(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 172, c. 7)
Il fatto
Il G.I.P. del Tribunale di Treviso, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato una opposizione proposta da avverso un provvedimento, reso de plano, con il quale il predetto Giudice aveva parzialmente rigettato la richiesta di estinzione per prescrizione della pena di due anni e nove mesi di reclusione, costituente residuo della maggiore pena di cinque anni e nove mesi di reclusione e 958,23 euro di multa, da espiarsi a seguito dell’indulto applicato al condannato, nella misura di tre anni di reclusione e per l’intero ammontare della multa, con provvedimento reso dal giudice dell’esecuzione in relazione a un cumulo emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Treviso.
In particolare, l’adìto giudice, in primo luogo, aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., sollevata per asserito contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., richiamando ampi brani della sentenza Sez. 1, n. 30638 del 14/2/2017.
Dichiarava, poi, il giudicante, non rilevante (con assorbimento del requisito della non manifesta infondatezza) la questione di legittimità costituzionale dell’art. 172, comma 7, cod. pen., nella parte in cui tale disposizione stabilisce l’imprescrittibilità sine die della pena per i soggetti recidivi.
Al riguardo, osservava come l’esecuzione della pena detentiva in esame risultasse aver avuto inizio ben prima del maturarsi del termine di prescrizione decennale di cui al comma 1 dell’art. 172 cod. pen., perché – fatta eccezione per una pena di tre mesi di reclusione, già dichiarata estinta in precedente incidente di esecuzione – tutte le ulteriori sentenze di condanna indicate nell’ordine di esecuzione emesso dal P.M. di Treviso (per il residuo pena precisato in premessa) erano divenute irrevocabili entro il decennio antecedente alla data di emissione del ridetto ordine di esecuzione.
Di fatto, pertanto, ad avviso del giudice dell’esecuzione, nessun concreto pregiudizio sarebbe potuto derivare al condannato per una sua, meramente astratta, esposizione sine die all’esercizio della pretesa punitiva dello Stato, essendo questa stata attivata prima del decorso del relativo termine prescrizionale massimo.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’istante con cui si chiedeva ai giudici di legittimità ordinaria che dichiarassero, diversamente dal giudice dell’esecuzione, la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle due questioni di legittimità costituzionale sollevate investendo di esse la Corte Costituzionale e disponendo contestualmente la sospensione del giudizio.
Quanto alla prima, il difensore del ricorrente sottolineava l’analogia della situazione disciplinata dall’art. 667 cod. proc. pen. con il procedimento per decreto penale di condanna posto che, rispetto a quest’ultimo, l’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. prevede espressamente l’incompatibilità del giudice che ha emesso il decreto, che sia stato, poi, opposto, al giudizio sull’opposizione.
La situazione prevista dall’art. 667 citato sarebbe del tutto identica, ad avviso del ricorrente, essendo contraddistinta da una prima fase di emissione di un’ordinanza de plano e da una seconda fase, meramente eventuale, instaurata, cioè, solo a seguito di opposizione, e che si svolge in contraddittorio come il giudizio scaturito da opposizione a decreto penale e, quindi, non era dato comprendere, nella prospettazione difensiva, perché le due procedure descritte, assolutamente identiche, debbano essere disciplinate in modo diverso, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost..
Si contestava, poi, nel ricorso, l’affermata non rilevanza della seconda questione di legittimità costituzionale, relativa all’art. 172, comma 7, cod. pen., nella parte inerente ai recidivi qualificati evidenziandosi che il termine decennale necessario ad estinguere la pena per prescrizione non decorre dalla data dell’ordine di esecuzione – nella specie, fra l’altro, mai portato ad attuazione – bensì dalla data di irrevocabilità delle sentenze, come previsto dal comma 4 del citato articolo 172, e, dunque, a nulla poteva rilevare la circostanza, sottolineata nell’ordinanza impugnata, per cui l’ordine di esecuzione per la carcerazione fosse stato formalmente emesso entro il decennio dalla irrevocabilità delle sentenze di condanna comprese nel cumulo d’interesse.
La questione doveva, poi, considerarsi non manifestamente infondata in quanto non si comprendeva, ad avviso del difensore del ricorrente, perché i recidivi aggravati dovessero essere assoggettati a pena imprescrittibile a prescindere dalla effettiva gravità dei reati commessi anche tenuto conto del venir meno, a seguito di declaratoria di incostituzionalità, del carattere obbligatorio della recidiva medesima per i delitti indicati all’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen. ex art. 99, comma 5, cod. pen. (sentenza C. Cost. n. 185/2015) posto che l’imprescrittibilità della pena per i recidivi aggravati non consentiva di personalizzare il trattamento sanzionatorio, impedendo di valutare se il condannato, nel lungo periodo di dieci anni dalla condanna irrevocabile, si fosse rieducato e reinserito efficacemente nella società senza commettere alcun reato: in tal modo apparivano essere stati violati i principi stabiliti dagli artt. 3, 27 e 111 Cost..
