In materia di riparazione per ingiusta detenzione, quali sono limiti ai poteri istruttori del giudice di merito di intervenire d’ufficio

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     Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

1. Il fatto

La Corte di Appello di Reggio Calabria, quale giudice della riparazione ex art. 314 cod. proc. pen., dichiarava inammissibile una istanza avente ad oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo per l’ingiusta detenzione patita in forza di misura cautelare applicatagli per le fattispecie di cui agli artt. 74 e 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309.

Questa Corte territoriale, in particolare, aveva dichiarato l’inammissibilità dell’istanza, ex art. 315 e 645 cod. proc. pen., in ragione del mancato deposito da parte del proponente, nonostante tre rinvii appositamente concessi, di documentazione ritenuta necessaria per la decisione e, più nel dettaglio: di dichiarazione attestante la mancata fruizione della fungibilità in relazione al periodo di detenzione di cui all’istanza; di dichiarazione attestante la mancata presentazione di altra istanza avente ad oggetto la medesima richiesta e dell’interrogatorio di garanzia, al fine di valutare il comportamento del richiedente successivo all’adozione della misura cautelare. 

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’istante, deducendo, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., violazione di legge e illogicità della motivazione per aver la Corte territoriale dichiarato l’inammissibilità dell’istanza senza attivare il proprio potere-dovere istruttorio e disporre d’ufficio l’acquisizione della documentazione non prodotta. 


Sull’argomento vedi anche:


3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era ritenuto infondato per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito innanzitutto che, per il consolidato orientamento di legittimità, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, pur essendo onere dell’interessato, secondo i principi civilistici, dimostrare i fatti posti a base della domanda, e cioè la sofferta custodia cautelare e la sopravvenuta assoluzione, deve tuttavia ritenersi, avuto anche riguardo al fondamento solidaristico dell’istituto in questione, che il giudice sia tenuto ad avvalersi, se necessario, della possibilità, prevista dagli artt. 213 e 738, comma 3, cod. proc. civ., di chiedere anche d’ufficio alla P.A. (ivi compresa, quindi, quella della giustizia) informazioni scritte su atti e documenti di cui essa sia in possesso (ex plurímis, Sez. 4, n. 46468 del 14/09/2018; Sez. 4, n. 18172 del 21/02/2017) atteso che, nel sistema processuale vigente, il giudice civile è dotato di poteri istruttori officiosi, tanto più ampi quanto più sono in gioco diritti fondamentali, che, a maggior ragione, devono essere riconosciuti al giudice della riparazione per ingiusta detenzione, in quanto nel relativo procedimento la pretesa civilistica azionata inerisce al processo penale e dunque attiene ad un rapporto obbligatorio di diritto pubblico, al quale non può che conseguire un rafforzamento dei detti poteri officiosi; orbene, da ciò si è fatto conseguire che il giudice della riparazione ha il potere, non soltanto di respingere la domanda di riparazione per ingiusta detenzione, indipendentemente dalle allegazioni delle parti, nel caso in cui ravvisi comunque una condotta ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo (o di accoglierla, in caso contrario), ma ha anche il potere di fondare la sua decisione su atti diversi da quelli prodotti dalle parti, che abbia acquisito d’ufficio, sempre che conosciuti o conoscibili dalle parti (Sez. 4, n. 46468/2018).

Nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, quindi, il principio dispositivo, per cui la ricerca del materiale probatorio necessario per la decisione è riservata alle parti tra le quali si distribuisce in base all’onere della prova, è temperato dai poteri istruttori del giudice del merito che, ove la documentazione prodotta si rilevi insufficiente, ben può procedere a integrarla anche d’ufficio, senza tuttavia surrogarsi all’inerzia ed agli oneri di prospettazione, di allegazione o di impulso probatorio del richiedente (ex plurimís, Sez. 4, n. 27462 del 27/03/2019; Sez. 4, n. 4070 del 08/10/2013).

