(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 316-ter)
Il fatto
La Corte di Appello di Trieste confermava la sentenza emessa dal giudice di prime cure che aveva condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. a lui ascritto in imputazione.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la suddetta decisione proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato adducendo i seguenti motivi: 1) erronea applicazione dell’art. 316-ter cod. pen. e vizi di motivazione là dove la sentenza impugnata attribuiva all’imputato l’obbligo di comunicare alla Fondazione ENASARCO, ente erogatore del trattamento pensionistico di cui beneficiava la madre del ricorrente e di cui quest’ultimo si sarebbe indebitamente appropriato, l’intervenuto decesso della beneficiaria dato che l’art. 72 del d.P.R. n. 396 del 2000 impone ai prossimi congiunti l’obbligo di comunicare la morte di una persona, entro ventiquattro ore dal decesso, all’ufficiale dello stato civile del luogo in cui questa è avvenuta; oltre a ciò, veniva altresì rilevato come sia l’INPS che, a sua volta, sulla scorta dei dati del Casellario delle pensioni, comunica le informazioni ricevute dai Comuni agli enti erogatori di trattamenti pensionistici per gli adempimenti di competenza.
Orbene, nel caso di specie, per il ricorrente, era pacifico come l’assistito avesse assolto l’obbligo su di lui incombente di comunicazione al competente ufficiale di stato civile, tanto che l’INPS aveva ricevuto regolarmente da quest’ultimo la conseguente comunicazione già in data 8/4/2005 e interrompeva così ogni erogazione successiva; a fronte di ciò, sempre secondo la difesa, gravava invece all’INPS, fatto il dovuto controllo sul Casellario delle pensioni, l’obbligo di comunicare all’ENASARCO l’avvenuto decesso del pensionato e, pertanto, sempre ad avviso del legale, il ricorrente sarebbe dunque stato in buona fede allorché aveva continuato a ricevere sul conto cointestato con la madre, caratterizzato da plurime movimentazioni risalenti alla sua attività professionale, il suddetto trattamento pensionistico; da ciò si giungeva alla conclusione secondo cui la percezione indebita da parte del ricorrente delle somme erogate dall’ENASARCO in favore della madre defunta avrebbe integrato comunque, al più, la fattispecie di cui all’art. 646 cod. pen., tale reato risultando peraltro nel caso di specie improcedibile per mancanza di querela; 2) violazione dell’art. 157 cod. pen. per avere la Corte di Appello escluso l’avvenuta maturazione del termine massimo di prescrizione, nonostante l’intervenuto sequestro preventivo del conto corrente del ricorrente sul quale le somme in questione venivano accreditate dall’ENASARCO, sicché tali somme, già versate o da versare per ulteriori periodi, per il ricorrente, sarebbero state assolutamente indisponibili per l’imputato, con conseguente decorrenza del termine di prescrizione dalla data del sequestro eseguito il 14/5/2010.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva stimato fondato per i seguenti motivi.
A tal proposito veniva prima posto in rilievo il fatto che, per l’integrazione della contestata fattispecie astratta di cui all’art. 316-ter cod. pen., è necessario che la percezione delle erogazioni pubbliche sia comunque avvenuta dietro la presentazione di documenti falsi (condotta attiva) ovvero, per quanto rilevava nella fattispecie in esame, a cagione della omessa comunicazione di informazioni “dovute” (condotta omissiva).
Da ciò se ne faceva conseguire come l’inerzia o il silenzio possano integrare l’elemento oggettivo del reato de quo a condizione che siano “antidoverosi“, cioè che corrispondano all’omesso adempimento di un obbligo di comunicazione e che ad essi si correli l’erogazione non dovuta (cioè sine titulo) da parte dello Stato o dell’ente pubblico (Sez. 6, n. 14940 del 30/01/2018).
Ciò posto, quanto alla doverosità di tale comunicazione, veniva fatto presente che l’art. 72 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, prevede l’obbligo di comunicare la morte di una qualunque persona, non oltre le ventiquattro ore dal decesso, all’ufficiale dello stato civile del luogo dove questa è avvenuta o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del luogo dove il cadavere è stato deposto, a carico dei “congiunti” o della “persona convivente con il defunto” (o di un loro delegato) o – in mancanza – della persona “informata” del decesso ovvero, in caso di morte in ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento, in capo al direttore o a chi sia stato a ciò delegato rilevandosi al contempo che, d’altra parte, l’art. 34 della legge 21 luglio 1965, n. 903, e l’art. 31, comma 19, legge 27 dicembre 2002, n. 289, fanno obbligo al responsabile dell’Ufficio Anagrafe del Comune di comunicare all’ente di previdenza la morte dell’assicurato, obbligo punito con una sanzione amministrativa pecuniaria dall’art. 46 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326 (in termini, Sez. 6, n. 14940 del 30/01/2018, cit.) e lo stesso art. 31, comma 19, legge 27 dicembre 2002, n. 289, stabilisce altresì che a seguito delle comunicazioni dei Comuni relative ai decessi di cui all’articolo 34 della legge 21 luglio 1965, n. 903, “[I]’INPS, sulla scorta dei dati del Casellario delle pensioni, comunica le informazioni ricevute dai comuni agli enti erogatori di trattamenti pensionistici per gli adempimenti di competenza. Il Casellario delle pensioni mette a disposizione dei comuni le proprie banche dati”.
