In materia di riabilitazione, come va accertata la buona condotta?

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 179)

Indice:

Il fatto

Il Tribunale di Sorveglianza di Ancona respingeva una opposizione avverso un provvedimento di rigetto di una istanza diretta ad ottenere la riabilitazione.

In particolare, il Tribunale aveva giustificato il rigetto con la mancanza di prove effettive e costanti di buona condotta, osservando che l’istante, da una parte, non aveva offerto significativi elementi e, dall’altra, era stato ripetutamente segnalato dalla polizia giudiziaria per reati in materia fiscale, particolarmente gravi anche se non definiti con pronunce irrevocabili di condanna.

Oltre a ciò, si faceva altresì presente che il richiedente, inoltre, era stato prosciolto per prescrizione in relazione a violazioni del 2010, e aveva sofferto l’applicazione della misura degli arresti domiciliari nel 2006, nonchè risultava ancora essere iscritto nel registro delle notizie di reato per un procedimento penale avente ad oggetto fatti commessi dal 2010 al 2012.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’istante, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione rilevandosi, in particolare, che, a suo avviso, il giudice di merito, discostandosi dalla giurisprudenza di legittimità, ampiamente richiamata dallo stesso legale, aveva valutato in senso sfavorevole all’accoglimento dell’istanza i deferimenti all’autorità giudiziaria, anche se relativi a fatti commessi in un periodo diverso ed anteriore a quello indicato dall’art. 179 cod. pen. mentre aveva, invece, illegittimamente valorizzato denunce che si riferivano pur sempre a fatti non accertati con sentenze divenute irrevocabili e, per di più, commessi in epoca diversa da quella rilevante ai fini della riabilitazione. 

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era ritenuto fondato per le seguenti ragioni.

Nel dettaglio, dopo essersi fatto presente che l’art. 179 cod. pen. prescrive espressamente che la riabilitazione può essere concessa “quando siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o sia in altro modo estinta” ed il condannato nello stesso arco temporale abbia dato prova di buona condotta, dovendosi intendere il relativo termine come decorrente dal momento di conclusione dell’espiazione della pena detentiva e dal pagamento effettivo della pena pecuniaria e il destinatario del provvedimento come colui che ha già riportato condanna con sentenza dibattimentale o emessa nel giudizio abbreviato, cui è pacificamente equiparabile la sentenza di patteggiamento, gli Ermellini osservavano come la concessione della riabilitazione sia subordinata alla dimostrazione del ravvedimento del richiedente, desumibile dai comportamenti regolari tenuti nel periodo minimo previsto dalla legge e sino alla data della decisione sull’istanza, e dalla sua attivazione per l’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli, derivate dalla condotta criminosa, condizione pretesa dalla norma di cui all’art. 179 cod. pen. anche nei casi in cui nel procedimento di cognizione sia mancata la costituzione di parte civile e quindi non sia stata resa alcuna statuizione sulle obbligazioni civili, scaturenti dall’illecito penale, fermo restando che e’ onere dell’istante allegare la sussistenza delle condizioni pretese dall’ordinamento per l’ammissione alla riabilitazione e, per quanto in ossequio ai principi generali, valevoli per gli incidenti di esecuzione, spetti all’autorità giudiziaria, a fronte dell’allegazione di circostanze specifiche da parte dell’interessato, condurre le opportune indagini per verificare le sue reali condizioni economiche e patrimoniali, è sempre sul richiedente che grava l’onere di fornire qualche elemento conoscitivo, indicativo del suo sforzo e della buona condotta tenuta.

Oltre a ciò, era altresì rilevato che, ai fini dell’accertamento della buona condotta, la personalità dell’istante va verificata alla luce di tutto quanto accaduto non solo nel periodo minimo di tre anni dall’esecuzione o dalla estinzione della pena inflitta, ma anche in quello successivo, sino alla data della decisione sull’istanza prodotta, e in tale valutazione globale bisogna ricercare e trovare non tanto un’assenza di ulteriori elementi negativi, bensì delle prove effettive e costanti di buona condotta e, dunque, ciò che si richiede è l’emergenza positiva di fatti sintomatici dell’avvenuto recupero del soggetto ad un corretto modello di vita, “l’instaurazione e il mantenimento di uno stile di vita improntato al rispetto delle norme di comportamento comunemente osservate dalla generalità dei consociati, pur quando le stesse non siano penalmente sanzionate o siano, addirittura, imposte soltanto da quelle elementari e generalmente condivise esigenze di reciproca affidabilità che sono alla base di ogni ordinata e proficua convivenza sociale” (Sez. 1, n. 196 del 3/12/2002; Sez. 2 n. 35545 del 25/6/2008; Sez. 1, n. 39809 del 2/10/2008; Sez. 6, n. 5164 del 16/01/2014), sicché, mentre il totale silenzio sulla condotta risulta insufficiente a fornire prove effettive e costanti di buona condotta, qualsiasi nota negativa di comportamento costituisce prova esattamente contraria a quella richiesta dal legislatore per concedere una patente di buona condotta atta, addirittura, a cancellare gli effetti penali di precedenti condanne.

