Importanza della valutazione delle risultanze della CTU: prevalenza dell’interesse del minore a non recidere il legame con la famiglia d’origine, in caso di ridotte capacità genitoriali?

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NOTA A SENTENZA: Cass. civ., sez. I, 13 febbraio 2020, n. 3643, Pres. Giancola, Rel. Acierno.

 

Sommario: 1. Premessa. I fatti di causa. – 2. La decisione.

Premessa. I fatti di causa.

La decisione che si annota affronta la problematica della valutazione – sulla base delle risultanze della CTU – circa la prevalenza dell’interesse del minore a mantenere e non recidere il legame con i genitori biologici rispetto ad un quadro di ridotte capacità genitoriali.

Nella specie, la Corte d’appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, ha dichiarato lo stato di adottabilità di tre minori, nate in Italia.

Contro tale pronuncia, proponeva appello la madre naturale delle minori, lamentando che lo stato di abbandono contestatole, non corrispondeva al vero, dal momento che queste non erano mai state private del necessario. La appellante versava nella condizione di migrante ed era vittima di tratta, e nonostante ciò svolgeva regolare attività lavorativa ed era in possesso del permesso di soggiorno.

La donna chiedeva – pertanto – l’annullamento della dichiarazione di adottabilità delle figlie minori, con conseguente adozione, al più, di provvedimenti meno invasivi, quali l’affido temporaneo ovvero l’adozione “mite” che garantiva la conservazione del rapporto con le figlie.

La Corte d’appello disponeva la audizione della appellante e una nuova consulenza tecnica d’ufficio da cui è emersa da un lato, l’incompatibilità del quadro psicopatologico della donna con le esigenze evolutive delle minori, e dall’altro il legame solido che intercorreva tra la madre e le minori.

Nonostante dalla CTU sia emerso tale legame viscerale che unisce la madre alle figlie, la Corte d’appello ha ritenuto prevalente l’interesse delle minori a vivere in una famiglia stabile, con conseguente dichiarazione dello stato di adottabilità delle stesse. Il quadro clinico della madre naturale, l’inconsapevolezza della propria situazione medica e il rifiuto degli strumenti assistenziali, ha portato i giudici a ritenere sussistente lo stato di abbandono delle minori, escludendo altresì in radice la possibilità di recupero della figura materna.

La madre delle minori proponeva ricorso per Cassazione avverso tale pronuncia, lamentando l’illegittimità dell’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui “non esiste e non può essere desunta dall’ordinamento l’adozione mite”. Nella sentenza impugnata, invero, i giudici della Corte d’appello, avevano evidenziato che le ipotesi di adozione nei casi particolari – ai sensi dell’art. 44 l. n. 184/1983 – siano tassative e in ragione di ciò non sia possibile, per l’autorità giudiziaria, individuare nuove fattispecie riconducibili alla adozione de qua.

La ricorrente asseriva che nel caso di specie l’art. 44 potesse essere interpretato in maniera estensiva, mediante una lettura coordinata dell’art. 7 della legge sulle adozioni.

Tale interpretazione sarebbe favorita dalla giurisprudenza della Corte EDU, la quale ha condannato l’Italia in maniera reiterata, per la violazione dell’art. 8 CEDU, ogni volta in cui l’adottabilità sia dichiarata fuori dai casi eccezionali nei quali i genitori si siano caratterizzati per comportamenti particolarmente gravi (abusi – maltrattamenti).

La Corte EDU, invero, ha più volte[1] affermato che spetta agli Stati Membri dotarsi di strumenti giuridici adeguati ad assicurare il rispetto degli obblighi imposti dall’art. 8 CEDU, il quale statuisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, da cui deriva il diritto per i genitori di ottenere misure idonee a riunirlo col figlio e l’obbligo per le autorità nazionali di adottarle.

In conclusione, la appellante lamentava la violazione dell’art. 44 l. n. 184/1983, poiché non era stato ritenuto applicabile nella sua interpretazione estensiva anche alla luce del fatto che dalla CTU era emersa l’esigenza di conservazione del legame delle minori con la famiglia d’origine.

Inoltre, veniva eccepita “l’illegittimità costituzionale dell’art. 44 comma 1, lett. d), per violazione degli artt. 3 e 30 della Costituzione, nonché dell’art. 117 Cost. in combinato disposto con l’art. 8 CEDU e l’art. 10, comma 1 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, nella parte in cui non prevede la possibilità in tutti i casi di semi abbandono[2] permanente di ricorrere all’adozione in casi particolari”.[3]

In ordine ai motivi di diritto i giudici, concordando con le conclusioni della Corte d’appello, hanno sostenuto l’impossibilità per la ricorrente di conservare una relazione con le figlie, asserendo che la condizione di abbandono – art. 7 l. n. 184/1983 – si verifica allorquando il minore venga privato della assistenza morale e materiale.

