Con ordinanza interlocutoria n. 26946 del 22 ottobre 2019, la Prima Sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, ha rimesso al Primo Presidente, ai fini dell’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione relativa assoggettamento degli interessi di mora alla disciplina antiusura e, sopratutto, l’applicazione dalla maggiorazione di 2,1 punti percentuali nel calcolo del TEGM in riferimento al tasso di mora. Più precisamente nella predetta ordinanza si legge:
se alla stregua del tenore letterale degli artt. 644 c.p. e 2 coma 1 della legge n. 108/1996, nonché dalle indicazioni emergenti dai lavori preparatori di quest’ultima legge,[…] il principio di simmetria consenta […] di escludere l’assoggettamento degli interessi di mora alla disciplina antiusura, in quanto non costituenti oggetto di rilevazione ai fini della determinazione del TEGM; e se, in caso contrario, ai fini della verifica in ordine al carattere usurario degli interessi, sia sufficiente la comparazione con il tasso soglia determinato in base alla rilevazione del TEGM di cui al comma primo citato art. 2 cit., o se, viceversa, la mera rilevazione del relativo tasso medio […] imponga di verificarne l’avvenuto superamento nel caso concreto e con quali modalità debba aver luogo tale riscontro”.
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Tralasciando, in questa sede, l’approfondimento della prima questione posta al vaglio delle Sezioni Unite, anche perché, almeno i giudici di legittimità non hanno mai dubitato dell’applicabilità del “tasso soglia” anche agli interessi di mora ( Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 15-01-2019) 17-10-2019, n. 26286;Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5598 del 06/03/2017, Rv. 643977; Sez. 3, Sentenza n. 9532 del 22/04/2010, Rv. 612455; Sez. 3, Sentenza n. 5324 del 04/04/2003, Rv. 561894; Sez. 1, Sentenza n. 5286 del 22/04/2000, Rv. 535967;), ci si sofferma sulla seconda ed in particolare sul contrasto giurisprudenziale riguardante l’aumento del TEGM al fini del calcolo dell’usurarietà degli interessi di mora.
Sul punto si sono succedute due diverse pronunce dal contenuto opposto. Invero la Cass. Del 30/10/2018 n. 27422 ha enunciato il seguente principio di diritto: “il riscontro dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 I. 108/96, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia ”.
Dunque, la Suprema Corte, per la citata decisione, ai fini del tasso soglia deve considerarsi esclusivamente il TEGM pubblicato nei Decreti Ministeriali pro tempore vigenti, incrementato degli ordinari coefficienti, senza fare luogo ad alcuna maggiorazione. Ciò ancorché un’indagine statistica a fini conoscitivi condotta dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano Cambi, nel lontano 2002, abbia rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni (non con riguardo ad operazioni omogenee) facenti capo al campione di intermediari considerato (quali e quanti intermediari?), la maggiorazione stabilita contrattualmente (quindi non la maggiorazione “praticata” come richiede l’art. 2 della L. 108/1996 ) per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali .
In data 17/10/2019 la stessa sezione della Corte Monofillatica, con sentenza n. 26286, sul punto oggetto di disamina, affermava il seguente principio di diritto “ Non è di ostacolo (all’applicazione del principio per cui gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all’applicazione della normativa antiusura, con la conseguenza che, laddove la loro misura oltrepassi il c.d. “tasso soglia” previsto dall’art. 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, si configura la cosiddetta usura c. d. “oggettiva” che determina la nullità della clausola ai sensi dell’art. 1815, secondo comma, cod. civ.”) la circostanza che le istruzioni della Banca d’Italia non prevedano l’inclusione degli interessi di mora nella rilevazione del T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio), che costituisce la base sulla quale determinare il “tasso soglia”. Infatti, poiché la Banca d’Italia provvede comunque alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora (solitamente costituiti da alcuni punti percentuali da aggiungere al tasso corrispettivo), è possibile individuare il “tasso soglia di mora” del semestre di riferimento, applicando a tale valore la maggiorazione prevista dall’art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996. Tuttavia, resta fermo che, dovendosi procedere ad una valutazione unitaria del saggio di interessi concretamente applicato – senza poter più distinguere, una volta che il cliente è stato costituito in mora, la “parte” corrispettiva da quella moratoria -, al fine di stabilire la misura oltre la quale si configura l’usura oggettiva, il “tasso soglia di mora” deve essere sommato al “tasso soglia” ordinario (analogamente a quanto previsto dalla sentenza delle Sezioni unite n. 16303 del 2018, in tema di commissione di massimo scoperto)”.