Chiarito come debba essere accertato questo (co-)requisito per potere conseguire la riabilitazione, per quanto concerne la valutazione spettante al giudice, i giudici di piazza Cavour evidenziavano che la valutazione del presupposto probatorio è consentito al giudice prendere in esame, nonostante la presunzione di non colpevolezza che assiste l’imputato, anche denunce, atti di procedimenti penali pendenti a carico del riabilitando, ancorché non ancora definiti con sentenza di condanna, ma a condizione che abbiano ad oggetto fatti successivi a quelli cui inerisce la domanda e che se ne apprezzi il significato concreto, dimostrativo della commissione di condotte devianti o irregolari, tali da contraddire il mantenimento della buona condotta e da provare il mancato recupero del condannato (Sez. 1, n. 13753 del 21/01/2020; Sez. 1, n. 15471 del 26/11/2014; Sez. 1, n. 22374 dell’8/5/2009; Sez. 1, n. 6528 dell’1/2/2012) mentre non possono essere tenuti in considerazione comportamenti, ancorché di chiara valenza negativa, compiuti dal condannato in un momento antecedente a quello prescritto dal primo comma dell’art. 179 cod. pen. (Sez. 1, n. 55063 del 14/11/2017; Sez. 1, n. 47465 del 30/10/2013; Sez. 1, n. 8134 del 17/02/2010).

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, per la Suprema Corte, in tali principi il provvedimento impugnato non aveva fatto una esatta applicazione avendo desunto, in via prioritaria, l’assenza di effettività e di costanza della buona condotta richiesta dalla legge da fatti commessi fino al 2012, quindi non ricadenti nel triennio decorrente dalla cessata esecuzione della pena inflitta con la sentenza in relazione alla quale è stata chiesta la riabilitazione (12 novembre 2014), oltre che, in quest’ottica, aveva, sempre per la Corte di legittimità, altrettanto erroneamente, posto a raffronto la documentazione prodotta dal condannato, riferita al periodo oggetto di valutazione, con le risultanze negative desunte dalle informative di polizia che, invece, si riferivano a comportamenti che, per quanto non sintomatici di ravvedimento, erano stati tutti commessi in epoca non rilevante ai sensi dell’art. 179 cod. pen..

Pertanto, l’ordinanza impugnata era annullata con rinvio al Tribunale di Sorveglianza per rivalutare le ragioni dell’opposizione proposta dal condannato alla stregua dei rilievi e dei principi di diritto che enunciati con la sentenza qui in commento. 

Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse in quanto è ivi chiarito come va accertata la buona condotta quando si debba decidere in ordine alla riabilitazione di un condannato.

Difatti, in tale pronuncia, è affermato – una volta postulato che la concessione della riabilitazione è subordinata alla dimostrazione del ravvedimento del richiedente, desumibile dai comportamenti regolari tenuti nel periodo minimo previsto dalla legge e sino alla data della decisione sull’istanza fermo restando che sul richiedente grava l’onere di fornire qualche elemento conoscitivo, indicativo del suo sforzo e della buona condotta tenuta – che, ai fini dell’accertamento della buona condotta, la personalità dell’istante va verificata alla luce di tutto quanto accaduto non solo nel periodo minimo di tre anni dall’esecuzione o dalla estinzione della pena inflitta, ma anche in quello successivo, sino alla data della decisione sull’istanza prodotta, e in tale valutazione globale bisogna ricercare e trovare non tanto un’assenza di ulteriori elementi negativi, bensì delle prove effettive e costanti di buona condotta e, dunque, ciò che si richiede è l’emergenza positiva di fatti sintomatici dell’avvenuto recupero del soggetto ad un corretto modello di vita, l’instaurazione e il mantenimento di uno stile di vita improntato al rispetto delle norme di comportamento comunemente osservate dalla generalità dei consociati, pur quando le stesse non siano penalmente sanzionate o siano, addirittura, imposte soltanto da quelle elementari e generalmente condivise esigenze di reciproca affidabilità che sono alla base di ogni ordinata e proficua convivenza sociale mentre non possono essere tenuti in considerazione comportamenti, ancorché di chiara valenza negativa, compiuti dal condannato in un momento antecedente a quello prescritto dal primo comma dell’art. 179 cod. pen..

Ciò posto, in tale pronuncia, è oltre tutto specificato che, dal canto suo, il giudice, per quanto riguarda la valutazione del presupposto probatorio, può prendere in esame, nonostante la presunzione di non colpevolezza che assiste l’imputato, anche denunce, atti di procedimenti penali pendenti a carico del riabilitando, ancorché non ancora definiti con sentenza di condanna, ma a condizione che abbiano ad oggetto fatti successivi a quelli cui inerisce la domanda e che se ne apprezzi il significato concreto, dimostrativo della commissione di condotte devianti o irregolari, tali da contraddire il mantenimento della buona condotta e da provare il mancato recupero del condannato mentre non possono essere tenuti in considerazione comportamenti, ancorché di chiara valenza negativa, compiuti dal condannato in un momento antecedente a quello prescritto dal primo comma dell’art. 179 cod. pen..

Tale provvedimento, quindi, può essere preso nella dovuta considerazione, sia per verificare tale condizione (co-)applicativa dell’istituto della riabilitazione, sia se il giudice abbia correttamente valutato se tale requisito possa ritenersi sussistente, o meno.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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