L’onere di provare (l’assenza del) l’aliunde perceptum grava non sull’Amministrazione, ma sull’impresa.
Tale ripartizione dell’onere probatorio muove dalla presunzione, a sua volta fondata sull’id quod plerumque accidit, secondo cui l’imprenditore (specie se in forma societaria) – in quanto soggetto che esercita professionalmente una attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili – normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative che dalla cui esecuzione trae utili.
“Si è infatti affermato che, ai sensi dell’art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, con la conseguenza che l’impresa non aggiudicataria, ancorché proponga ricorso e possa ragionevolmente confidare di riuscire vittoriosa, non può immobilizzare i mezzi di impresa nelle more del giudizio (e nell’attesa dell’aggiudicazione in proprio favore), essendo invece ragionevole che, con l’ordinaria diligenza, si attivi per svolgere (o svolga) altre attività; con la conseguente ragionevolezza di una detrazione a tale titolo del risarcimento per il mancato utile (Cons. Stato, Sez. VI, 21 settembre 2010, n. 7004)” (Cons. Stato, sez. III, 12 maggio 2011 n. 2850)
La percentuale sopra determinata deve essere dunque ridotta di un importo proporzionale equitativamente determinato corrispondente all’ “aliunde perceptum”
è necessario che l’impresa fornisca la prova rigorosa della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, con riferimento all’offerta economica presentata al seggio di gara
Il Collegio ritiene di far applicazione del potere attribuito dall’art. 34 comma 4 del d.lgs. n. 104 del 2010, condannando le Amministrazioni resistenti, ciascuna per quanto di competenza, a fare alla Società ricorrente una proposta di una somma a titolo di risarcimento nel termine di sessanta giorni dalla notificazione della presente sentenza o dalla comunicazione se anteriore, tenendo conto dei criteri sopra esposti.
In considerazione del principio della soccombenza le Amministrazioni resistenti al pagamento delle spese di lite determinate complessivamente in euro 10.000,00 (diecimila/00), da dividere egualmente tra le Amministrazioni e da liquidarsi a favore della ricorrente
Passaggio tratto dalla sentenza numero 2935 del 28 marzo 2012 pronunciata dal Tar Lazio, Roma
Ai fini della quantificazione del danno, deve, dunque, procedersi evidenziando la differenza tra i periodi relativi all’arco temporale previsto dalla gara originaria e alle prima due proroghe (11 settembre – 31 dicembre 2009 e 1 gennaio – 31 marzo 2010), che debbono essere assimilati in ragione della medesima genesi causale sopra evidenziata e i periodi relativi alla terza proroga ed alla successiva convenzione (dal 1° aprile 2010 – al 31 dicembre 2011 e 28) attinenti ai disposti affidamenti senza gara, per i quali deve essere riconosciuto il risarcimento del danno derivante dalla esclusione della possibilità di partecipazione ad una gara. Nell’ambito di siffatto ultimo periodo, tuttavia, va altresì distinto un primo arco temporale in cui i servizi affidati illegittimamente in via diretta comprendevano il servizio di ristorazione e di bar, analogamente a quanto previsto dall’originario bando ed un secondo periodo dal 28 maggio in poi relativo all’affidamento del solo servizio ristorazione.
13 – Innanzitutto, va precisato che in relazione al risarcimento per equivalente deve aversi riguardo al solo lucro cessante per mancata aggiudicazione in mancanza di indicazione di altri specifici danni.
Nel primo ricorso, la parte ricorrente ha fatto riferimento, ai fini della quantificazione del danno derivante dalla mancata aggiudicazione del servizio di fornitura dei pasti, alla più recente giurisprudenza sulla quantificazione del danno, che richiama il criterio dell’utile effettivo, precisando che nella specie tale dato non è desumibile dalla domanda di gara. Tuttavia, allegava una rielaborazione dell’offerta da cui si evince che l’utile giornaliero sarebbe stato di euro 3,77 per ogni pasto comprensivo delle tre portate, tenuto conto del corrispettivo offerto dalla ricorrente di euro 12,10, sicchè l’utile corrisponderebbe al 31,15% che, andrebbe ulteriormente ridotto del 50% in ragione della imprevedibilità della quantità dei pasti giornalieri che sarebbero stato erogati agli ospiti delle due strutture, con la conseguente quantificazione nel 15,60% dell’utile derivante dalla prestazione messa a gara a cui il ricorrente avrebbe potuto aspirare.
Altresì il ricorrente proponeva, tuttavia, non essendovi dati relativi al periodo originariamente messo a gara, di acquisire in via istruttoria ulteriori elementi inerenti alle prestazioni effettivamente rese dalla originaria controinteressata nei periodi successivi.
In relazione alla quantificazione del danno per mancata gestione del bar, invece la ricorrente, in via prioritaria richiamava il criterio elaborato dalla giurisprudenza del 10% del fatturato; in via gradata chiedeva l’esperimento dell’istruttoria per acquisire la documentazione relativa all’effettivo incasso ottenuto dal Consorzio contro interessato.
Osserva il Collegio che, per la quantificazione del danno subito da chi sia stato illegittimamente pretermesso nella aggiudicazione di una gara pubblica, la giurisprudenza ha oramai superato l’orientamento secondo il quale il danno doveva essere quantificato nel 10% forfettario del prezzo a base d’asta, sostenendo che tale criterio, se pure capace di individuare in via presuntiva l’utile che l’impresa può trarre dall’esecuzione di un appalto, non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, risultando per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale. Secondo il più recente orientamento è necessario invece che l’impresa fornisca la prova rigorosa della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, con riferimento all’offerta economica presentata al seggio di gara (fra le tante: Cons. Stato, sez. VI, 9 dicembre 2010, n. 8646; Sez. V, 18 novembre 2010, n. 8091; Sez. IV, 7 settembre 2010 n. 6485; Sez. III, 12 maggio 2011 n. 2850).
