Il fatto
Il Tribunale di Ancona respingeva l’appello proposto nell’interesse di un indagato per la sostituzione, con quella degli arresti domiciliari, della misura della custodia cautelare in carcere applicatagli dal GIP in relazione a fatti per i quali era stato peraltro condannato nei due gradi di merito previa riqualificazione degli stessi, in appello, come riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 648 cod. pen. e rideterminazione della condanna in anni 5 di reclusione oltre alla multa;
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Ricorreva per cassazione il difensore dell’indagato lamentando: 1) violazione di legge e vizio di motivazione rilevandosi a tal proposito la violazione del disposto di cui all’art. 299 cod. proc. pen. avendo a suo dire il Tribunale ritenuto la permanenza delle esigenze cautelari alla luce della gravità del fatto non tenendo conto del tempo di applicazione della misura e del percorso di reinserimento seguito dal ricorrente fermo restando che al contempo, da un lato, veniva sottolineato come i giudici dell’impugnazione cautelare avessero evidenziato la sostanziale riduzione della pena e ritenuto insufficiente il contegno serbato dal condannato a concretizzare un effettivo elemento di novità, ossia la relazione della Casa Circondariale allegata al ricorso circa il rispetto delle prescrizioni imposte all’interno del carcere che all’attività lavorativa svolta in quell’ambito, dall’altro, osservando come tali circostanze avrebbero dovuto essere apprezzate unitamente al tempo trascorso dai fatti per cui si procedeva; 2) vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento al disposto di cui all’art. 284 cod. proc. pen. segnalandosi come il Tribunale non avesse dato conto della proposta di esecuzione della misura extramuraria presso un soggetto regolarmente soggiornante sul territorio dello Stato, incensurato e con regolare attività lavorativa; rilevandosi che, nel sottolineare il dato della assenza di familiari, il Tribunale aveva finito per introdurre un elemento non richiesto dall’art. 284 cod. proc. pen. ovvero la esistenza di rapporto di parentela con chi si dichiarava disponibile a consentire l’esecuzione della misura presso il proprio domicilio.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva stimato inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Si osservava a tal proposito prima di tutto come il provvedimento impugnato fosse stato reso dal Tribunale di Ancona quale giudice delle misure cautelari personali sull’appello proposto contro l’ordinanza del 10.9.2020 con cui la Corte di Appello del capoluogo aveva respinto l’istanza avanzata della difesa dell’indagato per la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari posto che i giudici di seconde cure avevano escluso che fossero intervenuti elementi di novità tali da mutare il quadro cautelare già in precedenza ed in più occasioni apprezzato.
Con l’atto di appello, invece, si era rilevato come la Corte territoriale non avesse tenuto conto, per un verso, del tempo di applicazione della misura e, per altro verso, della dimostrazione di resipiscenza e volontà di reinserimento che era stata dimostrata dal prevenuto e risultante dalle dichiarazioni rilasciate dalla Casa Circondariale.
Oltre a ciò, era fatto altresì presente come il Tribunale avesse premesso che, dalla iniziale condanna a 10 anni di reclusione per plurimi fatti riconducibili alla ipotesi di cui all’art. 624bis cod. pen., si era passati – in appello – a quella di 5 anni di reclusione all’esito della loro riqualificazione in ricettazione tenuto inoltre conto che, per un verso, veniva richiamata a tal proposito la motivazione delle due sentenze di merito che, indipendentemente dalla rivisitazione della pena conseguente alla diversa qualificazione del fatto, avevano in entrambi i casi sottolineato la gravità delle condotte giudicate tali da escludere la meritevolezza di alcuna circostanza attenuante, per altro verso, si evidenziava come il comportamento carcerario non possa essere considerato un elemento di novità tale da consentire una modifica del quadro cautelare inizialmente e successivamente più volte apprezzato aggiungendosi che la assenza di un supporto familiare “in loco” rappresenta un elemento di valutazione ulteriore.
