(Ricorso rigettato)
(Riferimenti normativi: L. n. 646/1982, artt. 30 e 31; Cod. ant., artt. 76, c. 7 e 80)
Il fatto
Il Tribunale del Riesame di Cosenza, decidendo a seguito di annullamento con rinvio da parte della Prima Sezione Penale della Corte di cassazione (sentenza n. 51404 del 21/9/2018), aveva rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse di M. F. ed aveva confermato il decreto di sequestro preventivo anche per equivalente emesso dal GIP presso il Tribunale di Cosenza in data 14.3.2018 dell’autovettura Jeep B. A. 09 targata … di proprietà dell’istante (o di altri beni equivalenti di cui egli aveva avuto la disponibilità fino alla concorrenza dell’importo corrispondente al valore del mezzo).
All’indagato, in particolare, era contestato il reato di omessa comunicazione di ogni variazione patrimoniale non inferiore ad euro 10.392,14 – previsto dagli artt. 76, comma 7, e 80 d.lgs. n. 159 del 2011 – in relazione all’acquisto della suddetta autovettura, avvenuto in data 14.7.2016, nonostante egli fosse gravato dagli obblighi di comunicazione stabiliti per la durata di dieci anni dalle predette norme di legge, in quanto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con decreto del Tribunale di Cosenza, sezione misure di prevenzione, del 13.7.2005, irrevocabile il 29.9.2009.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione e i motivi aggiunti
Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, deducendo il seguente motivo: violazione di legge in relazione alla mancata osservanza da parte del giudice del rinvio delle indicazioni della Corte di cassazione dettate con la sentenza rescindente posto che, nonostante i giudici di legittimità avessero statuito che fosse necessario verificare la sussistenza dell’elemento psicologico del reato ascritto al ricorrente, ad avviso del ricorrente, il Tribunale di Cosenza si era sottratto a tale accertamento, svolto solo apparentemente senza fornire logica ed adeguata motivazione.
Si evidenziava in particolare che l’impugnante, detenuto in ragione dell’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, eseguita quattro giorni dopo l’acquisto dell’auto che sarebbe stato oggetto dell’omessa comunicazione, era nell’impossibilità materiale di adempiere al comando normativo e la condotta non era esigibile da parte sua essendo intervenuta una causa di forza maggiore che aveva impedito l’adempimento dell’obbligo.
Oltre a ciò, si faceva altresì presente che, coerentemente a quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 364 del 1988 che aveva dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile, nonché dalla giurisprudenza di legittimità, che richiede anche per il reato omissivo proprio una indagine effettiva sulla sussistenza del dolo, nel caso di specie, il dolo del reato non poteva identificarsi nella coscienza e volontà da parte dell’indagato del proprio status soggettivo da cui deriva l’obbligo ma doveva comprendere anche la coscienza e volontà di sottrarsi a quell’obbligo sicchè !a coscienza dell’illiceità non poteva che coincidere con la conoscenza del precetto penale.
Si deduceva, in proposito, la circostanza che l’indagato fosse analfabeta e, d’altra parte, l’illogicità della motivazione impugnata nella parte in cui riteneva tale dato irrilevante in considerazione del ruolo criminale di spicco del ricorrente e dell’essere stato sottoposto da molti anni a procedimenti penali e di prevenzione mentre, in realtà, i reati commessi dal ricorrente non avevano alcun collegamento con le sue capacità di comprensione di una normativa così specifica quale è quella relativa al reato in contestazione.
