In che modo l’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282-bis c.p.p. e il divieto di avvicinamento alla persona offesa di cui all’art. 282-ter c.p.p. sono applicabili congiuntamente

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimenti normativi: Cod. proc. pen., artt. 275, c. 3; 282-bis; 282-ter)

Il fatto

Il Tribunale del Riesame di Milano, investito dell’appello proposto ex art. 310 c.p.p. dal Procuratore della Repubblica di Milano, confermava il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento nei confronti di una persona indagata in ordine al reato di lesioni personali lievi commesso in danno della moglie mentre aveva applicato la misura dell’allontanamento dalla casa familiare.

La decisione dei giudici di merito si fondava a sua volta sul rilievo che il reato addebitato all’indagato non rientrava nei limiti edittali di cui all’art. 280 c.p.p. e dunque poteva essere applicata soltanto la misura cautelare ex art. 282-bis c.p.p. poiché detta norma, al comma 6, prevede che in relazione a determinati titoli di reato, tra cui l’art. 582 c.p. aggravato (tali sono le lesioni in danno del coniuge), la misura possa essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 280 mentre tale deroga non è contenuta nell’art. 282-ter c.p.p. rispetto al quale vigono i limiti generali.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica di Milano denunciando violazione di legge.

In particolare, veniva sostenuto che: 1) il procedimento scaturisce dalla decisione della polizia giudiziaria di procedere all’allontanamento d’urgenza dell’indagato dalla casa familiare ex art. 384-bis c.p.p.; b) l’art. 384 bis c.p.p. richiama le norme di cui all’art. 385 c.p.p. e seguenti; 3) pertanto, anche in tale fattispecie, opera la previsione dell’art. 391 c.p.p., comma 5 che, in sede di convalida, consente l’applicazione di misure cautelari al di fuori dei limiti di pena di cui all’art. 280 c.p.p.; 4) la portata dell’art. 391 c.p.p., comma 5, non potrebbe essere circoscritta solo ai casi di arresto e fermo con esclusione di quelli di cui all’art. 384 bis c.p.p. pena l’irrazionalità del sistema e la illogica introduzione di un vincolo per il giudice rispetto alle scelte della polizia giudiziaria in quanto: se la polizia giudiziaria procede all’arresto della persona, come previsto per il reato di lesioni personali dall’art. 381 c.p.p., comma 2, lett. f), allora è consentita senza limiti di pena l’applicazione di qualunque misura cautelare fino alla custodia in carcere mentre, se invece la polizia giudiziaria opta per l’allontanamento urgente ex art. 384 bis c.p.p. non è consentita l’applicazione di misure cautelari, neppure meno afflittive, diverse da quella di cui all’art. 282-bis c.p.p., unica norma a prevedere la deroga ai limiti di pena; 5) l’applicazione congiunta delle due misure cautelari offrirebbe maggiori garanzie alla persona offesa nel senso che l’eventuale caducazione della misura di cui all’art. 282-bis c.p.p. travolgerebbe anche le relative prescrizioni che, invece, rimarrebbero in piedi se connesse anche alla misura di cui all’art. 282-ter c.p.p..

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

Si osservava prima di tutto come l’esatto inquadramento del caso nella disciplina del codice di rito imponesse, anzitutto, di esaminare i caratteri degli istituti processuali in rassegna mantenendo saldi i principi di stretta legalità, tassatività e tipicità ai quali si conforma la disciplina delle misure cautelari (Sez. U, n. 29907 del 30/05/2006).

Premesso ciò, veniva osservato che l’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282-bis c.p.p. e il divieto di avvicinamento alla persona offesa di cui all’art. 282-ter c.p.p. trovano fondamento in presupposti diversi.

Il perimetro applicativo della misura di cui all’art. 282-bis c.p.p., comma 1, difatti, risulta dal riferimento normativo all’allontanamento dalla “casa familiare” ossia un riferimento, questo, che non consente una dilatazione della sfera di operatività della misura tale da ricomprendervi fattispecie – quale ad esempio quelle degli atti persecutori ai danni dei vicini di casa – caratterizzate dall’insussistenza di una “situazione per cui all’interno di una relazione familiare si manifestano condotte in grado di minacciare l’incolumità della persona” (Sez. 6, n. 17950 del 17/09/2015, dep. 2016 secondo cui il presupposto della misura cautelare di cui all’art. 282-bis c.p.p., non è la condizione di coabitazione “attuale” dei coniugi ma l’esistenza di una situazione – che non deve necessariamente verificarsi all’interno della casa coniugale – per cui all’interno di una relazione familiare si manifestano condotte in grado di minacciare l’incolumità della persona).
In particolare, veniva evidenziato che l’”art. 282-bis c.p.p. è stato introdotto dalla L. 4 aprile 2001, n. 154, art. 1, comma 2; molteplici profili confermano la finalizzazione complessiva della novella verso la predisposizione di “misure contro la violenza nelle relazioni familiari” per riprendere la formulazione della rubrica legislativa: l’art. 2 ha introdotto, nel libro I del codice civile, il Titolo IX bis che disciplina gli “ordini di protezione contro gli abusi familiari” mentre l’art. 5, primo periodo, stabilisce che le norme della legge si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente. La disciplina e l’impianto complessivo della L. n. 154 del 2001 offrono, dunque, significativa conferma della delimitazione dell’ambito oggettivo della misura in esame a fattispecie di reato verificatesi all’interno di una relazione familiare” (Sez. 5, n. 27177 del 19/03/2014,).

Oltre a ciò, si faceva altresì presente come la misura in esame preveda un contenuto minimo obbligatorio predeterminato dal comma 1 nei seguenti termini: “Con il provvedimento che dispone l’allontanamento il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. L’eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita”.

