Il potere direttivo del datore di lavoro
Tipico potere del datore di lavoro è quello direttivo. Il lavoratore subordinato, presta il proprio lavoro intellettuale o materiale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore (articolo 2094 cod.civ). La caratteristica fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, infatti, è individuata da giurisprudenza e dottrina nella c.d. eterodirezione. Attraverso l’esercizio del potere direttivo, in estrema sintesi, il datore di lavoro specifica in concreto quale sia la prestazione lavorativa dovuta (Vallebona).
Detta, in altri termini, le precise istruzioni per la concreta esecuzione del lavoro (Mazzoni). Al potere direttivo corrisponde, in capo al lavoratore, l’obbligo di obbedienza, sancito dall’articolo 2104 cod. civ. (C.f.r.: Zaccardi, Manuale di diritto del lavoro, Ed. Nel Diritto, pag. 180).
Questioni sottese all’impartire ordini
Tra le questioni da analizzare, sotto l’aspetto del potere direttivo, la possibilità, per il datore di lavoro, di impartire un ordine solamente telefonico. Secondo un ultimo orientamento della giurisprudenza di merito, “non può considerarsi legittimo il rifiuto di adempiere una disposizione impartita dal dirigente nella sola forma verbale, allorchè abbia ad oggetto una prestazione che rientra pacificamente nei compiti assegnati al dipendente, il quale andrebbe dovuto semplicemente svolgerli presso altra sede”(C.f.r Tribunale di Siracusa, Sezione Lavoro, Sent. 28 Febbraio 2019).
Secondo il Giudice del Lavoro, dunque, non si configura come illegittimo un ordine di servizio impartito verbalmente, nè si evince che il dipendente possa disubbidire all’ordine di servizio sol perchè dispensato verbalmente. La sentenza in commento prende peraltro le mosse da alcuni orientamenti ivi citati. Nel caso di dipendente pubblico, infatti, viene espressamente ricordato che “il rapporto di lavoro subordinato presso la P .A. comporta la soggezione alle prescrizioni e agli ordini di servizio dell’amministrazione” (C.f.r T.A.R. Sardegna Cagliari, Sez. II, 18.04.2005, n. 667, in Foro Amministrativo TAR 2005, 4, 1321). Alla luce anche dell’articolo 23 del contratto collettivo per il comparto ministeri del 16 maggio 1995, peraltro, “la facoltà del dipendente di non eseguire un ordine, previa rimostranza a chi lo ha impartito, richiede, oltre alla palese illegittimità dell’ordine, anche che il dipendente non si limiti a un mero rifiuto, ma concreti le sue motivate obiezioni, indicando le ragioni con dichiarazioni indirizzate a colui dal quale proviene l’ordine” (C.f.r.: Cass. Sez. Lav. 15.02.2008, n. 3802). Sempre secondo la stessa sentenza, “la facoltà del dipendente di non eseguire un ordine, previa rimostranza a chi lo ha impartito, richiede, innanzitutto, la palese illegittimità dell’ordine, e che la rimostranza che abilita a sospendere l’esecuzione della prestazione lavorativa relativamente all’attività richiesta dal datore di lavoro tramite il soggetto da lui preposto non può coincidere con il mero rifiuto dell’esecuzione ma deve concretarsi in motivate obiezioni” (C.f.r Sent. Cit.).
Conclusioni
Nel commentare personalmente la sentenza di cui sopra e le problematiche sottese non ci si può non rifare ai commenti trovati e estrapolati. Secondo i quali, peraltro nella vicenda in commento, non si è in presenza di un rifiuto tout cout (c.f.r www.altalex.com), bensì di una richiesta di ordine scritto.
Laddove così fosse, anche da un punto di vista interpretativo, bisogna quindi fare molta attenzione e discernere sempre il caso concreto da quelle che sono le norme che, come specificato sopra, impongono quantomeno un dovere di obbedienza nei confronti del datore. Laddove infatti questa sentenza ammettesse un qualcosa in più, sicuramente ci sarebbero problemi anche da un punto d vista interpretativi. Vero, comunque, che il lavoratore, sempre secondo l’orientamento di legittimità citato, può rifiutarsi sia in presenza di una palese illegittimità dell’ordine, sia che il rifiuto si deve concretare in motivate obiezioni (C.f.r. Cass. 3802/2008 cit.), ma appare evidente che, interpretazioni anche erronee possano dare significati non sempre a tutela dei lavoratori.
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