Con motivi aggiunti depositati in data 7.2.2019, il difensore del ricorrente deduceva nullità dell’udienza di riesame del 6.12.2018, data in cui era stato deliberato il provvedimento impugnato, poiché l’indagato, pur avendo presentato istanza di partecipare all’udienza in videoconferenza già in data 22.11.2018, non era stato tradotto per detta udienza e, anzi, il Tribunale del Riesame aveva dato atto che egli non avesse chiesto di presenziare evidenziandosi al contempo come costui avesse avuto notizia di tale circostanza soltanto successivamente alla proposizione del ricorso.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava innanzitutto come i giudici del rinvio avessero ampiamente risposto alle indicazioni stabilite dalla decisione della Prima Sezione della Corte di cassazione n. 51404 del 21/9/2018 motivando espressamente e specificamente sulla irrilevanza dello stato di detenzione ai fini della configurabilità del reato non essendo ritrovabile nella condizione di detenzione una causa impeditiva assoluta di qualsiasi forma di comunicazione esterna, non inibita neppure, per certi aspetti, ai detenuti di mafia in regime speciale di detenzione ex art. 41-bis ord. pen. tenuto conto altresì del fatto che, a detta dei giudici cosentini, il ricorrente avrebbe potuto adempiere anche dopo il decorso del termine di 30 giorni previsto dalla disciplina degli artt. 76 e 80 d. Igs. n. 159 del 2011, cosa che, invece, non era avvenuta.
Si evidenziava oltre tutto come, nel nostro sistema penitenziario, lo stato di detenzione non escluda certamente i soggetti ristretti dall’esercizio dei loro diritti e doveri elementari o necessari, magari sanciti anche da norme di legge che prevedono obblighi al cui inadempimento segua addirittura la configurabilità di un reato e dunque sarebbe schizofrenico quell’ordinamento giuridico che privasse, da un lato, una categoria di soggetti della possibilità di effettuare comunicazioni e, dall’altro, prevedesse a loro carico sanzioni addirittura penali per l’omissione delle medesime comunicazioni.
Detto questo, si metteva in risalto il fatto come quanto appena esposto non fosse sussistente nel nostro sistema giuridico che, come correttamente posto in luce dal Tribunale di Cosenza, prevede la possibilità per il detenuto di adempiere ai propri obblighi e di esercitare i propri diritti basilari nelle forme ovviamente consone allo stato di detenzione.
In relazione, poi, alla dedotta violazione dell’art. 5 cod. pen., come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale, il provvedimento impugnato, ad avviso della Corte, spiegava bene i confini di applicabilità della regola dell’ignoranza inevitabile certamente non applicabile nel caso delle norme contestate all’indagato che sono perfettamente comprensibili soprattutto da un soggetto che, come aveva logicamente argomentato il Tribunale di Cosenza, non era certo nuovo ad esperienze di impatto con la legislazione penale, più volte violata così come più volte egli era stato sottoposto a procedimenti di prevenzione fermo restando tra l’altro che, come più volte la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito, la dimenticanza sull’esistenza di un obbligo di legge si traduce in un’ignoranza del precetto penale rilevante nei limiti di cui all’art. 5 cod. pen. a condizione che essa sia inevitabile secondo i parametri individuati dalla sentenza della Corte cost., n. 364 del 1988 (cfr. Sez. 6, n. 58227 del 23/10/2018), e cioè solo qualora eventualmente sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma da cui deriva l’obbligo (Sez. 7, ord. n. 44293 del 13/7/2017) senza d’altronde non poter non considerare il fatto che le Sezioni Unite, già pochi anni dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 364 del 1988, avevano inteso dettare i criteri interpretativi che delimitano il concetto di inevitabilità incolpevole dell’ignoranza della legge penale, idonea a scusare l’autore dell’illecito (Sez. U, n. 8154 del 10/6/1994, omissis, Rv. 197885), segnalando la necessità di operare tale verifica utilizzando anche parametri specificamente ricostruiti rispetto a costui ed alla sua situazione soggettiva di conoscenza della legge.
Tal che se ne faceva conseguire come ben avesse fatto il Tribunale del Riesame a chiarire che il ricorrente non poteva considerarsi certo un “sprovveduto” nel senso di essere incapace di comprendere la portata di un precetto penale, benché analfabeta, in ragione della sua condizione di soggetto da tempo sottoposto a processi penali.
