[Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 307, c. 2, lett. b)]
Il fatto
Il Tribunale del riesame di Palermo accoglieva l’appello proposto nell’interesse di un indagato avverso un provvedimento emesso dal G.U.P. presso il Tribunale di Palermo che aveva ripristinato ai sensi dell’art. 307 comma 2 lett. B codice di rito la misura custodiale nei confronti di costui per decorrenza dei termini – in realtà formalmente dichiarata cessata per decorrenza dei termini nei confronti dei soli coimputati di talchè per questi la custodia cautelare, in virtù del provvedimento di ripristino, proseguiva senza soluzione di continuità – a seguito di condanna dello stesso alla pena di anni otto di reclusione in sede di giudizio abbreviato sulla base del ritenuto pericolo di fuga.
Volume consigliato
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la predetta ordinanza veniva proposto ricorso per cassazione da parte del Pubblico Ministero per erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà del provvedimento in quanto, come affermato in diverse pronunce dalla Cassazione in tema di custodia cautelare in carcere, il ripristino nei confronti dell’imputato, a seguito di sopravvenuta condanna, deve fondarsi sull’entità della pena detentiva inflitta oltre che sulla natura e sulla gravità del reato in funzione del giudizio di probabilità che il condannato possa sottrarsi all’esecuzione della sentenza, ove questa divenga irrevocabile (Cass. pen., sez. II, sent. n. 9277 del 22.01.2013).
Ciò posto si osservava per giunta che, nel caso di specie, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale per il riesame con l’ordinanza impugnata, l’indagato rivestiva nell’organizzazione mafiosa un ruolo di primissimo piano.
Pertanto, le affermazioni del Tribunale contenute nella impugnata sentenza, secondo le quali “non risulta che il predetto svolga compiti di particolare fiducia ad esempio interagendo direttamente con i vertici o fungendo da intermediario nei rapporti con altre famiglie mafiose, piuttosto che gestisca la cassa o comunque altri ruoli essenziali per il gruppo”, ovvero “allo stato non è dato ravvisare uno specifico interesse di Cosa Nostra a favorire la latitanza del M.”, ad avviso del ricorrente, apparivano del tutto erronee e fuori contesto essendo contraddette in primis dalla lettura del capo di imputazione dal quale si evinceva il ruolo apicale dell’indagato, circostanza confermata dalla sentenza di condanna.
Emergeva dunque con chiarezza, per la pubblica accusa, l’interesse della associazione a garantire una eventuale fuga dell’indagato proprio a causa del rilievo della posizione ricoperta da quest’ultimo che erroneamente veniva svalutata in sede di riesame.
Si riteneva pertanto come il Tribunale del riesame avesse errato nell’applicazione dei principi di diritto sopra enunciati e si insisteva quindi per l’annullamento dell’impugnata ordinanza con rinvio per nuovo esame al Tribunale.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso proposto veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Si riteneva all’uopo opportuno a tal proposito premettere che, se è vero che in tema di ripristino della custodia cautelare contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 307, comma secondo, lett. b), cod. proc. pen., il pericolo di fuga, idoneo a giustificare la riemissione del titolo custodiale, può essere desunto dalla condanna dell’imputato per l’appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso a condizione che siano accertati l’attuale esistenza del sodalizio criminale ed il concreto interesse dello stesso a garantire la sottrazione alla cattura dell’imputato, avuto riguardo anche al ruolo svolto dal predetto all’interno del sodalizio medesimo (Sez. 5, n. 52633 del 05/10/2016), è altrettanto indubbio che, poiché il pericolo di allontanamento deve essere effettivo e prevedibilmente prossimo, difficilmente eliminabile con tardivi interventi (Sez. 5, n. 7270 del 06/07/2015), l’interesse suddetto deve essere oltre che concreto anche attuale (attualità che può essere in concreto ravvisata anche in considerazione del ruolo svolto dal prevenuto all’interno della cosa).
Ed invero, si è più in generale affermato che, in tema di misure cautelari, il pericolo di fuga, di cui all’art. 274, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. (nel testo modificato dalla I. 16 aprile 2015, n. 47), oltre che concreto, dev’essere anche attuale, anche se tale requisito non comporta necessariamente l’esistenza di condotte materiali che rivelino l’inizio dell’allontanamento o che siano comunque espressione di fatti ad esso prodromici essendo sufficiente accertare, con giudizio prognostico verificabile, perché ancorato alla concreta situazione di vita del soggetto, alle sue frequentazioni, ai precedenti penali, alle pendenze giudiziarie e, più in generale, a specifici elementi vicini nel tempo, l’esistenza di un effettivo e prevedibilmente prossimo pericolo di allontanamento, che richieda un tempestivo intervento cautelare (Sez. 6 , Sentenza n. 48103 del 27/09/2018).
Che la sussistenza del pericolo di fuga non possa, poi, essere ritenuta, ne’ sulla base della presunzione, ove configurabile, di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ne’ per la sola gravità della pena inflitta con la sentenza che è soltanto uno degli elementi sintomatici per la prognosi da formulare al riguardo, la quale va condotta non in astratto, e quindi in relazione a parametri di carattere generale, bensì in concreto, e perciò con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce (personalità, tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, pregresso comportamento, abitudini di vita, frequentazioni, natura delle imputazioni, entità della pena presumibile o concretamente inflitta), osservava il Supremo Consesso, era stato ben messo in evidenza anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 34537 del 11/07/2001 denotandosi al contempo che il fatto che queste Sezioni non avevano citato espressamente il requisito della attualità dipende, evidentemente, dal fatto che quella pronuncia fu adottata in epoca ampiamente antecedente alla riforma di cui alla legge n. 47 del 2015.
