In materia di reati tributari, la sussistenza della particolare tenuità dell’offesa deve essere verificata attraverso una valutazione globale

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(Ricorso rigettato)

(Riferimento normativo: C.p. art. 131-bis).

Il fatto

Il GUP del Tribunale di Lucca, in data 19/3/2014, aveva dichiarato, all’esito di giudizio con rito abbreviato, D. I. D., responsabile dei seguenti reati: a) delitto di cui all’art. 10 ter D.Lgs. n. 74/2000, perché nella qualità di amministratore e legale rappresentante della Autotrasporti G. di D. I. e C. S.a.s., non versava entro il termine per l’acconto relativo al periodo d’imposta successivo l’imposta sul valore aggiunto per l’anno 2011 pari ad Euro 268.866, 00, dovuta da tale società risultante dalla relativa dichiarazione regolarmente presentata. In Capannori il 27/12/2012, accertato 1’11.2.2012. 2) delitto di cui agli artt. 81 c.p., 11 D.Lgs. n. 74/2000, perché con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte evase indicate ai capi che precedono, rendendo inefficaci eventuali iniziative di riscossione coattiva, cedeva fittiziamente il 14/10/2010 un immobile in …, alla D.I. I. S.R.L. e il 12/02/2011 un’imbarcazione da diporto con home “…” mod. … con targa … alla D. Autotrasporti Logistica e Servizi S.r.l. Accertati a Lucca, commessi il 14/10/2010 ed il 12/02/2011

L’imputato veniva condannato, concessegli le circostanze attenuanti generiche, unificati i reati dal vincolo della continuazione ed operata la riduzione per il rito, alla pena di mesi 6 di reclusione, con interdizione per 6 mesi dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, declaratoria di incapacità per un anno di contrattare con la pubblica amministrazione, interdizione per un anno dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria e in perpetuo dall’ufficio di componente di commissione tributaria, con pubblicazione, una volta e per estratto, della sentenza di condanna.

Ai sensi dell’art. 1 co. 143 della I. 24/12/2007 n. 244 e art. 322 ter cod. pen. veniva ordinata la confisca per equivalente dei beni sottoposti a sequestro fino alla concorrenza della somma di C 268.886,00.

La Corte d’Appello di Firenze, in data 9/5/2016, confermava la sentenza di primo grado, ma la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, su ricorso dell’imputato, con la sentenza n. 51075/17 del 26/9/2017, annullava la sentenza della Corte d’Appello di Firenze con rinvio.

La Corte d’Appello di Firenze, giudicando in sede di rinvio, con sentenza del 7/6/2018, confermava nuovamente la sentenza del 19/3/2014 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lucca.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Ricorreva nuovamente, a mezzo del proprio difensore di fiducia, D. I. D. deducendo i seguenti motivi: a) inosservanza della disposizione dell’art. 627 co. 3 cod. proc. pen. ai fini dell’individuazione dei presupposti applicativi dell’art. 131 bis cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’esistenza di ulteriori condotte di omesso versamento dell’IVA da parte dell’imputato; il ricorrente evidenziava tra l’altro come l’art. 1 co. 95 I. 147/2013 avesse effettivamente espunto l’obbligo di fatturazione entro il mese in cui si svolgono le prestazioni per le imprese di autotrasporto indipendentemente dal pagamento, come invece stabilito dall’art. 83 bis d.l. 133/2008. Partendo da questa premessa, i giudici di legittimità, prescindendo dalla questione relativa alla successione tra previsioni normative all’interno dell’art. 2 cod. pen., osservavano che la fattura del 31 ottobre 2011, gravante per un importo IVA di Euro 26.880,00, fosse determinante ai fini del superamento della soglia di punibilità per ii delitto di cui all’art. 10 ter d.lgs.74/2000 e come, quindi, se si fosse applicata la nuova disciplina tributaria, l’imposta non versata non avrebbe superato la soglia di rilievo penale di Euro 250.000,00. In questo contesto valutativo, continuava il ricorrente, la Corte di legittimità chiedeva alla Corte di appello di verificare se si fosse perciò realizzata una fattispecie riconducibile all’art. 131 bis cod. pen.. Ci si doleva, invece, che la sentenza impugnata, senza considerare tali premesse valutative, si fosse limitata a constatare che nel caso specifico vi fosse l’obbligo di immediata fatturazione della prestazione entro il mese dalla relativa effettuazione e come l’imputato avesse in diverse occasioni omesso i versamenti IVA dovuti senza un’effettiva situazione di contingente difficoltà economica del contribuente.

