[Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 274, c. 1, lett. c)]
Il fatto
Il Tribunale di Catania rigettava la richiesta, avanzata dal locale Procuratore della Repubblica, di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un indagato.
A fondamento della decisione si rilevava come costui fosse stato tratto in arresto per il delitto di detenzione a fini di cessione di due chilogrammi di infiorescenze di canapa e, sul presupposto della connessione qualificata tra tale addebito e quello più ampio contestato nel presente procedimento al capo 8) come commesso tra marzo e novembre 2017 e, ravvisandosi un’ipotesi di contestazione a catena, veniva stabilita la decorrenza dei termini cautelari di fase dal 9 novembre 2017 e la loro scadenza con conseguente perdita di efficacia della misura eventualmente applicata.
Interposto appello da parte del Procuratore della Repubblica, con ordinanza in data 26 giugno 2020, il Tribunale di Catania, costituito ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., lo accoglieva e, per l’effetto, applicava all’indagato la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 rilevandosi l’insussistenza del vincolo di connessione qualificata tra i reati contestati nei due distinti procedimenti, oggetto delle due domande cautelari per non avere l’indagato all’atto della commissione del primo già previsto quello successivo per il quale sarebbe stato arrestato otto mesi dopo e la non deducibilità degli elementi posti a fondamento della richiesta accolta dagli atti del procedimento nell’ambito del quale era stata emessa la precedente misura cautelare non essendo in quel momento ancora esistente e depositata alla segreteria della Procura l’informativa di reato che forniva supporto probatorio,cosa che si sarebbe verificata soltanto il 10 aprile 2019.
Sul piano della gravità indiziaria, il Tribunale, inoltre, rilevava come, in base alle risultanze dei servizi di intercettazione e delle operazioni di arresto in flagranza dei coindagati e sequestro della sostanza stupefacente trattata, fosse emerso che, nel periodo dal marzo a novembre 2017, vi era stata una cooperazione da parte del ristretto con altra persona nell’attività di custodia di partite di stupefacente, di ricezione di marijuana in conto vendita, nella tenuta della contabilità dei traffici.
In punto delle esigenze cautelari, si ravvisava infine il pericolo di recidivazione specifica per la negativa personalità dell’indagato ed il suo rapporto con una persona che era in sinergia con sodalizi mafiosi, proiettato alla prosecuzione futura dei loro traffici illeciti, nella ritenuta adeguatezza della sola misura in esecuzione.
Volume consigliato
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso l’indicato provvedimento proponeva ricorso per Cassazione l’indagato, a mezzo del difensore, il quale ne aveva chiesto l’annullamento per: a) violazione di legge e vizio di motivazione per l’assenza di adeguata giustificazione quanto alla possibilità di applicare misura meno afflittiva anche in considerazione del tempo trascorso dai fatti e della necessità di condurre una valutazione in concreto ed all’attualità del ravvisato pericolo mentre, al contrario, l’ordinanza si era basata soltanto sul titolo del reato senza tener conto della personalità dell’indagato desumibile dal certificato giudiziale e da quello dei carichi pendenti così come non era stato considerato che egli dal 9 novembre 2017 si trovava agli arresti domiciliari ed in detenzione domiciliare e aveva sempre rispettato le prescrizioni; b) violazione dei criteri di adeguatezza e proporzionalità della misura in quanto l’adeguatezza degli arresti domiciliari era considerata anche in relazione alla prognosi di spontaneo adempimento delle prescrizioni da parte del sottoposto non essendo sufficiente in senso contrario l’astratta possibilità dell’inefficacia dei controlli; nel caso specifico il ristretto, dal novembre 2017, si era sempre attenuto alle limitazioni impostegli.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva stimato infondato per le seguenti ragioni.
Veniva premesso come l’impugnazione all’odierno esame incentrasse le contestazioni difensive esclusivamente sui profili delle esigenze cautelari e dell’adeguatezza della misura applicata dal Tribunale senza muovere censure alla decisione riguardante l’esclusione della retrodatazione della misura al momento di esecuzione di altra precedentemente applicata al ricorrente.
A fronte di ciò, si reputava necessario premettere che nel presente procedimento al ricorrente era ascritto il delitto continuato di cui all’art. 73, commi 1, 4 e 6, d.P.R. n. 309 del 1990 per avere, in concorso con altri, acquistato, detenuto e ceduto o posto in commercio sostanza stupefacente del tipo marijuana, fatti commessi dal febbraio al novembre 2017.
Il Tribunale, ravvisata la gravità indiziaria, dal canto suo, aveva ritenuto di dover affermare a carico di questi il concreto ed attuale pericolo di ripetizione di altri analoghi reati in materia di stupefacenti a ragione del carattere stabile ed organizzato del traffico gestito in cooperazione con i coindagati, della copertura a tale impegno criminoso fornita dall’essere uno di questi esponente dell’organizzazione mafiosa cosa nostra, del volume delle transazioni e delle sostanze trattate e della proiezione verso il futuro degli accordi e delle complicità in atto ed aveva quindi espresso un giudizio negativo anche sulla personalità dell’indagato, siccome gravato da precedenti penali specifici.
L’individuazione del pericolo di recidivazione specifica era dunque stata operata, secondo il Supremo Consesso, in base a dati informativi realmente acquisiti e correttamente apprezzati dandosi conto in modo esauriente e del tutto logico dell’esigenza cautelare ravvisata secondo un percorso argomentativo che non presentava le carenze denunciate, né vizi logici di sorta.
