Indice
riferimenti normativi: art. 96 c.p.c.
precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. I, Sentenza del 30/07/2010, n. 17902
1. La vicenda
L’assemblea di un condominio deliberava di ratificare le decisioni assunte in una precedente delibera del 2014. In particolare veniva confermata la volontà della collettività condominiale di intraprendere un’azione legale nei confronti di un condomino (che aveva arbitrariamente sottratto parti comuni), confermando l’incarico ai legali già nominati. Tale delibera veniva impugnata proprio dallo stesso condomino accusato di aver occupato parti comuni. Secondo l’attore la delibera era illegittima per l’errata convocazione di un condomino; per eccesso di potere dell’assemblea condominiale dovuto a ratifica del precedente deliberato e alla presunta inesistenza del condominio, del regolamento di condominio e delle tabelle millesimali applicate; per la nullità della nomina dell’amministratore per la mancata indicazione del compenso dello stesso; per l’annullabilità causata dalla mancata indicazione nel verbale del nominativo dei votanti e dei relativi voti (maggioranza per quorum e per teste). Il condominio si costituiva ed evidenziava l’infondatezza di tutti i motivi posti a fondamento dell’impugnazione proposta, richiedendo la condanna di parte attrice per lite temeraria ex articolo 96 c.p.c.
2. La questione
Colui che impugna la delibera senza motivi fondati può essere condannato al pagamento una somma commisurata al danno recato alla controparte?
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3. La soluzione
Il Tribunale ha dato pienamente ragione al condominio. Tutti i motivi di impugnazione infatti sono risultati privi di fondamento; così lo stesso giudice ha notato che la mancata comunicazione a taluno dei condomini dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale rappresenta un vizio procedimentale che comporta l’annullabilità della delibera condominiale. Tuttavia – come evidenzia il Tribunale – l’unico soggetto legittimato a domandare l’annullamento è il condomino pretermesso ex artt. 1441 e 1324 c.c. e non la generalità dei partecipanti al condominio. Inoltre il Tribunale ha notato che la delibera assunta nel 2014 (poi ratificata da quella impugnata) non risulta essere stata oggetto di impugnazione ex art 1137 c.c.; di conseguenza ha escluso che l’assemblea con la nuova delibera abbia voluto abusare del proprio potere aggirando gli effetti del deliberato. Infondata è risultata pure la censura relativa alla nomina dell’amministratore (che è avvenuta in modo del tutto regolare) e l’ulteriore doglianza riferita all’omessa e parziale indicazione nel verbale dei condomini votanti e delle relative maggioranze. Alla luce di quanto sopra il Tribunale ha ritenuto fondata la domanda ex art. 96 c.p.c. avanzata dal condominio. Infatti – ad avviso del Tribunale – le motivazioni poste a fondamento dell’impugnazione della delibera non sono risultate infondate in quanto basate su errori macroscopici nell’interpretazione di norme sostanziali e/o processuali ed in spregio al consolidato orientamento giurisprudenziale su alcune questioni pacificamente chiarite dalla stessa Corte di legittimità. Il convenuto è stato condannato al pagamento delle spese legali, nonché al pagamento a favore dall’attore dell’importo di 1.500,00 € ex art. 96, ultimo comma c.p.c. (oltre interessi legali dalla data di deposito della sentenza al soddisfo).
4. Le riflessioni conclusive
Ai sensi dell’articolo 96, comma 3, c.p.c., il giudice anche d’ufficio, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91 c.p.c., può altresì condannare la parte soccombente al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata. L’art. 96 c.p.c., 3 comma, presuppone, ai fini dell’accoglimento della domanda, la sussistenza di un duplice presupposto: uno oggettivo, dato dalla soccombenza totale e concreta della parte ovvero dalla sua integrale condanna alle spese di lite, ogni qual volta ciò sia dipeso da un abuso del processo quando il sistema di giustizia sia stato avviato o rallentato da una condotta abusiva o da una condotta apparentemente rientrante nella sfera di esercizio del diritto di difesa, ma in realtà priva di ragioni fondanti; uno soggettivo, rappresentato, secondo l’opinione maggioritaria, dalla mala fede o dalla colpa grave in capo alla parte soccombente nell’agire o resistere in giudizio (Cass. civ., Sez. VI, 09/12/2019, n. 32090). Nel caso di specie, il giudice ha riscontrato la violazione del grado minimo di diligenza nel comportamento tenuto dall’attore. Tale comportamento – come giustamente ha notato il Tribunale – porta a considerare integrata l’ipotesi dell’impiego pretestuoso e strumentale del diritto di azione, come ha prospettato il condominio, ex se causativo di danno non patrimoniale, consistente nell’aver subito un’iniziativa del tutto ingiustificata dell’avversario, alla stessa stregua del danno oggettivo per la durata irragionevole del processo contemplato dalla legge 24.3.2001 n. 89 (c.d. legge Pinto).
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