Tale orientamento ha trovato conferma nell’espressa previsione contenuta nell’art. 124 del codice del processo amministrativo, secondo il quale “se il giudice non dichiara l’inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente subito”, a condizione tuttavia che lo stesso sia “provato”.
Alla luce di siffatto orientamento, deve prendersi a fondamento del calcolo, da un lato, la previsione del bando originario dell’erogazione dal lunedì alla domenica di n. 1300 prime colazioni, 1300 pranzi e 1300 cene presso la Scuola Ispettori e sovrintendenti della Guardia di finanza e di n. 450 prime colazioni, 450 pranzi e 450 cene presso la Caserma Camponizzi di L’Aquila e, dall’altro, che la ricorrente ha dettagliatamente individuato l’utile nella misura del 15,60% di euro 12,10 corrispondenti a tre pasti, considerando anche l’abbattimento dovuto alla imprevedibilità dei pasti giornalieri che sarebbero stati erogati.
Tuttavia, la giurisprudenza ha, altresì, precisato che, onde evitare che a seguito del risarcimento il danneggiato possa trovarsi in una situazione addirittura migliore rispetto a quella in cui si sarebbe trovata in assenza dell’illecito, va detratto dall’importo dovuto a titolo risarcitorio quanto da lui percepito grazie allo svolgimento di diverse attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione.
Nella specie il ricorrente nulla ha detto a riguardo.
Tuttavia, il Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6059; 27 dicembre 2004, n. 8244; Sez. V, 27 settembre 2004, n. 6302; 24 ottobre 2002, n. 5860) ha avuto modo di precisare a riguardo l’onere di provare (l’assenza del) l’aliunde perceptum grava non sull’Amministrazione, ma sull’impresa.
Tale ripartizione dell’onere probatorio muove dalla presunzione, a sua volta fondata sull’id quod plerumque accidit, secondo cui l’imprenditore (specie se in forma societaria) – in quanto soggetto che esercita professionalmente una attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili – normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative che dalla cui esecuzione trae utili.
“Si è infatti affermato che, ai sensi dell’art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, con la conseguenza che l’impresa non aggiudicataria, ancorché proponga ricorso e possa ragionevolmente confidare di riuscire vittoriosa, non può immobilizzare i mezzi di impresa nelle more del giudizio (e nell’attesa dell’aggiudicazione in proprio favore), essendo invece ragionevole che, con l’ordinaria diligenza, si attivi per svolgere (o svolga) altre attività; con la conseguente ragionevolezza di una detrazione a tale titolo del risarcimento per il mancato utile (Cons. Stato, Sez. VI, 21 settembre 2010, n. 7004)” (Cons. Stato, sez. III, 12 maggio 2011 n. 2850)
La percentuale sopra determinata deve essere dunque ridotta di un importo proporzionale equitativamente determinato corrispondente all’ “aliunde perceptum”. Sicchè, con riferimento al periodo 11 settembre 2009-31 dicembre 2010, appare equo determinare la percentuale dovuta con riferimento al servizio mensa, ai sensi anche di quanto disposto dall’art. 30, comma 3, c.p.a. nel 10% del corrispettivo offerto dalla ricorrente per la prestazione dei tre pasti giornalieri (euro12,10) moltiplicato per il numero di pasti previsti nel bando.
Per il periodo successivo corrispondente alle due proroghe non annullate 1 gennaio – 31 marzo 2010, in ragione di quanto sin qui esposto, tale valore così determinato va ridotto del 50%, spettando il risarcimento del danno per la perdita di “chance” al conseguimento all’utile che avrebbe potuto ottenere nel caso in cui, nella qualità di aggiudicatario, avrebbe ottenuto la proroga del servizio.
14 – Per il periodo successivo – dal 1° aprile 2010 al 27 maggio 2011 e dal 28 maggio 2011 al 31 dicembre 2011 spetterà, altresì, il risarcimento del danno da perdita di “chance” che può essere determinato sulla base dell’utile come sopra individuato, diviso quattro, che corrisponde al numero di imprese che avevano originariamente risposto alla lettera di invito.
15 – Con riferimento al risarcimento per il danno da mancata aggiudicazione della gestione del bar, con riguardo al primo periodo 11 settembre 2009 – 31 dicembre 2009 non può che farsi riferimento al criterio standard del 10% del fatturato, detraendo da tale percentuale un valore equitativamente determinato del 5% per quanto “aliunde perceptum”. Per quanto concerne la perdita di “chance” derivante dalla mancata possibilità di usufruire della proroga, nel periodo 1 gennaio 2010-31 marzo 2010, suddetto valore deve essere abbattuto del 50%.
16 – Spetta poi il 2,5% del fatturato per quanto concerne il risarcimento del danno da perdita di “chance” in relazione alla esclusione della possibilità di partecipazione alla gara in relazione al periodo successivo 1 aprile 2010 – 27 maggio 2011.
Alla luce di quanto sin qui disposto, non appare necessario procedere ad ulteriore attività istruttoria.
17 – La somma, come sopra individuata, trattandosi di debito di valore, va incrementata con la rivalutazione monetaria dal giorno in cui è stato stipulato il contratto con l’impresa illegittima aggiudicataria, sino alla pubblicazione della presente sentenza (a decorrere da tale momento, in conseguenza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta). Spettano, inoltre, gli interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione delle presente decisione fino al soddisfo effettivo (Cons. Stato, Sez. VI, n. 3144/2009).
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