La principale conseguenza giuridica della dichiarazione di adottabilità consiste nella sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale e nella nomina definitiva del tutore”.[4]

Nella specie, chiarisce il Collegio, il minore di cui sia stato dichiarato lo stato di adottabilità versa nella condizione giuridica di poter essere posto in affidamento preadottivo[5].

Sebbene l’affidamento non determini la recisione dei rapporti con la famiglia d’origine, questo comporta senza dubbio la cessazione degli stessi, costituendo una modalità di attuazione del rapporto tra adottante e adottando.

La recisione dei rapporti del minore con la famiglia biologica, invero, si verifica solo a seguito dell’adozione (art. 27, comma 3), in ragione dell’acquisizione da parte del minore di un nuovo status filiale.

Tuttavia, è necessario tener conto delle “linee guida” offerte dalla Corte EDU in ordine al regime giuridico interno, volto a disciplinare i modelli di adozione.

In particolare, la Corte EDU “invita” alla sperimentazione di modelli di adozione diversi da quella piena e legittimante, quando non sia in linea con l’interesse del minore procedere con la recisione definitiva delle relazioni affettive con la famiglia d’origine.

La giurisprudenza sovranazionale, oltre ad evidenziare che le autorità degli Stati membri debbono adottare tutte le misure idonee al permettere al minore di vivere, crescere ed essere educato all’interno della famiglia di origine, afferma espressamente che è necessario preservare il legame tra il minore e i genitori biologici anche nei casi in cui sussista una parziale compromissione della idoneità genitoriale. Tuttavia, è necessario che tale parziale inidoneità non comporti una situazione di abbandono morale e materiale che possa pregiudicare il diritto del minore a crescere in una famiglia stabile.

In particolare, la Corte EDU, nella pronuncia Zhou c. Italia[6], ha posto l’accento sulla necessità per l’ordinamento legislativo italiano di individuare strumenti assimilabili alla adozione “mite”, visto che la giurisprudenza di merito – il Tribunale per i minorenni – ha aperto un varco per un’interpretazione estensiva delle ipotesi di adozione in casi particolari.

Nella specie, si è ritenuto che “non siano state esplorate tutte le alternative compatibili con il sistema legislativo interno in tema di modelli adottivi[7], per garantire al minore e alla famiglia d’origine di non recidere irreversibilmente i rapporti.

La decisione

Alla luce del quadro normativo in vigore nell’ordinamento italiano, i giudici hanno ritenuto di dover valutare l’affermazione della Corte d’appello secondo cui, in un giudizio rivolto alla dichiarazione di adottabilità, non è possibile tenere conto delle indicazioni provenienti da una CTU, in ordine alla esigenza di conservare o ripristinare la frequentazione delle minori con la madre biologica.

La Corte ha sostenuto che i giudici della Corte d’appello non abbiano applicato correttamente il principio secondo cui il minore ha il diritto a vedere conservato il proprio nucleo familiare d’origine. Invero, l’adozione legittimante deve essere intesa quale ultima ratio a cui si deve pervenire solo quando vi sia una impossibilità oggettiva per il minore di conservare una relazione con i genitori biologici, in ragione della condizione di abbandono morale e materiale.

La Cassazione asserisce che il perdurare del legame con la famiglia d’origine costituisca un vero e proprio pregiudizio per il minore, il quale verrebbe privato dei mezzi per la formazione della sua personalità, sia come singolo sia nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.).

Secondo i giudici, la Corte d’appello avrebbe dovuto tenere in considerazione le risultanze emerse dalla CTU, relative alla conservazione del profondo legame che intercorreva tra le minori e la madre. Invece, nel bilanciamento d’interessi ha ritenuto che la prosecuzione del legame ostasse alla crescita delle minori, con conseguente dichiarazione dello stato di adottabilità.

Ha ritenuto di non poter verificare se vi fossero modelli di adozione che non comportassero la recisione dei legami coi genitori biologici.

La suprema Corte ha ritenuto che la conclusione a cui è pervenuta la Corte d’appello sia corretta solo in parte.

A tenore di quanto sostenuto dai giudici, è doveroso l’accertamento positivo o negativo dello stato di abbandono del minore.

Il Tribunale di primo grado e la Corte d’appello non possono fare applicazione estensiva della disciplina afferente all’acquisto dello status genitoriale di cui alla l. 184/1983. L’applicazione estensiva richiederebbe invero un procedimento ad hoc che ha ad oggetto un accertamento di fatto incentrato sulla idoneità degli adottanti ad assumere tale status.

Il procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità è finalizzato a creare le condizioni per la pronuncia di adozione piena che impone la recisione di ogni legame con il nucleo familiare di origine. La necessaria recisione di tale legame comporta un accertamento accurato – da parte del giudice – in ordine alla condizione di abbandono morale e materiale del minore. Ne consegue che non può non tenersi conto delle risultanze istruttorie emerse dalla CTU, dalla quale è emersa l’esigenza di conservazione del rapporto tra il genitore biologico e i figli minori.

