(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 628)
Il fatto
La Corte di appello di Firenze, in parziale riforma di una sentenza emessa dal Tribunale di Lucca, riduceva la pena inflitta all’imputato (con revoca della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici) in ordine al reato di rapina aggravata in concorso.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questa decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi: 1) inosservanza e erronea applicazione della legge penale con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto da ricondursi nell’alveo del furto aggravato stante l’assenza della minaccia non potendosi questa ritenersi integrata dal riferimento ad un generico atteggiamento minaccioso che l’imputato avrebbe posto in essere tenuto conto altresì del fatto che gli indici fattuali declinati dal giudice di appello erano idonei ad integrare l’aggravante della minorata difesa e della destrezza ma non la minaccia; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche in quanto, secondo il ricorrente, nessuna motivazione sul punto sarebbe stata rinvenibile nella sentenza impugnata benché la concessione delle attenuanti generiche fosse stata avanzata con i motivi di appello sul rilievo che l’imputato si era attribuito la responsabilità del fatto risarcendo la p.o. oltre al fatto che sarebbe stato illogico, poi, era operare una prognosi favorevole in tema di sospensione condizionale della pena in favore del coimputato e non concedergli le invocate attenuanti generiche nonchè considerato irragionevole, oltre che afflittivo, l’avere operato un giudizio in termini di equivalenza e non di prevalenza dell’attenuante comune di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. sulla recidiva e sulle aggravanti contestate.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Quanto alla qualificazione giuridica del fatto, ad avviso del Supremo Consesso, le sentenze di merito risultavano avere fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato dalla Cassazione secondo cui la minaccia costitutiva del reato di rapina, oltre che essere palese, esplicita e determinata, può essere manifestata in modi e forme differenti ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera (Sez. 2, n. 44347 del 25/11/2010).
Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, veniva ritenuto l’avere avanzato alla p.o. la richiesta di consegnare il portafoglio in modo improvviso e alla presenza di entrambi gli imputati – i quali agivano in maniera coordinata, tanto che la p.o. si trovò “intrappolata” nella sua auto tra i due sconosciuti – al buio e in un luogo che per l’ora notturna non era frequentato, fossero elementi logicamente idonei a dare concretezza a quell’atteggiamento minacciosa di cui aveva riferito l’offeso e, dunque, ad integrare, per le circostanze di tempo e di luogo, una situazione di obiettivo pericolo per la propria incolumità.
Tale situazione fattuale, quindi, per gli Ermellini, escludeva la possibilità di ricondurre la valenza di tali elementi ad una mera funzione aggravante del reato in quanto non solo avevano reso più agevole l’impossessamento dei beni (portafogli, ipod e autovettura della p.o.) ma aveva altresì inciso sulla libertà di autodeterminazione del soggetto passivo del reato.
A sua volta il motivo di appello con cui era stata chiesta la concessione delle attenuanti generiche veniva stimato implicitamente disatteso posto che la Corte territoriale, nell’ambito di una valutazione di carattere complessivo relativa alle questioni poste con riguardo al trattamento sanzionatorio – tra cui quella in tema di concessione delle attenuanti generiche – aveva ritenuto di accogliere soltanto la censura attinente all’entità della sanzione inflitta riducendo la reclusione di dieci mesi e, di conseguenza, con riferimento al diniego della attenuanti generiche così, come al censurato giudizio di mancata prevalenza della diminuente speciale di cui all’art. 116 cod. pen sulla recidiva, si riteneva sufficiente richiamare e fare proprie le argomentazioni spese dal giudice di primo grado.
Secondo i giudici di piazza Cavour, difatti, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali,essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, e da ciò consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 6, Sentenza n. 49970 del 19/10/2012).
Ebbene, in relazione a tale orientamento interpretativo, il Supremo Consesso riteneva come, nel caso in esame, il giudice del merito avesse escluso, con motivazione stimata congrua e scevra da vizi logici non censurabile in sede di legittimità, la concessione delle attenuanti generiche, come la prevalenza dell’attenuante speciale sulla recidiva e sulle altre aggravanti, in forza dei precedenti specifici dell’imputato e della gravità del reato, tenuto conto dell’abilità della condotta e della preordinazione del fatto illecito commesso ai danni della p.o. rilevandosi al contempo che tali indici valutativi, di particolare negativa pregnanza anche in punto di pericolosità sociale del ricorrente, rendevano logicamente recessivo l’elemento favorevole costituito dall’intervenuto risarcimento correttamente apprezzato invece ai fini della concessione della relativa attenuante comune.
Quanto, poi, infine, al rilievo secondo cui l’avvenuta concessione delle attenuanti generiche al coimputato avrebbe reso illogica la mancata concessione delle attenuanti generiche ad entrambi gli imputati, per la Suprema Corte, si trattava di un profilo attinente una diversa posizione processuale e, dunque, rispetto alla cui denunzia, il ricorrente non aveva interesse.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui spiega in che termini possa rilevare la minaccia costitutiva del reato di rapina.
Difatti, in tale sentenza, citandosi un precedente conforme, viene affermato che la minaccia costitutiva del reato di rapina, oltre che essere palese, esplicita e determinata, può essere manifestata in modi e forme differenti ovvero in maniera implicita, larvata, indiretta ed indeterminata essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima e alle condizioni ambientali in cui questa opera.
Tale pronuncia, dunque, deve essere presa dovuta considerazione ogni volta si debba verificare la sussistenza di questo elemento costitutivo del delitto preveduto dall’art. 628 c.p..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, quindi, non può che essere positivo.
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