Nelle locazioni di immobili destinati ad uso diverso dall’abitazione non è lecita la clausola che stabilisce il pagamento di un importo non giustificato dal sinallagma contrattuale.
riferimenti normativi: art. art. 79 l. 392/78
precedenti giurisprudenziali: Trib. Monza, Sentenza del 20/05/1993
1. La vicenda
Una società stipulava un contratto di locazione per un immobile commerciale, contratto che conteneva una clausola secondo cui la conduttrice si impegnava al versamento di un indennizzo di 50 mila euro in aggiunta al canone, come contributo per la consegna del bene libero da vincoli di occupazione di terzi e fee di ingresso. Successivamente la stessa società, con ricorso ex art. 447-bis c.p.c., si rivolgeva al Tribunale chiedendo, previo accertamento della nullità per assenza di causa della sopra detta clausola del contratto, la condanna del locatore alla restituzione in proprio favore dell’importo già versato (di 42.700,00 euro), nonché una riduzione del canone di locazione in ragione dell’emergenza dovuta alla pandemia di Covid-19. Secondo il Tribunale – che dava ragione alla conduttrice – la “consegna dell’immobile libero da vincoli di occupazione di terzi” si doveva considerare un’obbligazione già ricompresa in quelle dettate a carico del locatore ex art. 1575 c. 1 n. 3 c.c. ed ex art. 1585 c. 1 c.c., con la conseguenza che essa non poteva ritenersi causa sottesa all’obbligo del versamento dell’ulteriore corrispettivo indicato nella clausola in contestazione. Il locatore, però, proponeva appello insistendo sulla validità giuridica della clausola contestata. In particolare sosteneva che le ragioni economiche giustificative di tale corrispettivo erano da individuarsi nella fornitura dell’arredamento e locali in perfetto ordine per poter esercitare l’attività commerciale di vendita pubblico con immediatezza e senza ulteriori costi aggiuntivi. In ogni caso sottolineava, tra l’altro, la riconducibilità del fee di ingresso alla volontà negoziale delle parti formatasi al momento della conclusione per iscritto del contratto di locazione commerciale registrato.
2. La questione
In un contratto di locazione ad uso diverso può essere considerata legittima una clausola che prevede, in aggiunta al canone di locazione, il versamento di un indennizzo di Euro. 50.000,00 oltre iva quale contributo per la consegna dell’immobile libero da vincoli di occupazione di terzi, nonché quale fee di ingresso nel bene locato?
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3. La soluzione
La Corte di Appello ha condiviso pienamente le ragioni espresse dal Tribunale. Anche i giudici di secondo grado hanno sottolineato che dalle allegazioni di parte attrice non è emersa la funzione economico-sociale sottesa al versamento di cui alla detta clausola, pattuizione volta a mascherare una maggiorazione del canone e, in quanto tale, insanabilmente nulla. Secondo la Corte tale conclusione non è certo scalfita dall’argomentazione di parte appellante secondo cui la previsione di questo importo aggiuntivo rispetto al canone sarebbe legittimo in quanto frutto dell’autonomia contrattuale delle parti espressa al momento della conclusione del contratto scritto e registrato. In ogni caso, ad avviso della stessa Corte, il locatore non ha neppure provato che la predisposizione dei locali era stata richiesta dalla conduttrice o realizzata specificatamente per consentirne l’immediata operatività sul mercato.
4. Le riflessioni conclusive
È nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge.
Il conduttore con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell’immobile locato, può ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge (art. 79, l. 392/78). La L. 9.12.1998, n. 431 ha abrogato l’articolo 79, l. 392/78 con riferimento alle locazioni abitative ma resta tutt’ora applicabile a quelle non abitative.
Di conseguenza nell’ambito delle locazioni commerciali il comportamento delle parti diretto ad eludere l’applicazione di norme imperative di legge, allo scopo di conseguire somme non dovute (nella specie, il pagamento di un canone superiore a quello esigibile ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392) vale di per sé a superare la presunzione di buona fede dell’”accipiens”, agli effetti della restituzione dell’indebito, ove si concretizzi in atti che inequivocabilmente dimostrino la consapevolezza dell’esistenza della norma imperativa ed il deliberato intento di eluderne gli effetti (Cass. civ., Sez. Un., 09/10/2017, n. 23601). La L. 27 luglio 1978, n. 392, quindi, consente ai contraenti la libera determinazione del canone iniziale, ma vieta al locatore di pretendere il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di “buona entrata”, trattandosi di voci prive di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale in quanto dirette ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni in materia (Cass. civ., sez. III, 16/10/2008 n. 25274).
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