(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 324)
Il fatto
Il Tribunale di Siena aveva rigettato la richiesta di riesame proposta dall’indagato, ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., avverso il decreto di sequestro preventivo, emesso dal G.i.p. del Tribunale di Siena, finalizzato alla confisca anche per equivalente del profitto conseguito dal reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Volume consigliato
Quando scegliere un rito penale alternativoIl presente volume tratta i procedimenti speciali, così come previsti dal codice di procedura penale, con un approccio pratico-applicativo, grazie anche alla presenza di tabelle riepilogative e tavole sinottiche, allo scopo di guidare il professionista nella scelta del rito (ove ciò sia possibile) e nell’affrontare le criticità cui può andare incontro durante l’iter processuale.Gli Autori, forti di un’esperienza professionale continua e attenta, offrono la propria competenza in materia, con lo sguardo di chi affronta quotidianamente questioni attinenti alla specialità dei procedimenti disciplinati dalle norme procedurali.Il volume tiene conto della riforma del rito abbreviato e affronta altresì la procedura nei confronti dei soggetti minori.Gabriele Esposito, Vice Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli. Avvocato penalista patrocinante in Cas- sazione. Cultore della materia in Diritto Processuale Penale. Autore di manuali giuridici.Alfonso Laudonia, Avvocato, Professore a contratto di Procedura Penale presso l’Università Tematica Pegaso. Si è specializzato in Diritto e procedura penale nonché in Progettazione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo degli Enti ed in Diritto sportivo. È stato Assegnista di ricerca in Economy Legal Security. È autore di plurime pubblicazioni in Diritto e procedura penale.Antonio Di Tullio D’Elisiis, Avvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB). Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica http://diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osserva- torio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica. Antonio Di Tullio DElisiis, Gabriele Esposito, Alfonso Laudonia | 2019 Maggioli Editore 36.00 € 28.80 € |
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Ricorreva per cassazione l’indagato, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi: 1)
violazione dell’art. 15 cod. pen. non avendo il Tribunale provveduto ad un preliminare raffronto tra le fattispecie astratte ipotizzate (che avrebbe dovuto condurre alla configurabilità della sola frode fiscale contestata al capo B), ritenendo sussistente il fumus della truffa aggravata (dopo aver escluso quello della frode discale per la ritenuta genuinità delle fatture contestate) omettendo in questo modo di confrontarsi con il tema del concorso apparente di norme; 2) vizio di motivazione, ritenuta inesistente, con riferimento al fumus e alle deduzioni formulate, in sede di riesame, con riferimento alla violazione del principio della domanda cautelare; in particolare, anche attraverso plurimi richiami giurisprudenziali, la ricorrente lamentava il mancato apprezzamento del vizio di ultrapetizione (denunciato con apposita memoria) in cui era incorso il G.i.p. a fronte di una richiesta di sequestro correlata ad un’imputazione ex art. 640-bis secondo la quale l’indagato – nell’ambito di un procedimento per la ricezione di contributi comunitari in agricoltura – si era avvalsa di fatture per operazioni inesistenti al fine di poter fittiziamente prospettare di aver sostenuto costi maggiori di quelli reali, atteso che l’autorità decidente aveva escluso la falsità delle fatture accogliendo peraltro la domanda cautelare sulla base di una ricostruzione fattuale diversa da quella prospettata dal P.M.; più nel dettaglio, sostituendosi a quest’ultimo, il G.i.p. aveva individuato gli artifici e raggiri, non già nella falsità delle fatture, ma nel non aver rappresentato – contrariamente al vero – l’attualità del suo debito nei confronti dell’impresa che aveva realizzato i lavori, allegando una autocertificazione con cui attestava che, in relazione alle fatture, non erano state emesse note di credito; infine, sotto altro profilo, si censurava la motivazione per aver fatto riferimento non già al vizio denunciato, ma al tema della modifica dell’imputazione e dell’insussistenza, nella specie, di violazioni dei diritti della difesa; 3) omessa motivazione con riferimento alle deduzioni difensive circa la configurabilità di una diversa qualificazione giuridica della condotta ipotizzata dal G.i.p., per la difesa sussumibile nella “mera” falsità ex art. 76 d.P.R. n. 445 del 2000, deducendosi peraltro che non vi era stata alcuna falsità nella dichiarazione perché la ricorrente non aveva in effetti ricevuto alcuna nota di credito sicchè la vicenda poteva essere ricondotta al più ad una irregolarità amministrativa concernente la violazione delle disposizioni del bando per i contributi comunitari in tema di finanziamento diretto evidenziandosi al contempo che la valutazione della esatta qualificazione giuridica avrebbe avuto immediate conseguenze sulla possibilità di disporre il sequestro preventivo.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione
Il Supremo Consesso riteneva fondato il primo motivo di ricorso e, in quanto tale, da un lato, idoneo ad assorbire ogni altra questione dedotta, dall’altro, atto a determinare l’annullamento dell’impugnata ordinanza e del decreto impositivo della misura cautelare reale.