Pur tuttavia, ad avviso del Supremo Consesso, tale approdo ermeneutico doveva essere ulteriormente specificato, per quanto rilevava nel presente giudizio, ritenendosi che l’esercizio del potere istruttorio del giudice della riparazione presuppone il vaglio positivo circa l’ipotetica accoglibilità della domanda giudiziale, quale condizione dell’azione e, quindi, la corretta e completa prospettazione e allegazione dei fatti (positivi e negativi) costitutivi del diritto fermo restando che fatti costitutivi del diritto all’equo indennizzo di cui all’art. 314 cod. proc. pen., oggetto di necessaria allegazione da parte del richiedente quali condizione dell’azione e, quindi, ai fini di un giudizio di ipotetica accoglibilità della domanda giudiziale, sono sia quelli positivi, tra cui il proscioglimento con sentenza irrevocabile o l’accertamento irrevocabile dell’insussistenza delle condizioni di applicabilità della custodia cautelare (di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen.), sia quelli negativi e tra questi ultimi, come emerge dal comma 4 dello stesso citato art. 314, ad avviso del Supremo Consesso, vi sono il computo della custodia cautelare ai fini della determinazione della misura di una pena ovvero l’aver sofferto le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia anche in forza di altro titolo.

Orbene, da quanto sin qui esposto se ne faceva discendere il seguente principio di diritto: “Nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, il temperamento del principio dispositivo in forza dei poteri istruttori del giudice di merito, il quale, ove la documentazione prodotta si rilevi insufficiente, ben può procedere a integrarla anche d’ufficio, trova il suo limite nell’impossibilità di una surroga in caso di inerzia nella prospettazione e allegazione dei fatti non solo positivi ma anche negativi del diritto, necessarie per un giudizio in termini di ipotetica accoglibilità della domanda giudiziale al quale segue l’eventuale attivazione dei poteri istruttori per l’acquisizione di documentazione”.

Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, gli Ermellini ritenevano come i giudici di seconde cure avessero mostrato di essersi attenuti al principio di cui innanzi posto che non erano stati attivati ufficiosi poteri istruttori, essendo la parte richiedente rimasta inerte, peraltro nonostante plurime sollecitazioni sul punto, circa l’allegazione dei fatti negativi del diritto azionato con particolare riferimento alla mancata fruizione della fungibilità, in relazione al periodo di detenzione di cui all’istanza, e alla mancata presentazione di altra istanza volta a ottenere l’equo indennizzo per aver sofferto le limitazioni conseguenti all’applicazione della custodia anche in forza di altro titolo, rilevandosi al contempo che, in ordine al fatto che fosse trattato di una mancata allegazione, sempre per gli Ermellini, ciò era evidenziato dalla circostanza per cui l’oggetto della sollecitazione da parte del giudice erano state delle dichiarazioni rese dalla stessa parte richiedente circa la mancata fruizione della fungibilità e in merito all’assenza di altra istanza.

Quanto detto, quindi, per la Corte di legittimità, rilevando in termini negativi circa il giudizio in merito all’ipotetica accoglibilità della domanda giudiziale, rendeva infine irrilevante nella specie la mancata acquisizione d’ufficio dell’interrogatorio reso dal richiedente.

In conclusione, il ricorso era rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente nel presente giudizio di legittimità, che si liquidavano in euro mille.

4. Conclusioni

Tale decisione desta un certo interesse essendo ivi chiarito, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, quali sono limiti ai poteri istruttori del giudice di merito di intervenire d’ufficio.

Difatti, in tale pronuncia, dopo essere stato fatto presente, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, il principio dispositivo, per cui la ricerca del materiale probatorio necessario per la decisione è riservata alle parti tra le quali si distribuisce in base all’onere della prova, è temperato dai poteri istruttori del giudice del merito che, ove la documentazione prodotta si rilevi insufficiente, ben può procedere a integrarla anche d’ufficio, senza tuttavia surrogarsi all’inerzia ed agli oneri di prospettazione, di allegazione o di impulso probatorio del richiedente, e che l’esercizio del potere istruttorio del giudice della riparazione presuppone il vaglio positivo circa l’ipotetica accoglibilità della domanda giudiziale, quale condizione dell’azione e, quindi, la corretta e completa prospettazione e allegazione dei fatti (positivi e negativi) costitutivi del diritto, si afferma il principio di diritto secondo il quale, in tale procedimento, il temperamento del principio dispositivo in forza dei poteri istruttori del giudice di merito trova il suo limite nell’impossibilità di una surroga in caso di inerzia nella prospettazione e allegazione dei fatti non solo positivi ma anche negativi del diritto, necessarie per un giudizio in termini di ipotetica accoglibilità della domanda giudiziale al quale segue l’eventuale attivazione dei poteri istruttori per l’acquisizione di documentazione.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di comprendere quali possono essere i limiti a cui è sottoposto il giudice di merito, nell’ambito dell’esercizio dei poteri istruttori del giudice del merito, in ordine alla possibilità di procedere ad una integrazione d’ufficio ove la documentazione prodotta si rilevi insufficiente, in materia di riparazione per ingiusta detenzione.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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