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva rigettato perché, nel complesso, infondato.
Quanto alla pretesa situazione di incompatibilità a decidere l’opposizione in cui si sarebbe trovato il giudice dell’esecuzione che aveva deliberato il provvedimento opposto, veniva osservato come la Cassazione avesse già ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 3 e 111, comma 2, Cost., proprio nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio di opposizione ex art. 667, comma 4, cod. proc. pen. del medesimo giudice che ha emesso il provvedimento opposto essendo stato evidenziato che le ipotesi di incompatibilità presuppongono che le valutazioni di merito, per assumere valore pregiudicante, appartengano a gradi o a fasi diverse del processo, mentre il giudizio di opposizione non ha natura di impugnazione né rappresenta una fase distinta ed autonoma, ma integra un segmento, nell’ambito di un procedimento unitario, attraverso il quale si attua, in via eventuale e su iniziativa della parte stessa, il contraddittorio pieno, onde la decisione non reca pregiudizio alcuno ai canoni di imparzialità e terzietà del giudice (Sez. 1, n. 30638 del 14/2/2017; Sez. U, n. 3026 del 3026 del 28/11/2001).
In particolare, nel richiamarsi e ribadirsi i principi affermati nelle indicate decisioni, gli Ermellini ritenevano come non potesse che reputarsi inappropriato il paragone, prospettato in ricorso, con la situazione di incompatibilità, prevista espressamente dall’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., del giudice che ha emesso il decreto penale di condanna a partecipare al giudizio susseguente ad opposizione ex art. 461 cod. proc. pen. essendo quest’ultima, incontestabilmente, una forma di impugnazione, ancorché speciale, come tale soggetta alla disciplina e ai principi generali previsti per le impugnazioni (Sez. 6, n. 10621 del 10/12/2002).
Ciò posto, quanto alla seconda questione di legittimità costituzionale sollevata, concernente l’art. 172, comma 7, cod. pen. nella parte relativa ai recidivi di cui ai capoversi dell’art. 99 cod. pen., si premetteva quanto segue.
Dopo essersi fatto presente che, secondo un ormai costante e prevalente indirizzo giurisprudenziale, l’estinzione della pena per decorso del tempo non opera nei confronti dei condannati recidivi indicati nei capoversi dell’art. 99 cod. pen., a condizione che la recidiva sia stata accertata in qualsiasi momento precedente al decorso del termine di prescrizione della pena (Sez. 1, n. 13398 del 19/2/2013; Sez. 1, n. 44612 del 03/10/2013, richiamata da Sez. 1, n. 58475 del 26/9/2018), veniva postulato come ciò che rilevasse ai fini ostativi in questione era, dunque, il perfezionarsi nel periodo indicato delle condizioni della recidiva qualificata con la conseguente sua dichiarazione da parte del giudice di merito dal momento che la ragione della preclusione, laddove «si tratta di recidivi nei casi preveduti dai capoversi dell’art. 99», secondo quanto enunciato al comma settimo dell’art. 172 cod. pen., va individuata nella concreta manifestazione della proclività a delinquere, insita nel riconoscimento della particolare recidiva, che rende il condannato non meritevole di avvantaggiarsi dell’abdicazione all’esecuzione una volta decorso l’indicato periodo di tempo in guisa tale che è l’epoca in cui le condizioni della citata recidiva divengono e si ritengono esistenti che deve rilevare ai fini della preclusione.
Il passaggio in giudicato della sentenza che accerta la recidiva in un certo momento prima dell’intero decorso del termine di prescrizione della pena risulta, allora, per la Suprema Corte, indispensabile, a prescindere dalla data, solo per ritenere giudizialmente certa, e, pertanto, applicabile la causa impeditiva della dichiarazione di estinzione.
Precisato ciò, con riguardo alla diversa causa ostativa della commissione di reati della stessa indole, si notava come la giurisprudenza di legittimità sia solidamente ancorata al principio secondo cui «il legislatore, sancendo – all’art. 172, comma settimo, ultima ipotesi, cod. pen. – l’inapplicabilità della prescrizione ai condannati i quali, durante il tempo necessario per l’estinzione della pena, abbiano riportato una condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole, ha inteso escludere dal beneficio coloro i quali, con la reiterazione della condotta analoga a quella che determinò la condanna precedente, mostrano di non essere incorsi in ravvedimento e di non meritare, pertanto, l’operatività in loro favore del beneficio dell’estinzione della pena e, pertanto, la norma de qua non si applica quando la condanna, pur essendo successiva all’inizio del termine prescrizionale, riguardi reati commessi in epoca anteriore» (Sez. 1, n. 1589 del 12/5/1971; nello stesso senso: Sez, 3, n. 485 del 4/2/1980; Sez. 1, n. 5316 del 6/12/1993 dep. 1994; Sez. 1, n. 18990 del 7/4/2004; Sez. 1, n. 46691 del 24/10/2012; Sez. 1, n. 44590 del 3/5/2018; Sez. 1, n. 52105 del 2/10/2018).
