Indice
riferimenti normativi: art. 1463 c.c.
precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. III, Sentenza del 12/02/2019, n. 3974
1. La vicenda
Un conduttore citava davanti al Tribunale il locatore per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dello sprofondamento di parte dell’immobile adibito ad uso commerciale condotto in locazione, causato dal cedimento del costone retrostante il fabbricato.
L’attore sottolineava che la convenuta, in violazione dei canoni di buona fede e correttezza, aveva omesso di evidenziare che l’immobile si trovava in grave stato di pericolo già prima della stipula del contratto di locazione e che il crollo del costone aveva determinato lo sprofondamento di una parte dell’immobile locato adibito a magazzino, con conseguente distruzione di tutta la merce depositata. L’accesso ai locali, ovviamente, veniva interdetto dalle autorità. Successivamente, il conduttore sospendeva il versamento dei canoni di locazione; il locatore allora chiedeva ed otteneva un decreto ingiuntivo per gli affitti arretrati, decreto ingiuntivo a cui il conduttore si opponeva. Il giudizio di opposizione si chiudeva con una sentenza che accertava la risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità della prestazione e che sanciva la revoca del decreto impugnato, mentre nulla, invece, era disposto in tema di risarcimento. Il conduttore avviava una diversa e ulteriore azione risarcitoria in cui chiedeva tutti i danni patiti nel crollo del suo magazzino. Il Tribunale, respinte le richieste istruttorie, dichiarava risolto il contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c. e condannava la convenuta al pagamento, in favore dell’attrice, di una somma a titolo di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, comprensiva di rivalutazione monetaria ed interessi legali maturati alla data di deposito della sentenza, nonché al rimborso delle spese di lite. La questione passava all’esame della Corte di Appello che annullava la sentenza del Tribunale. I giudici di secondo grado notavano, tra l’altro, che nella fattispecie era da escludersi la configurabilità di un comportamento in mala fede della locatrice nell’avere locato l’immobile, dato che lo stesso, al momento della stipula del contratto di locazione, appariva perfettamente idoneo all’uso concordato poiché non esistevano segni apparenti dell’imminente crollo del costone roccioso e del muro di contenimento posti sul retro dell’immobile, né poteva ritenersi che, all’atto della stipula del contratto di locazione, fosse prevedibile che in futuro, nel corso della durata del contratto di locazione, non sarebbe stato possibile utilizzare l’immobile locato. Il conduttore ricorreva in cassazione ribadendo che la locatrice l’aveva indotta in errore garantendo che l’immobile si trovava in ottime condizioni, pur essendo a conoscenza che l’immobile locato era affetto da vizi gravi che ne impedivano l’utilizzo. In ogni caso, convinto della grave responsabilità del locatore, pretendeva il risarcimento sia del danno emergente che del lucro cessante.
2. La questione
Quando si può parlare di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta?
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3. La soluzione
La Cassazione ha dato torto alla ricorrente. Come giustamente hanno notato i giudici supremi il conduttore non ha denunciato la violazione delle norme di diritto invocate, ma ha sollecitato la rivalutazione della quaestio facti mediante la reiterazione di deduzioni difensive già svolte e mediante il richiamo a circostanze di fatto già sottoposte all’esame dei giudici di merito e da questi già adeguatamente valutate.
4. Le riflessioni conclusive
Nel caso esaminato si è verificato lo sprofondamento di parte dell’immobile adibito ad uso commerciale condotto in locazione, causato dal cedimento del costone retrostante il fabbricato.
Tuttavia antecedentemente alla stipula del contratto di locazione si erano verificati soltanto fenomeni di colamento di detriti di terra, ma tali fenomeni si erano interrotti al limite delle gabbionate che sovrastavano il muro di sostegno posto dietro l’edificio dove si trovava l’immobile locato. Successivamente, come detto, l’immobile è stato distrutto. Ipotesi tipica di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione è proprio la distruzione del bene locato, la quale altera definitivamente il sinallagma contrattuale e fa quindi venir meno anche l’obbligo di manutenzione a carico del locatore (obbligo limitato alle riparazioni da effettuare sulla cosa, e non esteso invece alla ricostruzione totale o parziale della stessa). Tale ipotesi ricorre non solo quando il bene locato sia totalmente distrutto ma anche quando la rovina, pur essendo parziale, riguardi gli elementi principali e strutturali del bene in modo che, con riferimento alla sua organica individualità ed alla sua destinazione, ne sia pregiudicata definitivamente la funzionalità e l’attitudine a prestarsi al godimento previsto dalle parti con il contratto.
In caso di risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta, va esclusa l’applicabilità dell’art. 1591 c.c., non essendo configurabile il godimento, anche di mero fatto, dei beni già locati (sicché è da ritenersi non più dovuto il corrispettivo che, se corrisposto, determina un ingiustificato arricchimento da parte del (già) locatore) e neppure essendo configurabile la possibilità di una utilizzazione diretta o di un reimpiego da parte del locatore dei beni medesimi nel periodo tra la cessazione dei contratti e la loro effettiva riconsegna (Cass. civ., sez. III, 12/02/2019, n.3974).
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