubbi interpretativi riscontrati nella fase primigenia di sviluppo della telefonia mobile. Peraltro, la progressiva definizione di un quadro normativo compiuto ha determinato anche il consolidarsi degli orientamenti dei giudici amministrativi, i quali, dopo le iniziali oscillazioni, si sono assestati su posizioni interpretative pressocchè unanimi. Tutto ciò dovrebbe determinare una contrazione del fittissimo contenzioso sviluppatosi sull’argomento nell’ultimo decennio.
Restano, tuttavia, vivi tra la popolazione i timori per le conseguenze che gli impianti de quibus possono comportare sulla salute umana, forse anche a causa di una basica carenza di informazione, che dovrebbe spronare gli amministratori ad adottare responsabilmente provvedimenti legittimi, al contempo rassicurando la cittadinanza che gli impianti in questione, oltre ad essere conformi alle previsioni urbanistiche, non determinano alcun superamento dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati nel nostro ordinamento.
Le diffuse preoccupazioni sono anche dovute alla mancanza di certezze scientifiche acquisite in ordine alle conseguenze che l’esposizione alle onde elettromagnetiche determina sull’organismo umano, soprattutto nel medio e lungo periodo, anche alla luce del fatto che i campi elettrici e magnetici, per loro stesse caratteristiche, non danno alcuna percezione sensoriale a chi ne è investito. Sicchè, da una lettura degli studi medico-scientifici sull’argomento, non si riscontrano tuttora posizioni univoche circa i possibili effetti dei campi elettromagnetici sull’uomo.
D’altra parte, autorevoli gruppi di esperti e organizzazioni internazionali, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, stendono periodici rapporti sulla base dei risultati e della revisione di studi precedenti , fornendo linee guida internazionali sui limiti di esposizione e norme di comportamento. Si riporta di seguito una sintesi delle conclusioni più recenti:
"Nessuna delle recenti revisioni della letteratura ha concluso che l’esposizione a campi a radiofrequenze originati dai telefoni cellulari o dalle stazioni radio base causi qualche conseguenza avversa sulla salute. Sono comunque state identificate alcune lacune nelle conoscenze che richiedono ulteriori ricerche per giungere a una migliore valutazione dei rischi. Occorreranno 3-4 anni perchè le necessario ricerche siano completate e valutate, e perchè vengano pubblicati i risultati finali per tutti i rischi sanitari. "( OMS, giugno 2000, confermato il 10/10/2001)
Si è trattato, pertanto, a livello legislativo, di dirimere un conflitto di interessi storicamente ricorrente, che contrappone, da un lato, l’aspirazione ed il desiderio di disporre degli strumenti tecnologicamente più avanzati, divenuti essenziali per essere competitivi nella società del progresso e, dall’altro lato, la paura di dover subire sulla propria pelle gli effetti di rischi sottovalutati o, comunque, non sufficientemente conosciuti.
E’ certo che nessun interesse di natura economica dovrebbe prevalere sull’esigenza primaria di salvaguardare le migliori condizioni della salute e del benessere.
A questo punto, al giurista non resta che interrogarsi sulla bontà delle scelte effettuate dal legislatore nel bilanciamento degli interessi coinvolti: il sistema normativo vigente evidenzia una scelta di favor verso gli operatori del settore, che emerge chiaramente dalla prospettiva liberalizzatrice del codice delle telecomunicazioni, laddove l’obiettivo di una capillare distribuzione della rete assurge a preminente interesse generale e nazionale, anche alla luce di precisi impegni assunti a livello europeo.
E’ d’uopo, comunque, evidenziare che in Italia i limiti di esposizione per la protezione della popolazione, come regolamentati ex legge 36/01 e DPCM dell’8/7/03, a differenza che in altri paesi, si basano sulle linee guida intemazionali, e risultano essere fra i più bassi nel mondo, prevedendo valori limite di esposizione di 6 V/m per gli edifici, le loro pertinenze ed in genere per tutte le aree intensamente frequentate.
In definitiva, la determinazione, da parte del legislatore nazionale, dei valori-soglia su livelli ben al di sotto di quelli ritenuti nocivi in base ai dati scientificamente conosciuti; l’affermazione del c.d. principio di precauzione; le verifiche del rispetto dei predetti limiti di esposizione da parte delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente previste in fase di rilascio del titolo abilitativo; un monitoraggio costante dei livelli di inquinamento elettromagnetico da parte delle amministrazioni comunali e provinciali, che all’uopo possono avvalersi della collaborazione e delle strutture dell’Arpa, sono alcuni degli strumenti di garanzia apprestati dall’ordinamento per la tutela della salute e dell’ambiente in riferimento agli impianti di telefonia mobile.
Un punto di equilibrio accettabile tra i beni coinvolti?
Avv. Innocenza Battaglia
Segretario Comunale e Direttore Generale del Comune di Santa Maria di Licodia (Ct)
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