La misura de qua inoltre può contemplare anche ulteriori prescrizioni che vengono rimesse alla discrezionalità del giudice vincolata a specifici parametri di cui al comma 2: “Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro.
In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni”.

Questa prescrizione facoltativa, che nel caso di specie era stata specificamente adottata dal giudice per le indagini preliminari, coincide tra l’altro per la gran parte con il contenuto precettivo della misura cautelare di cui all’art. 282-ter c.p.p..

La necessità di disporre, in via immediata, l’allontanamento dalla casa familiare può presentarsi anche alla polizia giudiziaria al momento del suo intervento e, per tali ipotesi, l’art. 384-bis c.p.p. attribuisce alla polizia giudiziaria, previa autorizzazione del pubblico ministero, la facoltà di disporre l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all’art. 282-bis, comma 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa.

Con la misura cautelare di cui all’art. 282-ter c.p.p., invece, il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa (comma 1) mentre prescrizioni facoltative concernono l’estensione di divieti e obblighi anche nei confronti dei prossimi congiunti della persona offesa (comma 2) e il divieto di comunicazione (comma 3).

L’intento, dunque, è quello di creare uno schermo di protezione attorno all’offeso, modulabile in base alle esigenze del caso concreto, fermo restando che, a differenza della misura precedente, questa non trova limitazioni di sorta nella tipologia relazionale da cui scaturisce il reato.

È evidente che il presupposto “negativo” di questa misura, in rapporto di alternatività rispetto alla precedente, è l’assenza di una situazione che renda necessario, prima di tutto, allontanare l’autore del reato dalla casa familiare.

Per quanto concerne viceversa il tema della applicazione “congiunta” delle misure cautelari già al momento dell’ordinanza genetica, gli Ermellini osservavano come tale possibilità sia stata introdotta dalla L. n. 47 del 2015 mentre, in passato, secondo il consolidato indirizzo interpretativo formatosi sul sistema previgente, vigeva il principio per cui: “l’applicazione cumulativa di misure cautelari personali può essere disposta soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge all’art. 276 c.p.p., comma 1, e art. 307 c.p.p., comma 1 bis” (Sez. U, 30 maggio 2006, n. 29907).
Nel novellato art. 275 c.p.p., comma 3, invece, è attualmente previsto che la misura inframuraria “può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate” e, dunque, questa novella ha reso possibile l’applicazione congiunta di misure cautelari personali non più solo nelle ipotesi per così dire “patologiche” quali quella della trasgressione alle prescrizioni relativa a misure in corso (art. 276, comma 1) o della scarcerazione per decorrenza termini dell’imputato o indagato per reati di particolare allarme (art. 307, comma 1-bis) ma anche nel momento iniziale – e del tutto “fisiologico” – in cui il giudice (e il pubblico ministero) è chiamato a verificare la praticabilità di “risposte” cautelari gradate.

Chiarito ciò, veniva altresì notato come l’applicazione congiunta delle misure cautelari servi a evitare, in un’ottica di proporzione e adeguatezza, l’imposizione di una misura più afflittiva quando le esigenze cautelari possono essere ugualmente preservate da due misure nel complesso meno cogenti con minor sacrificio della libertà personale dell’indagato.

Orbene, nella fattispecie in esame, il Supremo Consesso rilevava che, onde manifestare un interesse concreto e attuale all’impugnazione e rispondere al requisito di specificità, il pubblico ministero avrebbe dovuto chiarire l’effettiva sussistenza nel caso concreto dei presupposti richiesti dall’art. 275 c.p.p., comma 3, e cioè indicare rispetto a quale misura cautelare alternativa più grave sarebbe stato necessario ritenere più adeguata l’applicazione congiunta dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento mentre tale profilo, per la Corte, risultava essere stato del tutto omesso.

Tal che se ne faceva conseguire come il ricorso fosse generico laddove non veniva illustrata la sussistenza nella fattispecie del presupposto di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3 o, in altri termini, non precisava quali profili cautelari, nel caso concreto, restavano privi di tutela a seguito dell’adozione della sola misura cautelare di cui all’art. 282 bis con le prescrizioni di cui al comma 2 sì che sarebbe stato necessario adottare una misura cautelare più afflittiva (es. divieto di dimora, obbligo di dimora) suscettibile di essere scongiurata dalla applicazione congiunta delle misure di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p..

La prospettazione della possibile caducazione di una misura cautelare e non dell’altra, sebbene possa riguardare un evento ipotetico, ad avviso della Suprema Corte, non era comunque pertinente poiché avrebbe finito per giustificare sempre l’applicazione congiunta delle misure cautelari con la scusa che, ove fosse venuta meno l’una misura, sarebbe residuata l’altra mentre sono diversi i rimedi previsti dall’ordinamento rispetto alla evoluzione delle misure cautelari nella fase della loro esecuzione.

Conclusioni

La decisione in questione è assai interessante nella parte in cui si spiega in che modo l’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282-bis c.p.p. e il divieto di avvicinamento alla persona offesa di cui all’art. 282-ter c.p.p. possono essere applicabili congiuntamente.

Difatti, in questa sentenza, una volta chiariti i presupposti che legittimano l’applicazione di queste misure cautelari, gli Ermellini rilevano come esse, stante quanto previsto dall’art. 275, c. 3, primo capoverso, c.p.p. (“La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate”), possono essere adottabili contestualmente purchè la pubblica accusa indichi rispetto a quale misura cautelare alternativa più grave è necessario ritenere più adeguata l’applicazione congiunta dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento.

Pertanto, ove dovesse mancare una valutazione di questo genere, ben potrà la difesa dolersi di questa omissione nei modi e nelle forme previste dal codice di rito penale richiamando quanto statuito in tale provvedimento.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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