Da ciò si giungeva alla conclusione secondo la quale «l’analisi della complessiva disciplina positiva delle cause di esclusione della estinzione della pena, alla luce della relativa rassegna contenuta nell’art. 172 cod. pen., u.c., accredita la conclusione che deve aversi riguardo al momento immediatamente precedente la maturazione del dies ad quem del termine della prescrizione, nel senso, appunto, che è sufficiente che alcuna delle cause ostative risulti perfezionata illo tempore, perché la estinzione della pena non abbia luogo» (Sez. 1, n. 13398/2014, cit., richiamata, di recente, da Sez. 1, n. 4095 del 10/12/2019) trattandosi di conclusioni, del resto, pienamente aderenti ai principi espressi dal Supremo Consesso proprio per ciò che concerne la natura e operatività della recidiva rammentandosi, al riguardo, che la sentenza delle Sez. U n. 20798 del 24/2/2011 ha ribadito il rifiuto di una recidiva intesa come status formale del soggetto nuovamente rimarcando che essa è produttiva di effetti unicamente se il giudice ne accerti i requisiti costitutivi, verificando non solo l’esistenza del presupposto formale rappresentato dalla previa condanna, ma anche procedendo al riscontro sostanziale della più accentuata colpevolezza, per cui il soggetto risulta particolarmente riprovevole per essersi mostrato insensibile all’ammonimento derivante dalla precedente condanna, e della maggior pericolosità, intesa come indice della sua inclinazione a delinquere; sicché la recidiva richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto, che deve risultare sintomatico, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale rilevandosi altresì come tali principi siano stati ulteriormente confermati e ribaditi dalle Sez. U, n. 31669 del 23/6/2016 e, più recentemente, da Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, che, a loro volta, imponevano di affermare che, con riferimento alla preclusione dell’estinzione della pena per prescrizione ex art. 172, settimo comma, cod. pen., la recidiva qualificata rileva, quale giudizio di accresciuta colpevolezza e pericolosità intesa come indice dell’inclinazione a delinquere, se il relativo accertamento è stato compiuto nel giudizio sfociato nella condanna di cui si tratta, ovvero in un diverso giudizio in relazione a un fatto commesso entro il termine di prescrizione, sicché risulta irrilevante la recidiva che sia stata accertata in data anteriore perché essa non può modificare la valutazione compiuta nel successivo giudizio – nel quale è stata esclusa la sussistenza di una maggiore e accresciuta pericolosità –, ben potendo, invece, costituire un elemento per una successiva diversa valutazione di pericolosità che potrebbe condurre, in un diverso giudizio, all’accertamento di essa posto che risulta essere irrilevante – ai fini della successiva declaratoria di recidiva – l’eventuale estinzione della pena ex art. 106 cod. pen., stabilendo tale disposizione che «agli effetti della recidiva e della dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato, si tiene conto altresì delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena», sicché si rende palese l’irrilevanza – ai fini della successiva declaratoria di recidiva – dell’eventuale estinzione della pena nel frattempo verificatasi.
Tutto ciò premesso, veniva, in primo luogo, osservato che, nella sua prospettazione, il ricorrente ometteva di considerare che la disposizione prevista dall’art. 172, u.c., cod. pen., della cui costituzionalità dubita con riguardo ai recidivi qualificati, non circoscrive alla condizione di costoro l’effetto ostativo alla estinzione della pena per prescrizione, ma lo estende anche ai soggetti che, durante il tempo necessario per l’estinzione della pena, abbiano riportato una condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole.
Nel focalizzare la questione di legittimità costituzionale su una sola parte dell’art. 172, u.c., cod. pen. (quella sui recidivi qualificati), per il Supremo Consesso, il ricorrente non si era curato di verificare se, pur nell’eventualità di una valutazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della proposta questione, egli non sarebbe potuto incorrere, comunque e in concreto, nella preclusione stabilita dall’ultima parte della stessa disposizione.
Il giudice dell’esecuzione non si era, peraltro, occupato di tale aspetto, essendosi arrestato al giudizio di insussistenza del requisito della rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 172, u.c., cod. pen. (per la parte relativa ai recidivi) in ragione del fatto che le sentenze di condanna alle pene comprese nel provvedimento di cumulo d’interesse erano tutte divenute irrevocabili meno di dieci anni prima dell’emissione dell’ordine di esecuzione da parte del P.M. di Treviso e, dunque, antecedentemente al decorso del termine prescrizionale massimo.
