(Annullamento parziale con rinvio)
Il fatto
La Corte di Appello de L’Aquila confermava un giudizio di penale responsabilità espresso dal Tribunale di Avezzano in ordine alla ricettazione di un telefono cellulare provento di furto con la conseguente condanna per l’imputato alla pena ritenuta di giustizia.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi: 1) vizio di motivazione in ordine alla censura con la quale si era contestata la disponibilità del bene da parte del ricorrente sulla base del mero inserimento di sue utenze telefoniche nel cellulare provento di furto, elemento reputato insufficiente a dimostrare che ad inserire tali utenze fosse stato proprio l’imputato; 2) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’elemento psicologico del reato ed alla mancata configurazione del reato di cui all’art. 712 c.p. così optando i giudici di merito per la soluzione meno favorevole all’imputato sulla sola considerazione secondo cui mai il predetto aveva fornito alcuna spiegazione sul possesso del telefono cellulare; 3) contestazione circa la mancata concessione delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
I primi due motivi di ricorso veniva stimati inammissibili perché, secondo il Supremo Consesso, attinenti al merito della decisione impugnata, mentre doveva riconoscersi la parziale fondatezza del motivo di ricorso concernente il trattamento sanzionatorio posto che la sentenza impugnata, pur con una succinta motivazione, aveva dato adeguatamente conto delle ragioni che avevano portato a riconoscere la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di ricettazione ascrittogli tenuto conto altresì del fatto che il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile (Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016).
Le sentenze di merito, sempre secondo i giudici di piazza Cavour, operando in tal guisa, avevano, così, evidenziato che la penale responsabilità dell’imputato in ordine alla ricettazione del telefono, provento di furto, oggetto dell’imputazione, fosse emersa in modo incontrovertibile dall’accertamento, con l’esame dei tabulati telefonici, dell’inserimento di due schede telefoniche intestate al ricorrente nell’apparecchio telefonico sottratto alla legittima proprietaria.
Orbene, l’inserimento sul medesimo telefono di ben due schede intestate all’imputato, senza alcuna ragionevole spiegazione alternativa della circostanza, per la Corte di legittimità, senza vizi logici, era stato ritenuto atto a provare il possesso del bene da parte dello stesso e la sua piena consapevolezza dell’illecita provenienza del bene dovendosi pertanto escludere un occasionale e fortuito uso del bene da parte di costui.
In tal modo, secondo gli Ermellini, i giudici di merito si erano correttamente conformati – quanto alla qualificazione giuridica del fatto accertato – al consolidato orientamento della Cassazione (per tutte, Sez. 2, n. 29198 del 25/05/2010) per il quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede fermo restando che (Sez. 2, n. 45256 del 22/11/2007, Rv. 238515) ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza, nè si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n. 35535 del 12/07/2007).
Veniva invece ritenuto, seppur solo in parte, fondato l’ultimo motivo di ricorso con il quale l’imputato lamentava di non essersi data risposta alla richiesta, avanzata con l’atto di appello, di riconoscere le attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, atteso che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, in tema di delitto di ricettazione, la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità è compatibile con la forma attenuata del delitto nel solo caso in cui la valutazione del danno patrimoniale sia rimasta estranea al giudizio sulla particolare tenuità del fatto (Sez. 2, n. 49071 del 04/12/2012), ipotesi non verificatasi nel caso di specie nel quale esplicitamente il giudice di primo grado aveva rilevato non potersi doppiamente valutare la medesima circostanza: conseguentemente, deve ritenersi inammissibile, per carenza d’interesse, la censura rivolta alla sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello e che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014).
Non si giustificava, al contrario, per la Suprema Corte, l’omessa motivazione, nella sentenza impugnata, in ordine alle doglianze del ricorrente che, con l’atto di appello, aveva invocato le circostanze attenuanti generiche adducendo l’asseritamente modesta gravità del fatto ed il carattere remoto dei precedenti penali del ricorrente che venivano a loro volta indicati di modesto allarme sociale trattandosi di argomenti specifici che rendevano ammissibile la doglianza e richiedevano una valutazione della Corte territoriale.
La sentenza impugnata, all’opposto, per il Supremo Consesso, aveva disatteso la richiesta senza alcuna motivazione sul punto e, pertanto, doveva essere annullata limitatamente al diniego delle attenuanti generiche e, conseguentemente, al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte d’Appello di Perugia competente ai sensi dell’art. 623 c.p.p., lett. c), c.p.p..
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui spiega in che modo è configurabile l’elemento soggettivo del delitto di ricettazione.
Difatti, in questa pronuncia, citandosi giurisprudenza conforme, viene postulato che, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede fermo restando che ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza, nè si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento.
Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si deve verificare la sussistenza di questo elemento costitutivo del delitto preveduto dall’art. 648 c.p..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, dunque, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, non può che essere positivo.
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