(Riferimento normativo: L., 24 aprile 2005, n. 69)
Il fatto
La Corte di appello di Milano aveva disposto la consegna di S.V. , destinatario di un mandato di arresto esecutivo disposto dall’autorità giudiziaria di Romania, in ragione di una sentenza di condanna definitiva emessa per i reati di guida senza patente e tentato omicidio.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questa decisione proponeva ricorso per cassazione l’avv. A. A. articolando tre motivi così formulati: 1) violazione di legge in relazione alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18 lett. r), e vizio di motivazione in quanto la sentenza sarebbe stata viziata per non aver considerato che S.V. sarebbe un soggetto radicato stabilmente sul territorio nazionale, residente in Italia dal 2004, che vive nel comune di V. insieme alla di lui madre ed alla nonna; in particolare, si osservava che
il consegnando avrebbe: a) conseguito in Italia la licenza media inferiore ed avrebbe proseguito gli studi fino all’anno scolastico 2013/2014; b) prestato attività lavorativa non regolarizzata presso la società Fed srl.; c) fornito assistenza e cura alla nonna invalida; d) documentato il diffuso ricorso al Servizio sanitario Nazionale e comprovato la volontà della famiglia di stabilirsi definitivamente in Italia attraverso la produzione della “richiesta” di residenza in Italia da parte della di lui compagna;
oltre a ciò si evidenziava come costui sarebbe stato nel frattempo formalmente assunto presso la società indicata il 26/06/2019 e a tal proposito si riteneva come sarebbe stato viziato il ragionamento della Corte di appello secondo cui, avendo la stessa data in cui fu eseguito l’arresto del ricorrente, il contratto sarebbe stato “redatto per l’occasione“; oltre a ciò, si faceva presente che i reati sarebbero stati commessi in Romania in occasione dei viaggi del ricorrente legati al suo rapporto con l’attuale compagna, conosciuta nel 2011; 2) e 3)
violazione di legge in relazione alla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. h), posto che, in ragione delle permanenti condizioni delle carceri rumene, la Corte di appello avrebbe dovuto rifiutare la consegna atteso il rischio per il ricorrente di essere sottoposto a condizioni carcerarie disumane e degradanti, o, quantomeno, assumere informazioni complementari alle autorità rumene.
A sua volta l’avv. S. C. proponeva anch’esso ricorso per Cassazione articolato nei seguenti motivi:
I) violazione di legge in relazione alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18 lett. r) e vizio di motivazione mettendosi in evidenza, da una parte, come la Corte di appello avrebbe, in un procedimento analogo, riconosciuto il diritto del reo ad espiare la pena in Italia e, dall’altra, che i reati commessi in Romania non sarebbero stati rivelatori di legami con quel territorio; II)
nullità della sentenza impugnata attesa l’omessa indicazione dei requisiti di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 6, lett. c)-d)-e)- e art. 4, lett. a)-b) dal momento che la sentenza farebbe riferimento alle norme indicate solo in relazione alla sentenza con cui S. sarebbe stato condannato alla pena di sette anni ed un mese di reclusione per i reati di guida senza patente e tentato omicidio ma non anche per i reati e le sentenze per le quali è stata disposta la revoca della sospensione condizionale della pena.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
I ricorsi venivano ritenuto infondati per le seguenti ragioni.
Si osservava prima di tutto come il primo motivo di entrambi i ricorsi fosse inammissibile stante il fatto che la giurisprudenza della Corte di cassazione è consolidata nel ritenere che la nozione di “residenza“, che viene in considerazione per l’applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla L. 24 aprile 2005, n. 69, presuppone l’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali (tra le altre, Sez. 6, n. 49992 del 30/10/2018, omissis, Rv. 274313; Sez. 6, n. 50386 del 25/11/2014).
A fronte di ciò, si denotava come la Corte di appello di Milano avesse fatto corretta applicazione dei principi in questione e avesse ritenuto mancanti gli indici concorrenti ai fini della integrazione della nozione di radicamento non essendo stata documentata in maniera sufficiente la sussistenza di una attività lavorativa e di legami affettivi in Italia; in particolare, a fronte della produzione di documentazione formale relativa alla residenza ed all’uso del servizio sanitario da parte di S., ad avviso della Corte, non solo non era stata adeguatamente documentata l’attività lavorativa ma esistavano in atti elementi oggettivi che inducevano a ritenere che S. avesse rapporti stabili in Romania tenuto conto del numero dei reati commessi in quello Stato, compreso quello per cui si procede, e della residenza in Romania della sua compagna così come non appariva
irrilevante la circostanza che sia il contratto di lavoro prodotto, sia la dichiarazione, del tutto informale, di tale I.I. , cioè la compagna dei S. , di “fare la residenza” in Italia fossero stati successivi all’arresto del ricorrente.
Oltre a ciò, venivano parimenti stimati infondati anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso presentato dall’avv. A..