Pertanto, riteneva il ricorrente, la motivazione, con cui veniva esclusa l’applicazione della causa di non punibilità, sarebbe stata censurabile sotto vari aspetti. In primo luogo, perché non vi sarebbe stato, da parte della Corte distrettuale, alcun apprezzamento dell’irragionevolezza del dato normativo la cui vigenza aveva portato al superamento della soglia di punibilità. La sentenza di annullamento aveva attribuito un significato centrale ai fini del giudizio imposto dall’art. 131 bis cod. pen. al rapporto tra le diverse soluzioni date dal legislatore alla tempistica riguardante l’emissione delle fatture degli autotrasportatori. La totale indifferenza della Corte fiorentina a tale argomentazione consentirebbe di individuare, a detta del ricorrente, una palese inosservanza della disposizione dell’art. 627 co. 3 cod. proc. pen..

Inoltre, la sentenza impugnata negherebbe la sussistenza dei presupposti per dichiarare la non punibilità per particolare tenuità del fatto in conseguenza della circostanza che l’imputato avrebbe omesso varie volte di versare l’IVA dovuta. Ebbene, si evidenziava come dalla lettura della sentenza del GUP del Tribunale di Lucca del 19/3/2014 emergesse chiaramente che gli omessi versamenti riguardavano altri periodi ma tutti precedenti all’assunzione della carica di amministratore da parte dell’imputato tanto che si era instaurato un autonomo procedimento a carico di D. K. nel quale si procedeva per mancati versamenti delle imposte per gli anni dal 2007 al 2010, tutti comunque sotto l’odierna soglia di punibilità. Quindi, concludeva il D., la corte di appello, nello stabilire se poteva essere applicata la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., non prendeva in considerazione i rilievi della pronuncia di annullamento e dall’altro attribuiva all’imputato una reiterazione nell’omissione dei versamenti IVA, che non sussisteva dal momento che tali condotte erano state consumate da altro soggetto, processato al riguardo, e comunque attualmente di nessun rilievo penale; b) mancanza di motivazione sull’applicabilità dell’art. 2 cod. pen. quanto alla successione di disposizioni sull’individuazione della tempistica dell’obbligo di fatturazione delle prestazioni dell’autotrasportatore; il ricorrente deduceva di aver indicato nei motivi d’appello come il procedimento penale fosse stato provocato dalla vigenza di un sistema fiscale del tutto irragionevole in quanto imponeva al contribuente di versare l’IVA anche sul mancato incasso, come avvenuto nel caso di specie per somme davvero ingenti, a seguito dell’obbligo di emissione della fattura entro il mese dall’esecuzione della prestazione mentre la diversa e più ragionevole regolamentazione introdotta con la I. 147/2013 aveva poi eliminato un profilo di clamorosa incongruità sul piano degli obblighi tributari, tale da meritare censura ai sensi degli artt. 3 e 53 Cost., ma – si sosteneva – viene anche ad incidere sui contenuti della previsione penale contestata dal momento che la nuova soluzione data relativamente ai tempi di fatturazione delle prestazioni degli autotrasportatori si riflette sull’entità delle somme non versate ai fini IVA e da qui, a detta del ricorrente, sarebbe discesa l’importanza della modifica della disciplina extra-penale rispetto all’art. 2 cod. pen., importanza che la Corte di Cassazione non sembra escludere limitandosi a non sviluppare argomentazioni in merito solo perché perveniva ad una conclusione favorevole alle ragioni del ricorso per altra via e, a tal proposito, rilevava la difesa, i giudici di appello avrebbero omesso qualsiasi motivazione sul punto; c) mancanza di motivazione sulla legittimità del sequestro dell’imbarcazione di proprietà di terzi; il ricorrente deduceva come la Corte di Cassazione escludendo, erroneamente, la configurabilità del delitto di cui all’art. 11 d.Igs. 74/2000 in conseguenza della non rilevanza penale dell’omissione riguardante l’IVA, non avesse esaminato il quarto motivo del ricorso concernente la legittimità del sequestro disposto sull’imbarcazione K. III di proprietà di A. S. e dunque i giudici del rinvio avrebbero dovuto esaminare le doglianze relative al provvedimento cautelare reale disposto, su un bene di proprietà di una persona diversa dall’imputato, nei cui confronti era stato aperto e definito un autonomo procedimento penale che aveva consentito di riconoscere la piena legittimità della proprietà del bene in capo alla stessa S. con conseguente dissequestro dell’imbarcazione mentre di tale situazione giuridica e della sua incidenza sul vincolo imposto sul bene mobile registrato non vi sarebbe stata alcuna traccia nella motivazione della sentenza impugnata.

