Si acuisce il divario tra le diverse correnti giurisprudenziali in relazione ai pregiudizi, esclusivamente economici, derivanti dal mancato godimento dell’immobile per colpa altrui.
Oramai da diverso tempo, infatti, si contrappongono due correnti di pensiero, la prima, quella condivisa dalla giurisprudenza maggioritaria, per cui pur non essendo necessaria una prova rigorosa del danno subito, questo risulta quantificabile in via equitativa sulla scorta di presunzioni gravi, precise e concordanti, alla quale si contrappone la diversa tesi, attualmente minoritaria, per cui il danno sarebbe connaturato al fatto e, pertanto, non sarebbe richiesta alcuna prova. In altri termini il danno sarebbe <<in re ipsa>>, letteralmente <<in se stesso>>, e ciò sulla scorta del fatto che in simili casi verrebbe meno la naturale funzione del bene e, conseguentemente, il suo godimento.
Un altro punto a favore, di recente, è stato annotato alla scuola di pensiero maggioritaria che si avvale ora, anche dell’autorevole decisione della II sezione civile della Corte di Cassazione, pubblicata in data 25 maggio 2016.
In disparte le ulteriori problematiche connesse al giudizio sottoposto al vaglio del Giudice di legittimità, nel caso concreto, in primo grado veniva riconosciuta la responsabilità del condominio e, per esso, della ditta incaricata all’esecuzione dei lavori – chiamata in garanzia -, per l’erroneo rifacimento del pavimento del terrazzo e della copertura del piano attico dello stabile in condominio, circostanza che aveva provocato dell’infiltrazioni d’acqua nell’appartamento sottostante che, conseguentemente, non si era potuto locare.
Nel successivo giudizio d’appello, ferma restando le responsabilità già evidenziate in primo grado, la Corte d’Appello di Catanzaro riformava la sentenza nella parte in cui accordava agli attori il chiesto risarcimento del danno, ritenendolo non provato o, meglio, non quantificato.
La stessa, infatti, pur ritendo che il mancato godimento dell’immobile configuri un danno <<in re ipsa>> evidenzia, tuttavia, come parte attrice non avrebbe fornito alcun elemento per la sua determinazione, omettendo di indicare le caratteristiche dell’immobile e gli elementi indispensabili dal quale desumere il valore della locazione.
La Corte di Cassazione non condivide l’anzidetto ragionamento è cassa sul punto specifico la sentenza.
La stessa, premessa l’esistenza di due distinti orientamenti, evidenzia come: <<il pregiudizio da mancato godimento di un immobile, analogamente a quello derivante dall’occupazione abusiva, per il quale, ancorchè non voglia addivenirsi alla conclusione secondo cui trattasi di danno in re ipsa (in tal senso (Cass., 16 aprile 2013, n. 9137, m. 626051), in ogni caso trattasi di danno la cui valutazione è in definitiva rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti (Cass., 11 gennaio 2005, n. 378).
Continua affermando come appare certo che le infiltrazioni lamentate abbiano di fatto impedito il pieno godimento, <<anche mediato dell’immobile>>, non consentendo ai legittimi proprietari la locazione dello stesso, pertanto, <<il pregiudizio andava risarcito anche mediante il ricorso ad elementi di carattere presuntivo, tra i quali, difformemente da quanto sostenuto dai giudici di appello, potevano porsi anche quelli direttamente ricavabili dalla CTU espletata che, in ragione della descrizione effettuata da parte dell’ausiliare d’ufficio, poteva agevolmente permettere di individuare la tipologia e le caratteristiche funzionati e dimensionali del bene, sulla scorta delle quali poter poi procedere al calcolo, eventualmente a sua volta presuntivo, come riconosciuto anche dalla Corte distrettuale, del valore locativo>>.
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