Oltre a ciò, veniva inoltre osservato come il provvedimento impugnato fosse stato emesso nella pendenza, davanti alle Sezioni Unite, della questione «Se la notifica dell’ordine di esecuzione con contestuale decreto di sospensione (art. 656, comma 5, cod. proc. pen.) al condannato resosi successivamente irreperibile, integri l’inizio di esecuzione ai sensi dell’art. 172, quarto comma, seconda parte, cod. pen.» (ricorso omissis, n. 22264/2020 RG.).
Orbene, dalla informazione provvisoria n. 12/2021 diramata all’esito della camera di consiglio del 15 luglio 2021 – tenutasi nelle more del deposito della presente sentenza – la Corte di Cassazione prendeva atto di come, sulla specifica questione, le Sezioni Unite avessero adottato la seguente soluzione: «Il decorso del tempo ai fini dell’estinzione della pena detentiva, ai sensi dell’art. 172, quarto comma, cod. pen., ha inizio il giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile e si interrompe con la carcerazione del condannato», rilevando al contempo che tale principio avrebbe potuto determinare una ricaduta sul caso in esame, sotto il profilo della rilevanza, atteso che le emergenze acquisite dimostrano che alla emissione dell’ordine di esecuzione da parte del P.M. di Treviso nei confronti del ricorrente non aveva mai fatto seguito, in concreto, l’esecuzione medesima della pena con la effettiva carcerazione del condannato.
Tuttavia, dal requisito della rilevanza, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, doveva prescindersi, considerato che, in ogni caso, la questione di costituzionalità sollevata doveva ritenersi manifestamente infondata.
Di conseguenza, con riferimento alla preclusione dell’estinzione della pena per prescrizione ex art. 172, settimo comma, cod. pen., veniva ribadito che la recidiva qualificata rileva quale giudizio di accresciuta colpevolezza e pericolosità intesa come indice della particolare inclinazione a delinquere del condannato il quale, proprio per questo, non può reputarsi meritevole di avvantaggiarsi dell’abdicazione all’esecuzione una volta decorso il fissato periodo di tempo trattandosi di una scelta discrezionale del legislatore non irragionevole e del tutto coerente con altre disposizioni, rinvenibili nel sistema penale, accomunate da una disciplina deteriore nei confronti dei recidivi (qualificati o non) per le ragioni esposte: senza pretese di esaustività, si richiamavano, ad esempio, le disposizioni, preclusive (o limitative) dei benefici, previste in materia di amnistia (art. 151, u.c., cod. pen.), indulto (art. 174, u.c., cod. pen.), sospensione condizionale della pena (art. 164, comma 2, n. 1), cod. pen.), perdono giudiziale (art. 169, comma 3, cod. pen.), liberazione condizionale (art. 176, comma 2, cod. pen.), oblazione (art. 162-bis, comma 3, cod. pen.), riabilitazione (art. 179, comma 2, cod. pen.) e patteggiamento (art. 444, comma 1-bis, cod. proc. pen.).
Si escludeva, pertanto, ogni dubbio sulla legittimità costituzionale della norma oggi contestata, non potendosi ipotizzare alcuna violazione degli artt. 3, 27 e 111 Cost..
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando rileva la recidiva qualificata in materia di preclusione dell’estinzione della pena per prescrizione ex art. 172, settimo comma, cod. pen. (“L’estinzione delle pene non ha luogo, se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, o di delinquenti abituali, professionali o per tendenza; ovvero se il condannato, durante il tempo necessario per l’estinzione della pena, riporta una condanna alla reclusione per un delitto della stessa indole”).
Invero, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, si afferma per l’appunto che, con riferimento alla preclusione dell’estinzione della pena per prescrizione ex art. 172, settimo comma, cod. pen., la recidiva qualificata rileva, quale giudizio di accresciuta colpevolezza e pericolosità intesa come indice dell’inclinazione a delinquere, se il relativo accertamento è stato compiuto nel giudizio sfociato nella condanna di cui si tratta, ovvero in un diverso giudizio in relazione a un fatto commesso entro il termine di prescrizione, sicché risulta irrilevante la recidiva che sia stata accertata in data anteriore perché essa non può modificare la valutazione compiuta nel successivo giudizio – nel quale è stata esclusa la sussistenza di una maggiore e accresciuta pericolosità.
La recidiva qualificata, dunque, rileva quale condizione ostativa per il riconoscimento di questa causa estintiva della pena solo nei termini appena precisati, perlomeno alla luce di siffatto approdo ermeneutico.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, quindi, non può che essere positivo.
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