Chiarito ciò, quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico richiesto dalla fattispecie di reato in esame, il Supremo Consesso postulava come il Tribunale del riesame avesse fornito convincente motivazione citando correttamente la giurisprudenza di legittimità che, in modo pressoché pacifico, ritiene il coefficiente soggettivo del delitto in questione – e in generale delle fattispecie speciali in materia di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali – integrato dal dolo generico, che si esaurisce nella coscienza e volontà di omettere le comunicazioni previste dalla norma e non si estende sino alla volontà specifica di occultare alla polizia economico-finanziaria le informazioni dovute (Sez. 5, n. 38098 del 29/5/2015; Sez. 6, n. 33590 del 15/6/2012) rilevandosi al contempo come fosse stato anche affermato che l’elemento soggettivo del delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali da parte dei condannati per reati di criminalità organizzata (artt. 30 e 31 legge n. 646 del 1982) è integrato dal dolo generico in quanto implica la consapevolezza dell’imputato di essere stato condannato per reati di mafia e va di volta in volta desunto da indici sintomatici legati alle vicende di acquisizione dei beni in rapporto anche al valore degli stessi (Sez. 6, n. 36659 del 17/6/2015; cfr. anche Sez. 5, n. 8768 del 23/1/2018; Sez. 5, n. 41423 del 5/7/2018).
Anche i motivi aggiunti venivano stimati inammissibili in quanto ritenuti non aventi alcuna attinenza con quelli dedotti nel ricorso principale fermo restando che, ad ogni modo, l’eccezione non aveva comunque pregio ed anzi era manifestamente infondata posto che la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che i motivi nuovi di impugnazione devono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazione principale già presentata essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari (Sez. 6, n. 6075 del 13/1/2015; Sez. 6, n. 45075 del 2/10/2014; Sez. 1, n. 5182 del 15/1/2013; Sez. 3, n. 14776 del 22/1/2004) oltre a doversi considerare che non si applica al riesame di una misura cautelare reale la disciplina dettata dall’art. 309 cod. proc. pen. per l’impugnazione delle misure cautelari personali dinanzi al Tribunale della Libertà, quanto alle disposizioni relative ai commi 6 e 8-bis del citato articolo del codice di rito – e, quindi, alla previsione della possibilità per l’indagato detenuto di chiedere, al momento della presentazione dell’istanza di riesame, di presenziare personalmente all’udienza ed al relativo diritto di comparizione personale che consegue da detta istanza se completa – non richiamate dall’espressa indicazione del comma 7 dell’art. 324 cod. proc. pen. dedicato alle modalità e forme delle impugnazioni avverso i provvedimenti cautelari reali.
Conclusioni
La sentenza qui in rassegna è assai interessante nella parte in chiarisce l’elemento soggettivo richiesto affinchè sia configurabile il delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali da parte dei condannati per reati di criminalità organizzata e sulla scorta di quali elementi possa essere desunto.
Difatti, in questa decisione, si postula, da un lato, che il coefficiente soggettivo del delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali si esaurisce nella coscienza e volontà di omettere le comunicazioni previste dalla norma, dall’altro, che l’elemento soggettivo del delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali da parte dei condannati per reati di criminalità organizzata (artt. 30 e 31 legge n. 646 del 1982) è integrato dal dolo generico in quanto implica la consapevolezza dell’imputato di essere stato condannato per reati di mafia e va di volta in volta desunto da indici sintomatici legati alle vicende di acquisizione dei beni in rapporto anche al valore degli stessi.
Tal che in questa pronuncia, come appena visto prima, si stabilisce l’elemento psicologico richiesto per la sussistenza del delitto di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali, ossia la coscienza e la volontà di omettere le comunicazioni previste dalla norma nella misura in cui l’imputato sia consapevole essere stato condannato per reati di mafia rilevandosi al contempo che, per verificare tale coefficiente soggettivo, si possono ricorrere ad indici sintomatici legati alle vicende di acquisizione dei beni in rapporto anche al valore degli stessi.
Alla luce di questa funzione chiarificatrice che connota tale decisione, il giudizio in ordine a quanto ivi statuito, di conseguenza, non può che essere positivo.
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