Si osservava a tal proposito che se, in sede di riesame, le censure difensive, imperniate sulla violazione del c.d. principio della domanda cautelare, erano state disattese osservandosi che, in effetti, la misura cautelare era stata accordata sulla scorta delle accertate – e non contestate – “triangolazioni” poste in essere dalla B. con la figlia ed il genero, tuttavia, ad avviso dei giudici di merito,nessun concreto pregiudizio poteva ritenersi configurabile per l’esercizio dei diritti di difesa, sia per la necessità di una lettura complessiva della richiesta del P.M., sia perché – in forza dei principi generali espressi negli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. – l’indagato «non subisce alcuna menomazione quando l’ordinanza del G.i.p. dovesse porre alla base dell’applicazione della misura elementi fattuali parzialmente diversi da quelli che il Pubblico Ministero abbia indicato nella sua richiesta» (cfr. pag. 3 dell’ordinanza impugnata).
Orbene, ad avviso della Corte di Cassazione, questa tesi non poteva essere condivisa dato che la giurisprudenza emessa in sede nomofilattica è del tutto consolidata nell’affermare che «in sede di riesame, il tribunale può confermare il provvedimento di sequestro anche sulla base di una diversa qualificazione giuridica del fatto in relazione al quale è stato ravvisato il fumus commissi delicti, ma non può porre a fondamento della propria decisione un fatto diverso» (Sez. 6, n. 18767 del 18/02/2014) [nello stesso senso, da ultimo, cfr. anche Sez. 6, n. 16020 del 13/03/2019, secondo cui «il tribunale del riesame può confermare il provvedimento applicativo della misura cautelare sulla base di una differente qualificazione giuridica, ma non può formulare autonome ipotesi ricostruttive sulla base di dati di fatto diversi, risultando altrimenti nulla la decisione per difetto dell’iniziativa del pubblico ministero» (in applicazione del principio, la Corte ha annullato senza rinvio l’ordinanza del tribunale del riesame che confermava la misura cautelare emessa in relazione al reato di cui all’art. 322, comma quarto, cod. pen., individuando una condotta contraria ai doveri di ufficio diversa da quella indicata nell’imputazione provvisoria)].
In tale condivisibile ottica interpretativa, risultavano, ad avviso della Suprema Corte, evidentemente fallaci i riferimenti, operati dal giudice del riesame, alle disposizioni che regolano in dibattimento la tematica della correlazione tra accusa e sentenza in quanto l’indagine deve invece soffermarsi sulla diversità o meno del fatto posto a base della misura cautelare, rispetto a quello descritto nella provvisoria incolpazione su cui si era fondata la relativa richiesta, e, con riferimento alla odierna fattispecie concreta, sempre secondo gli Ermellini, la questione doveva essere risolta, con ogni evidenza, nel senso della netta diversità.
Infatti, se il sequestro preventivo era stato richiesto con riferimento al profitto del reato di truffa (e del “conseguente” reato tributario), la misura cautelare reale era stata invece emessa non già in forza della predetta ipotesi accusatoria (eventualmente con una diversa qualificazione giuridica), ma su tutt’altra base fattuale nel senso che, una volta ritenuta l’infondatezza dell’ipotesi per cui i lavori non sarebbero mai stati eseguiti, e di quella (conseguente) per cui nelle dichiarazioni IVA, l’indagato avrebbe utilizzato fatture per operazioni inesistenti, il G.i.p. – con l’avallo del Tribunale del riesame – aveva preso in considerazione, agli effetti del fumus, il fatto che, secondo le disposizioni del bando e del regolamento, i contributi potevano essere erogati solo dimostrando il già avvenuto pagamento dei lavori tenuto conto altresì del fatto come fosse peraltro del tutto ultroneo soffermarsi, in sede di legittimità, sulla corretta qualificazione giuridica da attribuire alla fattispecie, sulle conseguenze amministrative e/o penali derivanti dalla condotta accertata, ecc., atteso che risulta invero dirimente, alla luce di principi giurisprudenziali precedentemente richiamati, l’accertata radicale diversità del fatto preso in considerazione in sede applicativa del sequestro rispetto a quello ipotizzato nell’incolpazione provvisoria fondante la richiesta di misura.
Conclusioni
La decisione in esame desta notevole interesse nella parte in cui, richiamandosi precedenti conformi, si afferma che, in sede di riesame, il tribunale può confermare il provvedimento di sequestro anche sulla base di una diversa qualificazione giuridica del fatto in relazione al quale è stato ravvisato il fumus commissi delicti, ma non può porre a fondamento della propria decisione un fatto diverso; in altri termini, il tribunale del riesame può confermare il provvedimento applicativo della misura cautelare sulla base di una differente qualificazione giuridica, ma non può formulare autonome ipotesi ricostruttive sulla base di dati di fatto diversi, risultando altrimenti nulla la decisione per difetto dell’iniziativa del pubblico ministero.
Tal che, ove dovesse essere emessa una ordinanza affetta da questo vizio procedurale, ben si potrà impugnarla nei modi e nelle forme previste dal codice di rito penale.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica processuale, dunque, non può che essere positivo.
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