Quindi, la Cassazione ha sancito in maniera netta che per individuare la soglia usuraria degli interessi di mora : al “tasso soglia” ordinario”( che si determina, secondo la previsione originaria di cui alla legge 108/96, aumentando il TEGM (il tasso effettivo globale medio ) pubblicato dai decreti ministeriali di riferimento del 50% e, secondo la previsione attuale (in virtù del decreto legge del 13 maggio 2011, n. 70) aumentandolo del 25%, con un ulteriore margine aggiuntivo di 4 punti percentuali.) deve essere sommato “il “tasso soglia di mora” (che va determinato con lo stesso criterio, ma previo ulteriore aumento del 2,1/% del TEGM.) Secondo tale approccio si individua un tasso soglia diverso dal “tasso soglia di mora” e dal “tasso soglia ordinario” che è costituito dalla somma di queste due voci.
Ipotizzando, per un’apertura di credito in conto corrente, un TEGM del 10%, il tasso soglia ordinario, con la legge in vigore, sarà del 16,50% ( il 25% di 10 +4 punti), mentre il il tasso soglia di mora sarà pari al 19,103% (10% +2,1% = 12,1% +3,03 (25% di 12,01) +4 punti). Sommando i due tassi soglia, si ottiene la percentuale del 35,60%. Se il costo effettivo del finanziamento supera il 35,60%, il rapporto è usurario, altrimenti no.
L’interpretazione della normativa da parte della Suprema Corte, nel ritenere legittimo un costo del denaro pari al 35,60% o anche del 19,03% non sembra corrispondere alla ratio della disciplina dell’usura che è quello di tutelare gli utenti meno abbienti, più esposti all’inadempimento, nonché quella di tutelare il mercato creditizio.
La tesi proposta non convince sotto diversi punti di vista, che si vogliono qui riportare attraverso un excursus che vuole rappresentare una disamina delle argomentazioni di diritto volte a meglio illustrare le problematiche sottese.
Disomogeneità degli interessi di mora rispetto alla CMS
Il ragionamento attraverso il quale la Corte giunge a quest’ultima determinazione prende le mosse da quanto previsto in tema di commissione di massimo scoperto nella sentenza delle Sezioni Unite n. 16303 del 2018: “Le Sezioni unite (Sez. U, Sentenza n. 16303 del 20/06/2018, Rv. 649294) hanno ritenuto che, ai fini della verifica del superamento del “tasso soglia” dell’usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto e della CMS eventualmente applicata, rispettivamente con il tasso soglia e con la “CMS soglia”, calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi della predetta L. n. 108, art. 2, comma 1, compensandosi, poi, l’importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il “margine” degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati. Il medesimo ragionamento può essere agevolmente traslato agli interessi moratori, giacchè la Banca d’Italia, pur non includendo la media degli interessi di mora nel calcolo del T.E.G.M., ne ha fatto una rilevazione separata, individuando una maggiorazione media, in caso di mora, di 2,1 punti percentuali”.
Il ragionamento presupposto al richiamo dei principi affermati dalla Suprema Corte in tema di commissioni di massimo scoperto non persuade.
Non appare possibile assimilarsi la mora alla CMS applicando il principio di omogeneità stabilito da Cassazione S.U. n.1603/18.
Diversamente si equiparerebbero una rilevazione periodica (trimestrale) di un ordinario costo del credito del rapporto di conto corrente, cioè la CMS, con una rilevazione della mora assunta arbitrariamente dalla Banca d’Italia con un campione promiscuo risalente ad epoca remota (2001) e con riferimento non ad una tipologia dei credito, ma ad una voce del costo del credito, quali gli interessi moratori.