L’indagine posta alla base della dichiarazione di adottabilità richiede un giudizio di bilanciamento volto a valutare tutti gli elementi utili ad individuare e definire i confini dell’interesse del minore e la necessità di procedere con la dichiarazione dello stato di adottabilità. La Corte ha ritenuto che nel caso di specie tale valutazione sia mancata del tutto. Invero, la Corte d’appello avrebbe dovuto accertare se l’interesse delle minori a crescere con la madre biologica fosse prevalente rispetto al quadro deficitario delle capacità genitoriali della madre.

La predetta valutazione non doveva essere omessa per il solo fatto che l’oggetto del giudizio non riguardasse l’attuazione di altri modelli adottivi.

Le risultanze della CTU avrebbero dovuto portare ad un esito differente del giudizio, ancorché con la evidenziazione di tutte le criticità del caso concreto.

La verifica in concreto dei margini di conformazione della situazione delle minori ai modelli di filiazione adottiva di cui all’art. 44 della legge sull’adozione, potrà trovare applicazione solo a fronte dell’accertamento dello stato di abbandono.

Pertanto, esula dal giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di adottabilità la determinazione relativa alla pronuncia di adozione piena o in casi particolari. Al contrario, costituisce uno dei fondamenti dell’accertamento relativo alla dichiarazione di adottabilità, la corrispondenza all’interesse delle minori a conservare il legame con la madre.

Al riguardo la CTU ha affermato che vi fosse la necessità di non interrompere il legame tra le minori e la madre, ma per contro era auspicabile che la ricorrente – a fronte di un percorso psicoterapeutico – le avrebbe consentito di mantenere un ruolo del tutto positivo con le figlie, seppure inserite in contesti familiari. Invero, a tenore di quanto sostenuto nella CTU, la continuità del legame con la madre avrebbe potuto fornire un indispensabile apporto – visto il rispecchiamento culturale – alla creazione dell’identità delle minori che verosimilmente si rispecchiano nella madre.

Contrariamente da quanto sostenuto dalla Corte d’appello, i giudici della Cassazione hanno ritenuto che le predette valutazioni tecniche non dovessero essere considerate estranee al giudizio, ma costituissero piuttosto parte integrante dello stesso e nella specie dell’accertamento relativo alla sussistenza della condizione di abbandono, non essendo esclusa la possibilità di procedere ad una forma di adozione, diversa da quella legittimante che sia compatibile con la conservazione del rapporto tra la madre e i minori.

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, la Cassazione, cassando con rinvio la pronuncia della Corte d’appello, ha elaborato il seguente principio di diritto: nel procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità è necessaria un’indagine completa – anche mediante una valutazione tecnica – sulla condizione di abbandono morale e materiale in cui versa il minore e dunque della conseguente capacità o incapacità genitoriale dei genitori biologici. La valutazione deve essere volta ad accertare – mediante un giudizio di bilanciamento – se l’interesse del minore a non recidere il legame coi genitori biologici sia prevalente rispetto al quadro deficitario delle capacità genitoriali.

La conservazione di tale rapporto – invero – non risulta essere incompatibile con le forme di adozione di cui all’art. 44 della l. n. 184/1983.

In conclusione, la Corte di cassazione ha ritenuto violato l’art. 44 della l. n. 184/1983, poiché la Corte d’appello non lo ha ritenuto applicabile nella sua interpretazione estensiva, in ragione della mancata considerazione del parere fornito dalla CTU in ordine alla necessità di conservare legami con la famiglia d’origine.

 

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 Note

[1] C. Eur. Dir. Uomo, 21 gennaio 2014, ricorso n. 33773/2011, C – Zhou c. Italia e C. Eur. Dir. Uomo, 13 ottobre 2015, ricorso n. 52557/14, C – S.H. c. Italia.

[2] La situazione di semi abbandono si verifica quando la famiglia o il genitore non sia sufficientemente in grado di occuparsi della propria prole, ma allo stesso tempo svolga un ruolo attivo e abbia un impatto positivo e sebbene non vi siano ragionevoli probabilità di miglioramento, non è possibile procedere all’affido temporaneo.

[3] Cass. civ., sez. I, 13 febbraio 2020, n. 3643.

[4] Cass. civ., sez. I, 13 febbraio 2020, n. 3643

[5] L’affidamento preadottivo ha lo scopo di valutare, nell’interesse del minore, l’attitudine dei genitori richiedenti ad educare, istruire, e mantenere l’adottando. Può essere qualificata come una adozione temporanea e sperimentale che mira ad accertare se la famiglia adottante possa avere i requisiti necessari a garantire all’adottando di vivere in una famiglia stabile. Nella specie, questo costituisce un passaggio intermedio e obbligatorio che – in caso di esito positivo – darà luogo alla adozione.

[6] C. Eur. Dir. Uomo, 21 gennaio 2014, ricorso n. 33773/2011, C – Zhou c. Italia.

[7] Cass. civ., sez. I, 13 febbraio 2020, n. 3643

 

Elisabetta Sini Spanu

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