Ora che la norma veste tale nuova formulazione si ritiene, secondo l’opinione di questa Suprema Corte, che, ove pure si volesse ritenere operante la presunzione di cui all’art. 275 comma 3 codice di rito – come affermato in alcune pronunce della Cassazione, così Sez. 1, n. 5155 del 22/11/2017, dep. 02/02/2018, Rv. 27206301 – anche in caso di ripristino della custodia cautelare, ai sensi dell’art. 307, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. nei confronti del condannato per il delitto di associazione di tipo mafioso scarcerato per decorrenza dei termini – ipotesi ricorrente nel caso di specie -, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti accertati, il giudice ha in ogni caso l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’attualità e concretezza del pericolo di fuga.
La disposizione dianzi richiamata, perciò, richiede per la Corte una puntuale valutazione in termini di concretezza e attualità del pericolo di fuga la quale, ancorché non del tutto scollegata rispetto alla pena inflitta in primo grado, deve peraltro tener conto, oltre che del tempo trascorso dai fatti, del periodo di custodia cautelare sofferto, e del comportamento tenuto dall’imputato durante il periodo di libertà, e – in relazione a esso – con unico riguardo al pericolo di fuga e non anche a quello di reiterazione che, come si desume dall’art. 307, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., è estraneo a tale valutazione.
Ciò che si desume e che deve pertanto ritenersi certo, secondo i giudici di piazza Cavour, riassumendo tali principi è che il pericolo di fuga deve essere oltre che concreto anche attuale, così come impone la nuova formulazione della disposizione di cui all’art. 274 lett. b) codice di rito, che le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede, né, nel caso di ripristino dopo la pronuncia di sentenza di condanna, dalla entità della pena inflitta, che la sussistenza del pericolo di fuga non può essere ravvisata ne’ sulla base della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ne’ per la sola gravità della pena inflitta con la sentenza e che in ogni caso occorre una verifica accurata nell’ipotesi in cui sia trascorso un lasso di tempo non trascurabile tra l’applicazione della misura e le ultime manifestazioni comportamentali, criminali o meno, sintomatiche di pericolosità in termini di fuga.
Orbene, alla luce di tali coordinate ermeneutiche, appariva essere evidente, per il Supremo Consesso, che l’elemento indicato in ricorso non fosse sufficientemente indicativo dell’attualità del pericolo di fuga e, dalle ragioni sin qui esposte, se ne faceva derivare, come suesposto anche in precedenza, la declaratoria di inammissibilità del ricorso
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa si chiarisce la portata applicativa dell’art. 307, c. 2, lett. b), c.p.p. che, come è noto, dispone che la “custodia cautelare, ove risulti necessaria a norma dell’articolo 275, è tuttavia ripristinata: (…) contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado, quando ricorre l’esigenza cautelare prevista dall’articolo 274 comma 1 lettera b)” c.p.p..
Difatti, in questa pronuncia, si afferma che, se è vero che in tema di ripristino della custodia cautelare contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 307, comma secondo, lett. b), cod. proc. pen., il pericolo di fuga, idoneo a giustificare la riemissione del titolo custodiale, può essere desunto dalla condanna dell’imputato per l’appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso a condizione che siano accertati l’attuale esistenza del sodalizio criminale ed il concreto interesse dello stesso a garantire la sottrazione alla cattura dell’imputato, avuto riguardo anche al ruolo svolto dal predetto all’interno del sodalizio medesimo, è altrettanto indubbio che, poiché il pericolo di allontanamento deve essere effettivo e prevedibilmente prossimo, difficilmente eliminabile con tardivi interventi, l’interesse suddetto deve essere oltre che concreto anche attuale fermo restando che: a) qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti accertati, il giudice ha in ogni caso l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’attualità e concretezza del pericolo di fuga; b) si deve tener conto, oltre che del tempo trascorso dai fatti, del periodo di custodia cautelare sofferto, e del comportamento tenuto dall’imputato durante il periodo di libertà, e – in relazione a esso – con unico riguardo al pericolo di fuga e non anche a quello di reiterazione che, come si desume dall’art. 307, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., è estraneo a tale valutazione; c) le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede, né, nel caso di ripristino dopo la pronuncia di sentenza di condanna, dalla entità della pena inflitta, che la sussistenza del pericolo di fuga non può essere ravvisata ne’ sulla base della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ne’ per la sola gravità della pena inflitta con la sentenza e che in ogni caso, come appena rilevato poco prima in riferimento a quanto enunciato sub lettera a), occorre una verifica accurata nell’ipotesi in cui sia trascorso un lasso di tempo non trascurabile tra l’applicazione della misura e le ultime manifestazioni comportamentali, criminali o meno, sintomatiche di pericolosità in termini di fuga.
Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare come e in che termini sia applicabile l’art. 307, c. 2, lett. b), c.p.p..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
Volume consigliato
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento