In materia di usura mediante dazione, come va verificata la natura usuraia degli interessi

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Il fatto

La Corte di appello di Napoli, riformando la decisione del Tribunale di Benevento, aveva confermato le condanne inflitte a M.A. e D.C. ex art. 110 c.p., art. 81 c.p., comma 2, art. 644 c.p., commi 1 e 5, n. 3 e 4, per avere percepito interessi usurari da De.Ma.Ma. (capo 10), e, ex art. 110, art. 81, comma 2, art. 629, commi 1 e 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1, per avere costretto De.Ma. a corrispondere tali interessi (capo 11), ma riducendo loro la pena.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Nei ricorsi presentati dai difensori degli imputati si chiedeva l’annullamento della sentenza.
Nel ricorso di D. si deducevano violazione di legge e vizio della motivazione: a) circa la responsabilità per il reato ex art. 629 c.p. per aver omesso di rispondere alle deduzioni difensive trascurando anche che la persona offesa, De.Ma.Ma. aveva escluso in dibattimento la sussistenza delle condotte in suo danno e concentrandosi sul contenuto di una intercettazione (n. 2231 dell’8/03/2009) senza confrontarlo criticamente con altri dati, trascurando la concorde ricostruzione dei fatti fornita dagli interrogatori degli imputati; b) circa la mancata riqualificazione delle condotte ex art. 379 c.p. trascurando che a D. non era stato conferito un ruolo di esattore e che non era provato ch’egli conoscesse la natura usuraria del debito.

Nel ricorso di M. si deducevano: a) violazione dell’art. 629 c.p. e omessa motivazione sulla prova di minacce estorsive da lui rivolte a De.Ma. trascurando che questi aveva escluso di averne ricevute e limitandosi la sentenza a rinviare ai contenuti di quella di primo grado; b) violazione di legge e omessa motivazione circa la richiesta di riqualificazione del reato nella figura del tentativo di estorsione stante l’incertezza sulla effettiva corresponsione di denaro da De.Ma. a M.; c) violazione di legge e vizio di motivazione circa la sussistenza dell’usura mancando la prova del tasso di interesse praticato perché non bastava a questo fine il contenuto della conversazione fra De.Ma. e la moglie di M. (da cui emerge un interesse mensile di Euro 600,00, cioè del 10%, a fronte di un prestito di Euro 6.000,00″) se non vengono specificati i tempi della restituzione; d) violazione dell’art. 629 c.p., comma 2, e mancanza di motivazione per la insussistenza dell’aggravante delle più persone riunite perché, essendo stato assolto il coimputato C. , la Corte avrebbe dovuto vagliare la compresenza di M. e D. al momento dei fatti; e) violazione di legge e mancanza della motivazione circa il diniego delle circostanze attenuanti generiche considerando che un precedente reato era stato commesso dall’imputato oltre 17 anni prima; f) violazione di legge e vizio della motivazione nel ridurre l’aumento di pena per la continuazione solo per la reclusione essendo stato lasciato inalterato l’aumento della pena pecuniaria.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il primo motivo del ricorso di D. e il primo motivo del ricorso di M., trattati unitariamente, venivano stimati fondati.

Si osservava a tal proposito come la sentenza impugnata si limitasse a rinviare del tutto genericamente alla sentenza di primo grado con la acritica formula “nella gravata sentenza si dà conto di quotidiane e gravi minacce, affinché il debitore De.Ma. estinguesse il debito” senza neanche indicarne gli autori, le occasioni e la valenza intimidatoria dei contenuti (p. 15) proprio mentre, per altro verso, assolveva, non ritenendone provato il coinvolgimento nella vicenda, il coimputato C.P. ossia colui del quale, secondo la prospettazione accusatoria, maggiormente D. e M. si sarebbero avvalsi per intimidire De.Ma..

Oltre a ciò, veniva rilevato come la sentenza di primo grado – pur interpolando fra i suoi contenuti estese inserzioni di brani delle conversazioni intercettate (pp. 48-61) – mancasse di esaminare puntualmente le espressioni adoperate da D. e M. quando interloquivano non fra loro ma con De.Ma. per evidenziarne i contenuti significativamente minatori nei confronti dello stesso, come pure sarebbe stato necessario, tanto più se si considerava come questi avesse escluso di avere ricevuto minacce.

Quanto al secondo motivo del ricorso di D., se veniva ribadito che risponde del delitto di concorso in usura – reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata – solo il soggetto che, in un momento successivo alla formazione del patto usurario, ricevuto l’incarico di recuperare il credito, riesce a ottenerne il pagamento mentre, se il recupero non avviene, l’incaricato risponde del reato di favoreggiamento o, nell’ipotesi di violenza o minaccia nei confronti del debitore, di estorsione perché in tali casi il momento consumativo dell’usura rimane quello originario della pattuizione (Sez. 5, n. 42849 del 24/06/2014; Sez. 2, n. 41045 del 13/10/2005), veniva al contempo messo in evidenza che la questione della qualificazione della condotta di D. come favoreggiamento reale non fosse stata trattata nella sentenza impugnata mentre in quella di primo grado si era precisato (che il prestito lo concesse M. ma che fu D. a procurarlo a De.Ma. (interpellando M. ) dandogli materialmente il denaro.

Ad ogni modo, osservava la Corte, in ogni caso, mancava nelle motivazioni di entrambe le sentenze una specifica argomentazione che desse conto della consapevolezza di D. che dal prestito derivasse la corresponsione di interessi usurari.

A loro volta il secondo motivo e il terzo motivo del ricorso di M., trattati unitariamente, risultavano essere fondati.

Una volta rilevato che la legge stabilisce un limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari (art. 644 c.p., comma 3) atteso che, ai sensi della L. 7 marzo 1996, n. 108, ex art. 2, comma 1, il Ministero dell’Economia e delle Finanze rileva, su base trimestrale, il tasso effettivo globale medio degli interessi praticati dalle banche per le operazioni della stessa natura, il cui superamento, aumentato della metà, rende usurario il tasso di interesse, si denotava come il  superamento fosse facile da verificare se gli interessi sono stati pattuiti in misura precisa mentre, invece se rileva l’elemento fattuale della dazione, la verifica della natura usuraria degli interessi richiede una specifica indagine: occorre accertare il valore totale delle somme riscosse dal mutuante, determinare il profitto (sottraendo da tale importo il denaro dato in prestito) e rapportarlo all’intera durata del prestito così da dedurne l’incidenza percentuale del profitto nel corso del tempo (il saggio di interessi in concreto riscosso).

Tal che ne deriva che l’usura mediante dazione, essendo reato “a condotta frazionata“, richiede che l’eventuale sforamento del tasso-soglia deve essere verificato, trimestre per trimestre, per tutta la durata della rateizzazione e, se la corresponsione degli interessi non è effettuata con cadenze periodiche, il vaglio della loro natura usuraria deve comunque avvenire con la massima analiticità possibile (Sez. 2, n. 745 del 04/11/2005) fermo restando che, in ogni caso, anche se la rilevazione del tasso di interessi praticato non può essere calcolata su base trimestrale, il tasso-soglia di comparazione è comunque quello trimestralmente accertato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze perché riferire il tasso-soglia di un trimestre (eventualmente più basso) agli interessi percepiti fuori da quell’arco temporale violerebbe il principio di tassatività delle fattispecie penali.

Da ciò discende come sia necessario determinare il tempo e la durata del prestito e la data dei singoli pagamenti effettuati dal debitore così da individuare il trimestre di riferimento fermo restando che se basta che in un solo trimestre il limite sia superato perché si consumi il reato di usura, sarebbe però erroneo considerare il tasso effettivamente praticato su base annuale senza distinguere fra i diversi prestiti intercorsi fra gli stessi soggetti e senza verificare la data di ciascun pagamento (Sez. 2, n. 39334 del 12/07/2016; Sez. 5, n. 8353 del 16/01/2013).

I giudici di piazza Cavour, pertanto, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, annullavano con rinvio il provvedimento impugnato.

Conclusioni

La sentenza in commento è assai interessante nella parte in cui chiarisce, in materia di usura mediante dazione, come va verificata la natura usuraia degli interessi.

Gli ermellini, difatti, in tale decisione, precisano che la verifica della natura usuraria degli interessi richiede una specifica indagine: occorre accertare il valore totale delle somme riscosse dal mutuante, determinare il profitto (sottraendo da tale importo il denaro dato in prestito) e rapportarlo all’intera durata del prestito così da dedurne l’incidenza percentuale del profitto nel corso del tempo (il saggio di interessi in concreto riscosso).

Da ciò il Supremo Consesso giunge a postulare – una volta dedotto che l’usura mediante dazione, essendo reato “a condotta frazionata“, richiede che l’eventuale sforamento del tasso-soglia deve essere verificato, trimestre per trimestre, per tutta la durata della rateizzazione e, se la corresponsione degli interessi non è effettuata con cadenze periodiche, il vaglio della loro natura usuraria deve comunque avvenire con la massima analiticità possibile (Sez. 2, n. 745 del 04/11/2005) fermo restando che, in ogni caso, anche se la rilevazione del tasso di interessi praticato non può essere calcolata su base trimestrale, il tasso-soglia di comparazione è comunque quello trimestralmente accertato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze perché riferire il tasso-soglia di un trimestre (eventualmente più basso) agli interessi percepiti fuori da quell’arco temporale violerebbe il principio di tassatività delle fattispecie penali – che è necessario determinare il tempo e la durata del prestito e la data dei singoli pagamenti effettuati dal debitore così da individuare il trimestre di riferimento fermo restando che se basta che in un solo trimestre il limite sia superato perché si consumi il reato di usura, sarebbe però erroneo considerare il tasso effettivamente praticato su base annuale senza distinguere fra i diversi prestiti intercorsi fra gli stessi soggetti e senza verificare la data di ciascun pagamento.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, dunque, proprio fa chiarezza su tale tematica giuridica, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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