Come rilevato da Cass. 27442 /2018, al fine di escludere l’aumento del TEGM per il tasso di mora, il tasso soglia è determinato, per legge, in funzione della natura e della tipologia del credito (l’apertura di credito, il mutuo,ecc.), non già in funzione della natura e della tipologia degli interessi ( corrispettivi, compensativi, moratori) e che il tasso soglia è costruito, sempre per legge, sulla fisiologia del rapporto, non già sulla sua patologia. Infatti, ai sensi dell” art. 2 della legge 108/96 il tasso effettivo globale medio, del trimestre precedente viene rilevato per “ operazioni della stessa natura” e non , quindi , per il tipo di interessi o altre voci di costo applicate o applicabili (commissioni, indennità, penali, ecc.).
Chiarisce la citata decisione:
<<Il patto di interessi moratori convenzionali ultralegali non può dirsi una “operazione”, e tanto meno un tipo contrattuale. Esso può infatti accedere a qualsiasi tipo di contratto, ed essere previsto per qualsiasi tipo di obbligazione pecuniaria: corrispettivi, provvigioni, rate di mutuo, premi assicurativi, e via dicendo. E’ dunque più che normale che il decreto ministeriale non rilevi la misura media degli interessi convenzionali di mora, dal momento che la legge ha ritenuto di imporre al ministro del tesoro la rilevazione dei tassi di interessi omogenei per tipo di contratto, e non dei tassi di interessi omogenei per titolo giuridico.
Ne discende che la mancata previsione, nella L. n. 108 del 1996, dell’obbligo di rilevazione del saggio convenzionale di mora “medio” non solo non giustifica affatto la scelta di escludere gli interessi moratori dal campo applicativo della L. n. 108 del 1996, ma anzi giustifica la conclusione opposta: il saggio di mora “medio” non deve essere rilevato non perché agli interessi moratori non s’applichi la legge antiusura, ma semplicemente perché la legge, fondata sul criterio della rilevazione dei tassi medi per tipo di contratto, è concettualmente incompatibile la rilevazione dei tassi medi “per tipo di titolo giuridico” >> (Cass. 27442 /2018).
La sentenza del 17/10/19 della Suprema Corte non sembra considerare che la CMS veniva rilevata dalla banche e comunicata alla Banca d’Italia, seppure separatamente dagli altri costi, in quanto voce del costo del credito “praticato” alla clientela con riferimento ad una specifica tipologia del credito (apertura di credito in conto corrente), mentre il tasso di mora non è stato mai rilevato e comunicato a Bankitalia per la semplice ragione che la normativa non prevede tale rilevazione, trattandosi di un costo eventuale “promesso” nel contratto.
Peraltro, è noto che il prezzo del denaro subisce oscillazioni di mercato; come qualsiasi altro bene il suo prezzo varia nel tempo ed è proprio per questo motivo che i tassi soglia variano trimestralmente. L’aumento del TEGM del 2,1% è invece rimasto fisso e immutato per diversi anni e che solo dal primo trimestre dell’anno 2018 i decreti ministeriali riportano un dato aggiornato delle rilevazioni statistiche della Banca d’Italia sui tassi di mora, che viene individuato nella misura dell’1,9% .
Dissimmetria tra TEG e TEGM prevista dalla Legge
L’argomento della necessaria simmetria, sia delle voci che compongono il TEG (tasso effettivo globale) del singolo rapporto che del TEGM(tasso medio effettivo globale), non considera che la usurarietà è strettamente ancorata ad un parametro di natura oggettiva, costituito appunto da quanto pubblicato con D.M. sulla Gazzetta Ufficiale.
In altre parole l’art. 2 della L. 108/1996 stabilisce che “Il Ministero de Tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi. Rileva trimestralmente il tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi degli articoli 106 e 107 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 358, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura…”.