Ebbene, questo essendo il quadro normativo degli obblighi di comunicazione in caso di decesso, gli Ermellini osservavano come la stessa sentenza impugnata avesse riconosciuto che nel caso di specie il Comune di Trieste – il quale evidentemente era stato a sua volta di ciò tempestivamente informato – aveva comunicato regolarmente all’INPS, per via telematica, 1’8 aprile 2005, l’avvenuto decesso della madre del ricorrente sicché l’erogazione del relativo trattamento pensionistico INPS venne subito interrotta.
La sentenza impugnata, dunque, per i giudici di legittimità ordinaria, errava nel ritenere sussistente in capo all’imputato un obbligo ulteriore di comunicazione del decesso della madre all’ENASARCO, ente erogatore dei ratei di pensione oggetto di imputazione poiché l’unico incombente informativo posto a carico dei congiunti (o della persona convivente) del defunto consiste nella comunicazione dell’evento, entro ventiquattro ore, all’Ufficio Anagrafe del Comune, come previsto dall’art. 72 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, dovendo a ciò conseguire da parte degli enti a ciò preposti (Comune e, sulla base del Casellario delle pensioni, INPS) l’eventuale ulteriore comunicazione agli altri enti che risultassero erogatori di trattamenti pensionistici in favore del defunto.
Pertanto, nel caso in esame, ad avviso dei giudici di legittimità ordinaria, mancava uno degli elementi costitutivi della fattispecie astratta contestata rappresentato dall’omissione di informazioni dovute tenuto conto altresì del fatto che, peraltro, l’appropriazione da parte del ricorrente dei ratei della pensione erogata dall’ENASARCO in favore della madre defunta mediante versamento nel conto corrente bancario di cui lo stesso ricorrente era cointestatario, risultava certamente indebita in quanto sine titulo con la conseguente integrazione della diversa fattispecie incriminatrice prevista all’art. 646 cod. pen., del resto negli stessi termini prefigurata in ricorso atteso che, per la Corte di legittimità, la sentenza impugnata, conforme a quella di primo grado, offriva specifica e congrua risposta alla deduzione di merito formulata con l’atto di appello e reiterata in questa sede di legittimità, in ordine alla predicata buona fede dell’imputato, che non si sarebbe avveduto dei perduranti accrediti dei ratei della pensione ENASARCO della madre sul conto corrente a lui cointestato (pp. 4-5, ove compiuta e logica valutazione in ordine alla consapevole e volontaria appropriazione da parte del ricorrente dei ratei della pensione ENASARCO di cui era titolare la madre, dedotta oltre ogni ragionevole dubbio dalla periodicità e pluralità degli accrediti e dalla circostanza che tali ratei, per quattro anni circa accreditati sul conto cointestato, sono stati negli anni successivi accreditati su altro conto bancario intestato al solo ricorrente, all’evidenza su richiesta dell’unico soggetto interessato) con la conseguenza che il fatto contestato doveva essere, sempre per il Supremo Consesso, riqualificato quale appropriazione indebita ai sensi dell’art. 646 cod. pen., delitto perseguibile a querela, e la sentenza impugnata doveva essere annullata senza rinvio per originaria mancanza della suddetta condizione di procedibilità.
Oltre a ciò, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come la rilevata improcedibilità per mancanza di querela fin dalla pronuncia di primo grado comportasse altresì l’annullamento di tutte le statuizioni civili in questa contenute atteso che, in tale ipotesi, non sussistono i presupposti in presenza dei quali l’art. 578 cod. proc. pen. consente al giudice dell’impugnazione di decidere sugli effetti civili anche nel caso in cui dichiari l’estinzione del reato (Sez. 2, n. 51800 del 24/09/2013).
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando, in materia di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, l’inerzia o il silenzio possono integrarne il suo elemento oggettivo.
Difatti, in tale pronuncia, citandosi un precedente conforme, gli Ermellini hanno postulato che l’inerzia o il silenzio possono integrare l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 316-ter c.p. a condizione che siano “antidoverosi“, cioè che corrispondano all’omesso adempimento di un obbligo di comunicazione e che ad essi si correli l’erogazione non dovuta (cioè sine titulo) da parte dello Stato o dell’ente pubblico.
Quindi, ove si contesti un illecito penale di tal genere, ben si potrà prendere in considerazione siffatto orientamento nomofilattico al fine di verificare se l’inerzia o il silenzio possa assurgere ad elemento oggettivo di tale fattispecie criminosa.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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