Il fatto
Il Tribunale di sorveglianza di Napoli rigettava una richiesta di detenzione domiciliare avanzata ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-bis Ord. pen. ritenendosi come non ricorressero i presupposti per concedere la richiesta misura alternativa in quanto già in passato il detenuto aveva subito la revoca della misura della semilibertà e si era reso di fatto latitante quando veniva tratto in arresto.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per cassazione il legale del condannato deducendo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione alla omessa concessione della misura richiesta in base alla erronea applicazione della causa ostativa di cui all’art. 58-quater, comma 3, Ord. pen. e al riferimento al concetto di “latitanza di fatto“.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
La Suprema Corte, dopo avere preso atto che dalla interrogazione svolta, a mezzo della Cancelleria, attraverso il sistema informativo del Ministero della giustizia, risultava come il ricorrente, dopo il deposito del ricorso, fosse stato scarcerato per espiazione della pena, rilevava come l’esame del ricorso nel merito fosse, pertanto, precluso dal rilievo preliminare e assorbente della sopraggiunta carenza di interesse del ricorrente a coltivare l’impugnazione, inducente alla inammissibilità della stessa, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., essendo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che la nozione d’interesse a impugnare, richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., deve essere individuata secondo una prospettiva utilitaristica, correlata alla finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale e a quella, positiva, del conseguimento di una utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011; Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017) fermo restando che suddetto requisito deve sussistere, oltre che al momento della proposizione del gravame, anche in quello della sua decisione (Sez. U, n. 10272 del 27/09/1995; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995; Sez. U, n. 20 del 09/10/1996; Sez. U, n. 7 del 25/06/1997).
In particolare, si osservava come nel caso di specie ricorresse una «carenza d’interesse sopraggiunta» che trova il suo fondamento giustificativo nella valutazione negativa della persistenza, al momento della decisione, di un interesse all’impugnazione, la cui attualità sia venuta meno a causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore, assorbendo la finalità perseguita dall’impugnante, o perché la stessa ha già trovato concreta attuazione, ovvero in quanto ha perso ogni rilevanza per il superamento del punto controverso (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, inoltre, non se ne faceva conseguire alcuna condanna al pagamento delle spese o della somma a favore della cassa delle ammende essendo in questo senso orientata la prevalente giurisprudenza di legittimità la quale pone a fondamento di questa conclusione l’assenza di soccombenza, anche solo virtuale, della parte ricorrente (così SU, n. 31524 del 14/07/2004, e SU, n. 7 del 25/06/1997, nonché di recente, Sez. 1, n. 11302 del 19/09/2017).
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante specialmente nella parte in cui è chiarito in cosa consiste la carenza d’interesse sopraggiunta in materia di interesse ad impugnare.
Difatti, in tale pronuncia, citandosi giurisprudenza conforme, dopo essersi fatto presente che la nozione d’interesse a impugnare, richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., deve essere individuata secondo una prospettiva utilitaristica, correlata alla finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale e a quella, positiva, del conseguimento di una utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo fermo restando che suddetto requisito deve sussistere, oltre che al momento della proposizione del gravame, anche in quello della sua decisione, si afferma che la «carenza d’interesse sopraggiunta» trova il suo fondamento giustificativo nella valutazione negativa della persistenza, al momento della decisione, di un interesse all’impugnazione, la cui attualità sia venuta meno a causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore, assorbendo la finalità perseguita dall’impugnante, o perché la stessa ha già trovato concreta attuazione, ovvero in quanto ha perso ogni rilevanza per il superamento del punto controverso.
Una carenza d’interesse di questo tipo, inoltre, come trapela in questa stessa sentenza, fa sì che il ricorrente non sia condannabile al pagamento delle spese o della somma a favore della cassa delle ammende stante l’assenza di soccombenza, anche solo virtuale, di costei.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su questi aspetti giuridici, dunque, non può che essere positivo.
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