Pertanto, alla luce di siffatte doglianze, si chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata con i provvedimenti consequenziali.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva i motivi proposti infondati alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si rilevava prima di tutto come fosse infondato il motivo di ricorso sull’applicabilità dell’art. 2 cod. pen. dato che la sentenza di annullamento non contiene alcun riferimento tra le motivazioni del rinvio a tale argomentazione che evidentemente, pur non potendosi disconoscere l’ambiguità dell’affermazione “anche a prescindere dalla questione dell’articolo 2 c.p.” che si legge a pag. 4 della sentenza 51075/17, era stata valutata e ritenuta superata non potendo essere altrimenti se poi il giudice di legittimità si era concentrato sulla causa di non punibilità ex art. 131bis cod. pen. fermo restando che, anche a volere ritenere con il ricorrente che si fosse trattato di un profilo non vagliato, il caso in questione, ad avviso della Corte, non rientrerebbe nella previsione di cui all’art. 2 cod. pen. che riguarda la successione delle leggi penali nel tempo stante il fatto che, nella fattispecie in esame, non si tratta di una fattispecie non più prevista come reato ma semplicemente di una diversa previsione di obblighi fiscali che riguarda i tempi e l’obbligatorietà della fatturazione.

Oltre a ciò si evidenziata come il debito Iva non versato non fosse stato determinato soltanto dall’obbligo di fatturazione entro il mese, poi eliminato dalle nuove disposizioni, ma anche dalla volontaria annotazione in contabilità di una fattura che per legge avrebbe potuto essere annotata il primo trimestre dell’anno successivo e pertanto il superamento della soglia era stato determinato volontariamente dal D., forse perché le fatture venivano emesse in favore dell’unico committente, la ditta individuale D. I. D., riferibile allo stesso imputato, che si sarebbe avvantaggiata del credito Iva.

Veniva stimato altresì infondato anche il primo profilo di doglianza relativo alla mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. atteso che la Corte territoriale, rispondendo alla specifica richiesta sul punto da parte del giudice di legittimità, aveva argomentatamente e logicamente motivato il diniego dell’invocata causa di non punibilità con la sistematica omissione dei versamenti dell’IVA da parte di società che, seppure formalmente amministrate per un periodo dalla figlia dell’odierno imputato, di fatto erano state comunque sempre gestite dallo stesso che aveva dato vita ad una serie di società che interagivano tra loro riconducibili a sé o ai suoi stretti congiunti.

Posto ciò, gli ermellini rilevavano come la sentenza impugnata si collocasse nell’alveo del dictum delle Sezioni Unite secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, omissis, Rv. 266590).

In particolare, proprio in riferimento ai reati tributari che prevedano soglie di punibilità, i giudici di piazza Cavour osservavano come la Corte fiorentina avesse fatto riferimento al principio secondo cui la causa speciale di non punibilità per particolare tenuità del fatto sarebbe applicabile soltanto ad omissioni per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, fissata a 250.000 euro dall’art. 10 ter D.Lgs. n. 74 del 2000, in considerazione del fatto che il grado di offensività che dà luogo a reato è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (così Sez.3, n. 13218 del 20/11/2015 dep. il 2016, omissis, Rv. 266570, che nel caso sottopostole ritenne in quel caso non rientrare in tale previsione l’omesso versamento di 270.703 euro) facendo presente al contempo, per un verso, come tale indirizzo giurisprudenziale – espresso anche da Sez. 3, n. 40774 del 5/5/2015, omissis, Rv. 265079- ponesse condivisibilmente l’accento sul fatto che il grado di offensività che dà luogo a sanzione penale fosse già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di punibilità, per altro verso, come un’altra pronuncia avesse affermato, in precedenza, che l’eventuale particolare tenuità dell’offesa dovesse esser valutata in rapporto alla condotta nella sua interezza e non con riferimento alla sola eccedenza rispetto alla soglia di punibilità prevista dal legislatore (Sez. 3, n. 51020 del 11/11/2015, omissis, Rv. 265982).