Ciò posto, una volta evidenziato come l’indagato fosse stato riconosciuto responsabile anche in secondo grado per gli illeciti che avevano giustificato la adozione della misura custodiale, veniva chiarito che il sopravvenire di una sentenza di condanna per gli stessi fatti, per i quali è stata applicata una misura cautelare personale, preclude al giudice dell’appello incidentale “de libertate” la rivalutazione della gravità indiziaria in assenza di una diversa contestazione del fatto addebitato e di nuovi elementi di fatto (cfr., Cass. pen., 2, 23.1.2014 n. 5.988, Cass. pen., F, 14.8.2013 n. 41.667, in cui la Corte ha ribadito che il giudice dell’appello cautelare, chiamato a decidere dopo una sentenza di condanna appellabile relativa ai fatti per i quali era stata emessa la misura coercitiva, può valutare, in funzione di verificare la permanenza dei gravi indizi di colpevolezza, gli eventuali elementi sopravvenuti che siano idonei ad incidere sul quadro probatorio, ma non quelli che siano in grado di inficiare la legittimità delle prove su cui la condanna medesima è fondata, circostanze queste ultime che vanno proposte al giudice di appello nel giudizio di merito; cfr., anche, Cass. pen., 1, 15.6.2017 n. 55.459, secondo cui la decisione cautelare non può porsi in contrasto con il contenuto della sentenza, pur non irrevocabile, emessa in ordine ai medesimi fatti nei confronti dello stesso soggetto, stante la relazione di strumentalità esistente tra il procedimento incidentale e quello principale e, da ciò, se ne faceva conseguire che la sopravvenienza di una sentenza di condanna fa venir meno l’interesse dell’indagato alla procedura di riesame – anche in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Corte di Cassazione – con riferimento al profilo concernente la verifica dell’originaria sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza salvo che risultino dedotti elementi di prova nuovi, suscettibili di dare ingresso ad una possibile diversa lettura degli indizi al momento dell’adozione della misura cautelare).
Fatta questa premessa, si conveniva nel senso della incensurabilità, in sede di legittimità ordinaria, della motivazione del provvedimento del Tribunale di Ancona.
Quanto all’apprezzamento circa l’obiettiva gravità del fatto, si ribadiva che il testo dell’art. 274, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., quale risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 47 del 2015, se non consente di desumere il pericolo di fuga e di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati (cfr., Cass. pen., 5, 14.6.2017 n. 49.038; Cass. pen., 1, 13.11.2015 n. 45.659; Cass. pen., 1, 2.3.2016 n. 37.839).
Per altro verso, si notava come fosse consolidato, nella giurisprudenza della Cassazione, il principio per cui, ai fini della sostituzione degli arresti domiciliari con altra misura meno grave, l’attenuazione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal mero decorso del tempo di esecuzione pur se accompagnato dalla corretta osservanza dei relativi obblighi i quali costituiscono parte del nucleo essenziale della misura che si chiede di rimodulare mentre il mero decorso del tempo non è elemento rilevante perché la sua valenza si esaurisce nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia stessa e quindi necessita di essere considerato unitamente ad altri elementi idonei a suffragare la tesi dell’affievolimento delle esigenze cautelari (cfr., tra le tante, Cass. pen., 5, 29.5.2017 n. 39.792; Cass. pen., 1, 10.5.2013 n. 24.897; Cass. pen., 1, 23.3.2018 n. 19.818; Cass. pen., 2, 8.11.2007 n. 45.213).
Da ultimo, si evidenziava come la valutazione operata in ordine alla inesistenza delle condizioni per sostituire la misura inframuraria con quella degli arresti domiciliari, non avendo l’indagato “parenti o familiari che possa comunque supportarlo”, si fosse risolta in un apprezzamento non manifestamente incongruo ed illogico perciò non sindacabile in Cassazione circa la inadeguatezza della misura sollecitata a fronteggiare non soltanto il pericolo di recidiva ma, per altro verso, il pericolo di fuga (emblematico è, infatti, il riferimento alla entità della pena inflitta), in assenza di legami di natura affettiva che possano rappresentare una remora per il ricorrente dal sottrarsi alla esecuzione della pena; rischio che, d’altro canto, per gli Ermellini, i giudici dell’appello cautelare avevano valutato anche alla luce della necessità, in tal caso, di autorizzare il prevenuto – ai sensi dell’art. 284 comma 3 cod. proc. pen. – ad allontanarsi dalla abitazione per provvedere alle proprie esigenze di vita con conseguente necessario “allentamento” delle modalità di esecuzione del vincolo cautelare.
La Suprema Corte, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, dichiarava inammissibile il ricorso proposto.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui, trattando il pericolo di reiterazione del reato di cui all’art. 274, c. 1, lett. c), c.p.p., si afferma, citandosi precedenti conformi, che, se è vero che non è consentito desumere il pericolo di fuga e di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, è altrettanto vero che non osta però il fatto che possa essere considerata, ai fini cautelari, la concreta condotta perpetrata e le circostanze che la connotano in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto, in presenza delle quali essa si è svolta, restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati.
Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione evitandosi di considerare fattore neutro o, peggio ancora, irrilevante, per quanto concerne il pericolo di reiterazione del reato di cui all’art. 274, c. 1, lett. c), c.p.p., la concreta condotta perpetrata e le circostanze che la connotano ben potendo invece esse rilevare quali concreti elementi valutativi in grado di consentire una prognosi di recidivanza nei termini previsti da questa norma procedurale.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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