(Riferimenti normativi: Cod. pen., artt. 393, 628)
Il fatto
La Corte di Appello di Palermo, pur parzialmente riformando una sentenza pronunciata dal Gip del Tribunale di Trapani, confermava però la condanna in relazione al reato di cui all’art. 628 cod. pen..
In particolare, secondo la ricostruzione del fatto conformemente operata nelle due sentenze di condanna, l’imputato, creditore della persona offesa della somma di E. 80 precedentemente data in prestito, dopo essersi recato a casa di quest’ultimo, si impossessava di un orologio che ivi era custodito sopra un tavolo e, dopo aver usato violenza, si dava alla fuga
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Proponeva ricorso per cassazione l’imputato deducendo il seguente motivo: violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di rapina dovendosi riqualificare i fatti ai sensi dell’art. 393 cod. pen., avendo l’imputato agito al solo scopo di recuperare il proprio credito dato che, secondo il ricorrente, la Corte d’appello aveva errato a non inquadrare i fatti nell’ipotesi prevista dall’art. 393 cod. pen., tenuto conto della pretesa creditoria vantata verso la persona offesa, e da questi non contestata, circostanza che rivelava l’assenza del dolo di rapina.
Egli era, pertanto, animato solo dalla volontà di esercitare un proprio diritto e si era, peraltro, determinato all’azione violenta solo dopo la richiesta di onorare il debito rispondendo di “pazientare ancora qualche giorno” mancando, dunque, la componente soggettiva del reato contestato in relazione alla quale non rilevava la sproporzione tra credito e valore dell’orologio sottratto.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso era stimato inammissibile perché ritenuto basato su motivi manifestamente infondati.
Si osservava a tal proposito come la Corte d’appello, conformemente al primo giudice, avesse adeguatamente illustrato e valorizzato la diversità della natura del credito affermato dall’imputato (E. 80) rispetto al bene sottratto con violenza nonché l’evidente sproporzione tra l’ammontare del credito (peraltro definito di dubbia azionabilità) rispetto al valore dell’orologio sottratto (stimato in circa E. 2000 dalla persona offesa, con determinazione che non ha formato oggetto di puntuale confutazione); aspetti tali da escludere la configurabiltà di una possibile correlazione tra azione di spossessamento e asserito diritto e da rendere evidente l’ingiustizia del profitto conseguito, conformandosi in tal guisa a quell’orientamento nomofilattico secondo cui l’elemento distintivo del delitto di rapina, rispetto a quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, risiede nell’elemento soggettivo, perché nel primo caso l’autore agisce al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa (in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza di condanna per il delitto di rapina pronunciata nei confronti degli imputati che, vantando un credito riconducibile alla mancata restituzione di una modesta somma di denaro elargita alla persona offesa, l’avevano inseguita e, nel corso della colluttazione successivamente sviluppatasi, le avevano sottratto il cellulare). Massime precedenti conformi: n. 8753 del 1987 – 01, n. 5397 del 1989, n. 11591 del 1989, n. 43325 del 2007, n. 23678 del 2015.
Orbene, ad avviso del Supremo Consesso, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, era indubbio che alcuna pretesa creditoria l’imputato potesse vantare sul bene sottratto il cui valore eccedeva di gran lunga, in ogni caso, l’ammontare del credito e ciò refluiva, con evidenza, sul dolo che ha sorretto l’azione di causa dato che se, recentemente, le SS.UU. hanno condivisibilmente ribadito (cfr. sentenza n. 29541 del 16/7/2020) che, ai fini dell’integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente coltivata dall’agente deve corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l’agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente (Sez. 5, n. 2819 del 24/11/2014, dep. 2015; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016), pur tuttavia, come appena enunciato, nessun potenziale diritto dell’imputato era mai stato adeguatamente dedotto, né pur minimamente dimostrato, visto che la giurisprudenza di legittimità ha individuato la differenza tra i due reati di rapina e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone nell’elemento soggettivo rappresentato nel primo caso dalla volontà dell’autore di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto “nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa” (Sez. 2, Sentenza n. 11484 del 14/12/2016, Sez. 2, n. 34042 del 20/11/2020, Sez. 2, n. 29007 del 9/10/2020).
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito in cosa il delitto di rapina si distingue da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone.
Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, è stabilito, da un lato, che l’elemento distintivo del delitto di rapina, rispetto a quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, risiede nell’elemento soggettivo, perché nel primo caso l’autore agisce al fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa, dall’altro, che la differenza tra i due reati di rapina e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone nell’elemento soggettivo rappresentato nel primo caso dalla volontà dell’autore di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto nella consapevolezza che quanto pretende non gli spetta e non è giuridicamente azionabile, mentre nell’altro agisce nella ragionevole opinione di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa.
Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare quale di questi due illeciti penali sia configurabile.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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