Ebbene, proprio a proposito di tale secondo indirizzo, la Suprema Corte osservava come cotale orientamento ermeneutico non potesse dirsi del tutto superato, ma meglio calibrato in considerazione di quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 13681/2016, omissis, Rv. 266589 secondo cui non è, in astratto, incompatibile con il giudizio di particolare tenuità la presenza di soglie di punibilità all’interno della fattispecie tipica (nella fattispecie esaminata, relativa al reato di guida in stato di ebbrezza, rapportate ai valori di tassi alcolemici accertati) anche nel caso in cui, al di sotto della soglia di rilevanza penale, vi sia una fattispecie che integri un illecito amministrativo.

Le stesse SSUU Tushaj, infatti, osservava sempre la Corte nella pronuncia in commento, specificano, in motivazione, che quanto più ci si allontana dal valore-soglia, tanto più è verosimile che ci si trovi in presenza di un fatto non specialmente esiguo, sebbene nessuna conclusione possa trarsi in astratto, senza considerare cioè le peculiarità del caso concreto, poiché nessuna presunzione può ritenersi consentita.

Alla luce di tali principi la Corte postulava pertanto che, riguardo al reato di omesso versamento dei contributi previdenziali (ma, mutatis mutandis, il discorso vale, in generale, per tutti i reati, tributari e non, che prevedano una soglia di punibilità), la sussistenza della particolare tenuità dell’offesa deve essere verificata attraverso una valutazione globale che tenga conto dell’importo complessivo dei contributi non versati e della consistenza del superamento della soglia di punibilità (a tale approdo perviene Sez. 3, n. 30179 del 11/05/2018, omissis, Rv. 273686) tenuto conto altresì del fatto che, come rileva Sez. 3 n. 30179/2018, Rv. 273685, ai fini della applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen. in relazione al reato di omesso versamento dei contributi previdenziali, il giudice, per verificare la sussistenza del necessario requisito della non abitualità del comportamento, può prendere in considerazione il numero delle mensilità nelle quali la condotta omissiva si è verificata.

Anche sotto tale profilo, dunque, la Corte giungeva ad asserire come la sentenza impugnata apparisse priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto e, per contro, le doglianze di cui in ricorso apparissero prive di adeguata forza confutativa e non si confrontassero criticamente con il provvedimento impugnato.

In ultimo, la Corte rilevava come non apparissero sussistenti vizi di legittimità in relazione alla disposta confisca per equivalente – e prima ancora al disposto sequestro finalizzato a quella confisca- in particolare dell’imbarcazione sulla cui disponibilità in capo all’imputato già il giudice di primo grado aveva motivato a pag. 11 delle propria sentenza e già nella sentenza della Corte di Appello del 9/5/2016 si era evidenziata la “simulazione della vendita” (così a pag. 10 di quel provvedimento).

A tal proposito si faceva presente come il punto non fosse stato oggetto di specifico esame da parte della sentenza 51075/2017 della Cassazione nonostante fosse stato motivo di impugnazione, e perciò il giudice del rinvio sullo stesso aveva articolatamente motivato evidenziando come l’imputato, a fronte di un imponente debito erariale, si fosse spogliato degli unici beni agevolmente aggredibili (abitazione e imbarcazione), tramite negozi verosimilmente simulati, mantenendo comunque la disponibilità esclusiva tanto dell’appartamento quanto dell’imbarcazione, non versando nelle casse societarie il prezzo ed omettendo di pagare il debito con lo Stato.

Ebbene, anche con tali affermazioni, ad avviso della Corte, il proposto ricorso, in concreto, non si confrontava criticamente.

Tal che, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, se ne faceva conseguire il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusioni

La sentenza in commento è assai interessante nella parte in cui affronta il rapporto tra la particolare tenuità del fatto e i reati tributari.

Difatti, dopo un’articolata disamina della giurisprudenza nomofilattica elaborata in subiecta materia, gli ermellini giungono ad affermare in questa decisione che la sussistenza della particolare tenuità dell’offesa deve essere verificata attraverso una valutazione globale che tenga conto dell’importo complessivo dei contributi non versati e della consistenza del superamento della soglia di punibilità.

E’ dunque richiesta una valutazione complessa e composita del fatto commesso in cui si tenga conto di ambedue questi fattori ossia, come appena visto, l’importo complessivo dei contributi non versati, da una parte, e la consistenza del superamento della soglia di punibilità, dall’altra.

Tale pronuncia, di conseguenza, non può non essere presa nella dovuta considerazione ogniqualvolta si tratta di verificare se per un reato tributario possa applicarsi (o meno) la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p..

 

 

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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