Dunque il procedimento per pervenire alla fissazione del tasso soglia trimestrale con D.M. Del Tesoro, non prevede l’automatica assunzione dei dati rilevati dalla Banca d’Italia, la quale ha funzione semplicemente consultiva al pari dell’U.I.C., ed inoltre stabilisce anche un correttivo, riferito al tasso ufficiale di sconto, per pervenire alla indicazione del tasso soglia.
Infatti il tasso soglia non si identifica con il TEGM ma con tale valore aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali, ma entro il limite massimo di incremento di non più di otto punti percentuali rispetto al TEGM .
Il tasso soglia viene determinato sulla base di un aumento significativo del tasso medio rilevato dalla Banca d’Italia proprio per consentire agli intermediari di coprire ampiamente il rischio del credito, anche nel caso di mora.
Ciò nella consapevolezza del legislatore che il “vantaggio usurario” non sempre viene ad essere espresso nella forma di un tasso d’interesse convenzionale eccessivamente levato, che dia immediatamente il senso di un prezzo palesemente esoso e verosimilmente usurario dell’erogazione del credito, quanto piuttosto il vantaggio usurario viene ottenuto indirettamente attraverso la previsione di oneri aggiuntivi, quali le commissioni “una tantum” e gli “interessi” per anticipata risoluzione, i costi “gonfiati” di intermediazione, di rinegoziazione, le penali di estinzione anticipata collegate alla risoluzione del contratto, le clausole di indicizzazione dei tassi, gli addebiti per il servizio incassi, per i servizi accessori, le spese di assicurazione, gli interessi di mora, ecc.
Duplicazione dei tassi soglia
La legge ha previsto un solo TEGM (ed un solo tasso soglia) in relazione alle diverse operazioni creditizie e, quindi, non pare che si possa “creare” un tasso autonomo che la legge non prevede. Lo diceva già Cass. Civ. 22 aprile 2000, n. 5286: “non v’è ragione per escluderne l’applicabilità (dell’art.1815 c.c.) anche nell’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori, risultati di gran lunga accedenti lo stesso tasso soglia: va rilevato, infatti, che la legge n. 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi (la formulazione dell’art. 1, 3^ comma, ha valore assoluto in tal senso)” . Infatti, la legge stabilisce un’unica soglia media delle remunerazioni, a qualsiasi titolo convenute, e dunque valuta insieme tutti gli interessi, siano essi corrispettivi e/o moratori. (V. art. 644, 4 co. c.p.).
Non si comprende, allora, per quale motivo il principio di omogeneità dovrebbe valere per gli interessi moratori e non anche per le altre voci di costo ad essi assimilabili come, per esempio, “l’indennità di pagamento”, l’indennità di risarcimento danni,“la commissione una tantum”, la penale per l’inadempimento, oneri assimilabili a tale interesse in quanto essi predeterminano l’importo dei danni conseguenti all’inadempimento di obbligazioni pecuniarie. Gli interessi di mora costituiscono solo una delle tante voci di costo che le banche e le finanziarie prevedono nell’ipotesi di inadempimento. E non pare logico che solo per tale voce, la cui incidenza sul costo del denaro è, peraltro, sempre inferiore alle altre voci sopra indicate, si deve dare vita una soglia specifica, più alta rispetto all’ordinario costo del credito.
Peraltro, non può essere sottaciuto che anche i costi dell’assicurazione praticati dalla banche e dalla finanziarie risultano, fino ad una certa data, esclusi dal calcolo dalle istruzioni della Banca d’Italia, ma non per questo non si deve tener conto di tale costo al fine di determinare il costo effettivo del credito (Cfr., sul punto, Cass. n.5160/2018; Cass. n.9298/2018 che affermano la centralità sistematica dell’art.644 c.p. e l’irrilevanza delle circolari sella banca d’Italia).
Conclusioni
Spetterà comunque alle Sezioni Unite chiarire se il tasso soglia degli interessi di mora dovrà essere individuato aumentando il TEGM del 2,1% oppure se dovrà essere considerato quello pubblicato nei Decreti Ministeriali, aumentato degli ordinari coefficienti, senza procedere alla maggiorazione del 2,1% .
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