Nel dettaglio, i giudici di piazza Cavour facevano presente come la Corte di cassazione avesse in più occasioni chiarito, in tema di mandato di arresto Europeo c.d. esecutivo, che il motivo di rifiuto della consegna di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h), – che ricorre in caso di “serio pericolo” che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti – impone all’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione, secondo quanto chiarito dalla Corte di giustizia della Unione Europea (sentenza 5 aprile 2016, C404/15, Aaranyosi e C 659/15, Caldararu), di verificare, dopo aver accertato l’esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro, se, in concreto, la persona oggetto del m.a.e. potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano sicché a tal fine può essere richiesta allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare necessaria, (cfr., per tutte, Sez. 6, n. 23277 dell’1/06/2016).
Tal che se è necessario che esista innanzitutto un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro, si metteva però in risalto il fatto che, come più volte postulato in sede di legittimità ordinaria, (Sez. F, n. 35554 dell’1/08/2019, omissis, non mass; Sez. 6, n. 7186 del 07/02/2018; omissis, non mass.; Sez. 6, n. 7187 del 09/02/2018, omissis, non mass.; Sez. 6, n. 18016 del 18/04/2018, omissis, non mass.), la situazione carceraria nello Stato rumeno era tuttavia obiettivamente mutata e di tale cambiamento se ne dava atto la presentazione il 25 gennaio 2018 di un action plan per contrastare tutti i gaps riscontrati dalla sentenza pilota della Corte EDU Rezmives ed altri c. Romania del 25 aprile 2017 che aveva condannato la Romania per le carenze strutturali delle condizioni di detenzione, ritenute in violazione dell’art. 3 CEDU, chiedendo la introduzione di “misure generali per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario e delle pessime condizioni di detenzione“.
Orbene, a fronte di tale mutata situazione rispetto a quella riscontrata dalle precedenti decisioni di organismi giudiziari sovranazionali e da plurime decisioni di legittimità in tema di m.a.e., ad avviso del Supremo Consesso, assumeva rilievo il principio di diritto secondo cui, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa alla consegna, incombe sul consegnando l’onere di allegare elementi oggettivi, precisi, attendibili e aggiornati in merito alle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente, idonei a fondare il timore che la sua consegna preluda a un trattamento incompatibile con i diritti fondamentali della persona (Sez. 6, n. 11492 del 14/02/2019, omissis, Rv. 275166; Sez. 6, n. 8529 del 13/01/2017, omissis, Rv. 269201).
Alla stregua di quanto sin qui esposto, si rilevava invece come nel caso di specie non solo non fosse stato allegato alcunché dal ricorrente davanti alla Corte di appello, ma la questione non fosse stata nemmeno formalmente dedotta atteso che solo con il ricorso per cassazione si era fatto riferimento al motivo di rifiuto in esame.
Veniva parimenti considerato inammissibile il secondo motivo del ricorso presentato dall’avv. C. dato che, ai sensi della L. n. 69 del 2005, art. 6, comma 1, lett. f, il mandato d’arresto Europeo deve precisare la pena inflitta se vi è una sentenza definitiva ovvero, negli altri casi, pena minima e massima stabilita dalla legge dello Stato di emissione e che, ai sensi del successivo art. 16, qualora la corte di appello non ritenga sufficienti ai fini della decisione la documentazione e le informazioni trasmesse dallo Stato membro di emissione, può richiedere allo stesso, direttamente o per il tramite del Ministro della giustizia, le informazioni integrative occorrenti;invero,
come precisato da Sez. 6, n. 40614 del 21/11/2006, in tema di mandato d’arresto Europeo, spetta all’autorità giudiziaria richiesta della consegna la valutazione se, in presenza di omissioni nelle informazioni prescritte dalla L. n. 69 del 2005, art. 6, la lacuna sia ostativa alla consegna tenendo conto della concreta fattispecie penale dedotta e di ogni altra informazione trasmessa.
Ebbene, nella fattispecie in esame, secondo la Corte, nella sentenza di condanna – quella in ragione della quale era stata chiesta la consegna – erano stati indicati specificamente tutti provvedimenti per cui si era proceduto alla revoca della sospensione della pena e tutte le sentenze poste a fondamento della nuova determinazione del trattamento sanzionatorio mentre,
a fronte di tali dati obiettivi correttamente valorizzati, nulla era stato dedotto davanti alla Corte di appello ed, ad opinione degli ermellini, il motivo di ricorso per cassazione era strutturalmente generico.
Conclusioni
La sentenza in commento è assai interessante nella parte in cui chiarisce in cosa consiste la nozione di “residenza” ai fini dell’applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla L. 24 aprile 2005, n. 69.
Difatti, in questa pronuncia, avvalendosi della giurisprudenza elaborata dalla stessa Cassazione in subiecta materia, i giudici di legittimità ordinaria hanno postulato che la nozione di “residenza“, che viene in considerazione per l’applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla L. 24 aprile 2005, n. 69, presuppone l’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, pertanto, proprio per aver chiarito siffatto profilo giuridico, non può che essere positivo.
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