precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. II., Sentenza n. 21307 del 20/10/2016
La vicenda
Una condomina trasformava una cantina in piccolo appartamento. Il condominio, una volta riscontrato che il bene aveva iniziato ad essere saltuariamente frequentato come abitazione, richiedeva chiarimenti alla condomina; quest’ultima si dichiarava disponibile a concordare, con scrittura privata, un impegno ad utilizzare il locale solo per uso proprio, per brevi periodi dell’anno e a non locarlo o darlo in uso a terzi; inoltre era disponibile a limitarne comunque l’uso futuro e a riservare, per il caso di vendita, la prelazione al condominio.
L’immobile, però, veniva locato a terzi e i condomini, preoccupati per il mancato rispetto delle prescrizioni riferite alle normative di sicurezza degli impianti, scarico dei fumi e dei liquami, nonché quelle igienico sanitarie, segnalavano la situazione all’ASL (Igiene e Sanita Pubblica), Vigili del Fuoco e Comune, al fine di richiedere un sopralluogo per gli accertamenti e le verifiche del caso; l’appartamento cantina veniva poi venduto (senza certificato di agibilità) ad un nuovo proprietario e affittato ad un nucleo familiare composto da due persone; successivamente il condominio citava davanti al Tribunale della sua città il nuovo proprietario del locale, chiedendo che l’immobile fosse nuovamente destinato ad uso cantina, previa esecuzione delle opere necessarie.
A fondamento della richiesta la collettività condominiale richiamava una clausola del regolamento condominiale, approvato dall’assemblea, secondo cui la destinazione degli appartamenti e delle cantine ad uso diverso dall’abitazione o da recapito commerciale o professionale era condizionata alla preventiva autorizzazione dell’assemblea dei condomini con il voto favorevole dei due terzi dei componenti il condominio, rappresentanti almeno 2/3 del valore dell’edificio.
La questione
Una clausola del regolamento assembleare può condizionare il mutamento di destinazione di una cantina in appartamento alla preventiva autorizzazione dell’assemblea dei condomini con il voto favorevole dei due terzi dei componenti il condominio, rappresentanti almeno 2/3 del valore dell’edificio?
La soluzione
Il Tribunale ha ritenuto che il condominio avesse torto e la delibera fosse nulla.
Ciò perché la previsione regolamentare sopra riportata avrebbe dovuto essere approvata con l’unanimità dei partecipanti al condominio.
Sotto altro punto di vista, lo stesso giudice ha osservato che il convenuto aveva acquistato la cantina-appartamento dal soggetto che aveva realizzato quel mutamento di destinazione; di conseguenza quella clausola, per essere opponibile al nuovo condomino, avrebbe dovuto essere trascritta; al contrario – come ha notato il Tribunale – nell’atto di acquisto del convenuto non era contenuto alcun riferimento alla clausola del regolamento condominiale richiamata dalla difesa del condominio.
In ogni caso secondo il Tribunale sono da considerare irrilevanti gli impegni eventualmente assunti in passato dal venditore nei confronti del condominio, atteso che l’azione del condominio per la rimessa in pristino della cantina era rivolta nei confronti del nuovo proprietario. Infine il Tribunale ha respinto la richiesta da parte dei condomini di un congruo risarcimento danni causati dalla nuova condizione dei luoghi, non risultando concretamente provate le conseguenze dannose lamentate.
Le riflessioni conclusive
La giurisprudenza è costante nell’ammettere la possibilità per i condomini, nell’ambito della loro autonomia negoziale, di introdurre, attraverso il regolamento di condominio, particolari limitazioni al contenuto dei rispettivi diritti di proprietà esclusiva.
Tuttavia, secondo tale orientamento, le relative clausole, avendo carattere convenzionale, ai fini della loro validità, se deliberate in assemblea, devono essere approvate all’unanimità.
In altre parole, le clausole del regolamento condominiale che impongono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà incidono sui diritti dei condomini, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca. Ne consegue che tali disposizioni hanno natura contrattuale, in quanto vanno approvate e possono essere modificate con il consenso unanime dei comproprietari, dovendo necessariamente rinvenirsi nella volontà dei singoli la fonte giustificatrice di atti dispositivi incidenti nella loro sfera giuridica.
Tali disposizioni esorbitano dalle attribuzioni dell’assemblea, alla quale è conferito il potere regolamentare di gestione della cosa comune, provvedendo a disciplinarne l’uso e il godimento.
Inoltre, trattandosi di materia che attiene alla compressione di facoltà, normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, i divieti ed i limiti devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze, e non possono quindi dar luogo ad un’interpretazione estensiva delle relative norme.
Ciò significa che all’assemblea, con le maggioranze di legge, non è consentito, per esempio, di vietare determinate destinazioni, diverse da quella abitativa, per le varie unità facenti parte dello stabile.
Merita di essere sottolineato che se una norma del regolamento contrattuale vieta chiaramente il mutamento di destinazione dell’unità immobiliare, il condominio è tenuto a rispettarla anche se la predetta destinazione è stata tollerata dagli altri condomini per anni o era già esistente al momento dell’approvazione del regolamento di condominio, giacché una clausola contrattuale di condominio (approvata in assemblea con 1000 millesimi), con riferimento ai limiti della possibilità di godimento delle singole unità immobiliari, ben potrebbe disporre una disciplina dei rapporti condominiali rivolta al futuro che al contempo elimini, da quel momento in poi, la possibilità di mantenere la destinazione precedentemente impressa da uno dei proprietari.
L’art. 1122 c.c. non vieta di cambiare la destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro, purché non siano compiute opere che danneggino le parti comuni dell’edificio o che rechino pregiudizio alla proprietà comune. Laddove manchino proprio tali interventi strutturali sul bene, è evidente che il divieto in esame non appare invocabile “in radice”.
Non v’è dubbio infatti che, in difetto di un divieto posto da norma regolamentare, approvata all’unanimità dai condomini, non sia consentito far derivare dalla norma dettata dall’art. 1122 c.c., l’impossibilità, per il condomino, di imprimere alla sua proprietà esclusiva una determinata destinazione, poiché la norma vieta soltanto di compiere opere che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio, non già opere che consistano nella semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro.
Tuttavia la Cassazione ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva statuito il divieto del mutamento di destinazione di porzione di proprietà esclusiva di un condomino da autorimessa ad abitazione, costituendo detta modifica un peggioramento dell’estetica della facciata e creazione di una situazione di “basso“, risolventesi anche in pregiudizio economicamente apprezzabile per il decoro abitativo generale dell’edificio, posto in zona residenziale (Cass. civ., sez. II, 17/04/2001, n. 5612).
Del resto il nuovo articolo 1122 c.c. estende l’operatività della norma alle opere che ledono il decoro architettonico dell’edificio.
Ma la novità di maggior rilievo è certamente quella contenuta nel secondo comma del nuovo articolo 1122 c.c. secondo cui “in ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea”.
Tale espressione, pur nella sua infelice formulazione in relazione al titolo, si riferisce alla sola ipotesi di esecuzione di opere in grado, quand’anche in misura minima, di arrecare danno (estetico) alle parti comuni.
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