Oltre a ciò, veniva fatto presente come non trovasse rispondenza nella motivazione dell’ordinanza in esame nemmeno l’addebito mosso in ricorso secondo cui l’esigenza di prevenzione di nuovi reati sarebbe stata inferita soltanto dal titolo di reato atteso che, al contrario, i giudici di merito dell’appello cautelare avevano condotto la disamina dei fatti criminosi come contestati ed emersi dall’attività investigativa, né avevano evidenziato le modalità di consumazione e la dimostrata progettualità verso la commissione di future transazioni di stupefacenti anche mediante l’acquisto della sostanza in conto vendita – cosa che non aveva richiesto l’investimento preventivo di capitali per procurarsi la droga e postulava un rapporto fiduciario con i fornitori -, l’epoca di commissione protratta sino al novembre 2017, periodo in cui si collocava anche la consumazione dell’altro episodio del 9 novembre 2017, per il quale il ricorrente era stato tratto in arresto in flagrante detenzione a fini di cessione di due chilogrammi di sostanza stupefacente, occultata in una stalla a sua disposizione (pag. 105 ordinanza genetica).
Veniva poi osservato come l’impugnazione postulasse una nozione di pericolosità, asseritamente inosservata nel giudizio cautelare di merito, che in realtà non era stata coerente con gli indirizzi più recenti della giurisprudenza della Cassazione.
In particolare, secondo la difesa, l’impugnante non avrebbe potuto reiterare reati perché non sarebbe stata dimostrata la ricorrenza di prossime occasioni favoreli.
Orbene, in relazione a cotale censura difensiva, la Suprema Corte osservava come l’espressa previsione del requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, in aggiunta a quello della concretezza, introdotta dalla legge 16 aprile 25, n. 47 nel testo dell’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ponga a carico del giudice l’onere di motivare sulle ragioni per cui ritiene sussistenti entrambi i presupposti per l’applicazione o il mantenimento di una misura (sez. 3, n. 12921 del 17/2/2016; sez. 2, n. 50343 del 3/12/2015) fermo restando che, tuttavia, diversamente da quanto opinato dalla difesa dell’odierno ricorrente, il requisito della attualità non va equiparato “all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma indica, invece, la continuità del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare” (sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020; sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018; sez. 5, n. 33004 del 3/5/2017; sez. 2, n. 18745 del 14/4/2016; sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015; sez. 6, n. 15978 del 27/11/2015) e quindi il giudice non doveva riscontrare l’esistenza di «occasioni di riproduzione» della condotta illecita le quali si connotano come elementi “non dominabili” da parte del soggetto e del tutto incerti, dovendosi, invece, ancorare il giudizio prognostico unicamente alla rigorosa e complessiva valutazione dei comportamenti e delle modalità di realizzazione dei fatti attribuiti al soggetto e non alla individuazione di occasioni prossime di agevolazione della ripetizione degli illeciti reato.
Ed ancora, veniva notato come, sempre in sede nomofilattica, sia stato osservato che, in tema di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie non va inteso come pericolo di commissione dello stesso fatto reato atteso che l’oggetto del periculum è la reiterazione di astratti reati della stessa specie e non del concreto fatto oggetto di contestazione, (sez. 5, n. 70 del 24/09/2018, dep. 2019), pericolo, a sua volta, da desumere da elementi concreti, ricavati dall’analisi della personalità dell’indaga o, dall’esame delle sue concrete condizioni di vita, da dati ambientali o di contesto, nonché dalle modalità dei fatti per cui si procede (sez. 2, n. 55216 del 18/09/2018).
Ciò posto, veniva parimenti reputato infondato anche il secondo motivo in quanto l’ordinanza impugnata, seppur in sintesi, aveva escluso l’adeguatezza alla pericolosità dell’indagato della meno gravosa misura domiciliare, applicata nell’ambito dell’altro procedimento, sulla scorta del rilievo dell’inidoneità ad impedire la protrazione anche dal domicilio dei traffici criminosi di stupefacenti. Siffatta valutazione, ad avviso della Suprema Corte, non soltanto non presentava profili di irragionevolezza ma non era astratta e generica perché si alimentava del rilievo dell’avvenuta custodia da parte del ricorrente di singole partite di droga proprio in locali di sua pertinenza secondo quanto emerso dalle conversazioni intercettate riportate nell’ordinanza genetica.
Rispetto a tali rilievi, d’indubbia valenza prognostica, la circostanza del rispetto delle prescrizioni connesse alla misura domiciliare applicata in altro procedimento non assumeva, per il Supremo Consesso, una reale capacità confutativa.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui si chiarisce in cosa consiste il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato di cui all’art. 274, c. 1, lett. c), c.p.p..
Difatti, in questa pronuncia, una volta fatto presente che l’espressa previsione del requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, in aggiunta a quello della concretezza, introdotta dalla legge 16 aprile 25, n. 47 nel testo dell’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., pone a carico del giudice l’onere di motivare sulle ragioni per cui ritiene sussistenti entrambi i presupposti per l’applicazione o il mantenimento di una misura, viene affermato, citandosi giurisprudenza conforme, che il requisito della attualità non va equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma indica, invece, la continuità del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare.
Tale provvedimento, dunque, può essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare l’effettiva ricorrenza dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
Volume consigliato
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento