precedenti giurisprudenziali: Trib. Potenza, Sentenza del 28/07/2017
La vicenda
Un condomino impugnava una delibera che a maggioranza aveva approvato la trasformazione dell’impianto di riscaldamento ed il contestuale distacco dei tre appartamenti ubicati al terzo piano, stabilendo che l’amministratore non effettuasse la predisposizione della relazione tecnica prevista dalla legge n. 10 del 1991.
In realtà la delibera mirava ad attribuire la proprietà dell’impianto di riscaldamento ai soli condomini del primo e secondo piano, escludendo i condomini posti al terzo piano, i quali volevano rinunciare alla comproprietà dell’impianto e, conseguentemente, essere esonerati dal pagamento di tutte le spese riscaldamento.
Secondo l’attore detta delibera era radicalmente nulla in quanto non adottata dall’unanimità dei condomini. Il Tribunale accoglieva la formulata domanda, dichiarando la nullità – per mancata approvazione all’unanimità – dell’impugnata delibera nella parte in cui aveva approvato di attribuire in esclusiva proprietà ai soli condomini del primo e secondo piano l’impianto di riscaldamento e l’esenzione delle spese di manutenzione per i condomini posti al terzo piano.
Tale decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello secondo cui l’impugnata delibera andava approvata dall’unanimità dei condomini. I giudici di secondo grado confermavano come l’oggetto dell’impugnata delibera consistesse nella sostituzione della vecchia caldaia con una nuova e nel distacco dei condomini del terzo piano; l’impianto centralizzato quindi non aveva subìto trasformazioni essendo stato, per l’appunto, solo sostituito; tuttavia secondo la Corte d’Appello, anche se la nuova caldaia serviva solo gli appartamenti del primo e secondo piano, non poteva considerarsi venuta meno ogni ragione di comproprietà anche in relazione ai condomini del terzo piano.
La questione
In caso di sostituzione della caldaia e contestuale distacco dall’impianto dei condomini del terzo piano l’assemblea può a maggioranza esonerare da ogni spesa di riscaldamento i distaccati, escludendoli (su loro richiesta) dalla comproprietà dell’impianto centralizzato?
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La soluzione
La Cassazione ha dato torto al condominio.
Secondo i giudici supremi deve considerarsi corretta, sul piano giuridico, la sentenza dei giudici di secondo grado; ciò perché anche se la nuova caldaia, era destinata a servire solo gli appartamenti del primo e del secondo piano, non poteva ritenersi venuta meno ogni ragione di comproprietà di tale bene anche in capo ai condomini del terzo piano; di conseguenza è stata considerata pienamente condivisibile la dichiarazione di nullità dell’impugnata delibera assembleare per effetto della mancata approvazione con il voto unanime di tutti i condomini.
Del resto – come osserva la Cassazione – implicando l’impugnata delibera la produzione di un effetto traslativo (cioè la cessione dai parte dei condomini del terzo piano della quota di comproprietà dell’impianto di riscaldamento in favore dei condomini del secondo piano), incidente sulla pregressa comproprietà originaria per legge della caldaia centralizzata, sarebbe stato necessario il consenso di tutti i partecipanti al condominio e, quindi, di tutti i condomini.
Le riflessioni conclusive
Occorre osservare che la delibera esaminata dalla sentenza in commento mirava – con la sola unanimità dei presenti – a determinare un mutamento del titolo di comproprietà sulla caldaia: in pratica i condomini del primo e secondo piano sarebbero dovuti diventare proprietari esclusivi dell’impianto, mentre i condomini del terzo piano, già autorizzati a distaccarsi dall’impianto centralizzato, avrebbero ottenuto l’esonero totale a compartecipare alle spese di manutenzione della caldaia stessa.
Si tratta quindi di una deliberazione incidente sulla titolarità delle parti comuni e non meramente dispositiva di innovazioni riconducibili all’art. 1120, comma 1, c.c.
Sarebbe stata, quindi, necessaria a tal fine l’unanimità dei condomini e ciò anche ponendosi riferimento a quanto sancito dalla norma generale in tema di comunione di cui all’art. 1108 c.c.
In particolare il secondo comma, art 1118 c.c. stabilisce che il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni.
Il terzo comma, art 1118 c.c. precisa poi che il condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali.
Per comprendere tali norme bisogna considerare che se si considerano le caratteristiche peculiari delle parti dichiarate presuntivamente comuni si rileva facilmente che esse o costituiscono parti integranti dell’edificio, (suolo, muri maestri) o sono locali destinati a servizi comuni (locali per la portineria, autorimesse, aree verdi, locale lavanderia ecc.), ma in ogni caso servono tutte a rendere possibili l’uso e il completo godimento delle parti di proprietà esclusiva.
Ora, se questo è vero, tale inerenza o destinazione condominiale esige che le parti comuni poste al servizio dei singoli piani non mutino la loro funzione obiettiva, data la stretta ed indissolubile interdipendenza che sussiste fra le parti comuni dell’edificio e quelle di proprietà esclusiva di ciascun condominio.
L’art. 1118 c.c. stabilisce in modo chiaro, e senza possibilità di alternativa alcuna, che il condomino non possa rinunziare al suo diritto sulle parti comuni, nemmeno continuando a versare le relative quote di spesa.
Lo scopo della norma è quello di impedire che il condomino si sottragga al contributo nelle spese con la rinunzia al diritto sulle cose, sui servizi e sugli impianti comuni, poiché l’abbandono non determinerebbe vantaggi ma importerebbe un aggravio per gli altri partecipanti al condominio.
Del resto, nonostante la rinunzia al diritto, il condomino continuerebbe a valersi delle cose, dei servizi e degli impianti.
Da notare che la rinunzia, perciò, come precisa il nuovo art. 1118 c.c., non è valida, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali.
Per modificazione di destinazione d’uso della propria unità immobiliare, nel significato riportato dall’art. 1118, comma 3, c.c. si deve intendere una modificazione di destinazione d’uso relativa agli scopi comuni ai condomini (ad esempio, il condomino proprietario dei sottotetti che li destina a stenditoio comune) o a scopi di terzi (ad esempio il condomino proprietario del cortile che attribuisce ad un terzo l’uso di esso a titolo di comodato), senza che ciò comporti il venir meno del diritto di comproprietà del condomino.
Naturalmente quanto sopra vale anche in caso di distacco dal riscaldamento.
Il condomino distaccatosi infatti è sempre obbligato a pagare le spese di conservazione dell’impianto di riscaldamento centrale anche quando sia stato autorizzato a rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto comune, ovvero abbia offerto la prova che dal distacco non derivano né un aggravio di gestione o uno squilibrio termico, essendo in tal caso esonerato soltanto dall’obbligo del pagamento delle spese occorrenti per il suo uso, se il contrario non risulti dal regolamento condominiale.
Quanto sopra vale certamente anche in caso di sostituzione della caldaia (non ridimensionata e potenzialmente idonea a scaldare tutte le proprietà esclusive) che poi servirà tutti gli appartamenti con la sola eccezione delle unità abitative dei distaccati.
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